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Château Latour & Disegnare un albero

Vino
Recensito da Gae Saccoccio

Andamenti climatici

Per chi sia interessato ai dettagli collaterali e ai retroscena nella costruzione di un vino cosiddetto di pregio e da collezione, è assai istruttivo andarsi a leggere le note accurate dell’andamento climatico dell’annata. Prendiamo ad esempio uno Château Latour, cioè un Premier Grand Cru Classé di Pauillac dell’annata 1999 che viene definita nelle schede aziendali “un’ottima annata”, eh già, poteva essere altrimenti?

Si parte dall’annata precedente cioè dalla 1998 dove un “ottobre particolarmente mite e umido, contribuisce all’incubazione di funghi fitopatogeni” che può condurre a situazioni problematiche per la pianta a determinate condizioni meteo. 

L’inverno è più secco del normale e rimane relativamente mite.” 

In primavera avviene “il primo germogliamento sia per il Merlot che per il Cabernet Sauvignon. Il clima caldo e secco accelera questa fase e compaiono le prime infiorescenze. La luna di aprile (luna nuova dal 5 al 15 aprile) infligge al vigneto temperature fredde come l’inverno. Pioggia, freddo e vento ritardano la crescita della vite. Questo repentino cambiamento climatico aumenta il divario tra il ciclo vegetativo dei Merlot e quello dei Cabernet. Inoltre, favorisce la scarsa allegagione (il passaggio da fiore a frutto) e l’acinellatura”.

A maggio inizi di giugno parte la fioritura con un certo anticipo rispetto alla media. Allo Château dunque in considerazione di un’annata che si stima abbondante, viene effettuata una “vendemmia verde” su tutti gli appezzamenti, così da permettere sia l’arricchimento linfatico dei grappoli che restano sulla pianta che di liberarsi delle uve colpite dall’impallinatura o acinellatura (alcuni acini di un grappolo d’uva a causa della mancata fecondazione del fiore rimangono piccoli mentre gli altri si accrescono regolarmente). “Agosto è più difficile a causa di piogge regolari che accentuano il rischio di malattie. Tuttavia, la maturazione inizia presto ma è rallentata dalle continue piogge dei primi venti giorni di agosto. Il sole riappare dal 20 agosto in poi. Il suo effetto favorevole concentra immediatamente gli acini e il processo di maturazione fino a quel momento ritardato accelera rapidamente. I primi Merlot dovranno essere raccolti in anticipo. Sull’Enclos, le vecchie vigne hanno saputo resistere al capriccio della natura. Portano bacche strette ad alta concentrazione di zucchero. Le prime uve raccolte il 14 settembre confermano la grande ricchezza dell’annata: gradi eccezionalmente alti (tra 13,5° e 14° per i Merlot – una media di 12,5° per il Cabernet) e mosti molto scuri. Entro quattro giorni tutti i Merlot saranno nei tini. La differenza di maturazione con il Cabernet Sauvignon costringe ad interrompere la vendemmia per qualche giorno. Questa interruzione è breve ma efficace. Le bucce del Cabernet sono diventate più elastiche e la concentrazione in zucchero ha raggiunto livelli record mai raggiunti fino allora.

Le vendemmia termina il 30 settembre del 1999, l’annata riportata in etichetta anche se in etichetta non sono certo riportati i trattamenti effettuati in vigna in aggiunta a tanti altri interventi agronomici a discapito della biodiversità.

Condizionamenti del giudizio

Ecco qua in sintesi l’odissea meteorologica di un fine wine di Pauillac a partire dagli sviluppi vegetali della pianta fino al frutto attraverso la mutazione solare delle stagioni. Considerato in questi termini ogni vino, anche il meno vocato quanto a territorio e tradizione vitivinicola, ha una sua credibilità mercantile fabbricata ad hoc dalla retorica poetizzante del marketing più spregiudicato. Quello che voglio dire è che davanti soprattutto a un vino con aspettative economiche rilevanti come nel caso del Latour, le variabili che andranno necessariamente a pregiudicare il nostro giudizio finale sono svariate e mutevoli e non sono necessariamente connesse al vino in sé e per sé quanto piuttosto a considerazioni di natura monetaria o di prestigio sociale (la speculazione nel circuito delle aste e dei vini da collezione, l’élevage in cantina, il ballo in maschera dell’en-primeur, le assegnazioni nelle mecche del lusso, il lavaggio del cervello martellante esercitato dalle varie associazioni di degustatori conniventi con una critica di settore amorfa e prezzolata).

Tutti presupposti, insomma, che condizionano il risultato finale che non potrà che essere iper-controllato fino alla paranoia: dalla gestione in vigna coi trattamenti, alla elaborazione tecno-enologica in cantina così da svilire la schiettezza originaria del vino a ogni passaggio impattante del processo produttivo fino a renderlo una lussuosa ma sterile merce di scambio che nonostante tutte le belle chiacchiere di contorno relative al pregio all’invecchiamento alla potenza espressiva all’eleganza alla persistenza del vino, non ha assolutamente più nulla a che vedere con “il carattere dell’annata” o “il riflesso del territorio”, ma è solo profitto per chi lo produce ovvero tronfia auto-glorificazione per chi suppone di goderne.

Di alberi e vini

C’è un libretto aureo di Bruno MunariDisegnare un albero, ripubblicato nel 2005 dalle stupende Edizioni Corraini di Mantova. L’artista-inventore-designer milanese predispone l’ideale lettore – lettore ideale adulto con lo sguardo puro di un bimbo cartesiano – ad osservare con linearità e purezza di cuore il mondo attraverso lo schema di crescita, struttura e forma dell’albero isolato eppure contestualizzato nel suo ambiente.

Disegniamolo dunque pur sapendo che è uno schema e che sarà difficile riscontrare in natura un albero disegnato così perfetto. Per crescere in modo così preciso, un albero dovrebbe nascere in un posto senza vento, con il sole fisso in alto, con le piogge sempre uguali, con il nutrimento che viene dalla terra sempre costante. In quel posto non ci dovrebbero essere fulmini e nemmeno sbalzi di temperatura, niente neve e gelo, mai troppo caldo o secco…” 

Quella precisione di cui parla Munari è la medesima che persegue un certo genere di rigidezza enologica notevolmente manipolatoria che pur di “disegnare” i propri vini al netto di irregolarità strutturali dovute all’andamento climatico o a travolgenti/essenziali metamorfosi microbiologiche in fase fermentativa, forza la mano sull’insieme del vino quale organismo vivente complesso e non schematizzabile, riducendolo in parti separate, atrofizzandolo, tagliandolo fuori con tracotanza interventista dal suo habitat costitutivo, esattamente come l’albero perfettino idealizzato senza vento né gelo né fulmini né sbalzi di temperatura, un albero ehm un vino cioè svilito, omologato e snaturato nella sua predisposizione a proteggersi da sé a dispetto del razionalismo morboso e dell’ingordigia ottimizzatrice dell’Homo economicus.

Ecco che, a questo punto ,il cielo diventa buio, viene un temporale con i fiocchi, l’albero si agita al vento, disordinato come avesse paura. Un fulmine dal cielo quasi nero si precipita sull’albero e in un bagliore accecante sparisce. Sotto una fitta pioggia si può vedere un pezzo dell’albero a terra, un grosso ramo con i suoi rametti. Si sente solo il rumore della pioggia fitta sulle foglie. L’anno dopo l’albero è diverso, mutilato. Però continua a buttare i suoi rami come niente fosse. È così che gli alberi cambiano forma: un fulmine, la neve col suo peso sui rami, insetti roditori che mangiano il legno… e l’albero cambia forma.

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