Passione Gourmet L'Angelica 1989 - Passione Gourmet

L’Angelica 1989

Vino
Recensito da Gianluca Montinaro

Il bianco “francese” di Rocche dei Manzoni

La scrittura ha, fra i tanti, un pregio: fissare, attraverso l’articolazione di un’espressione razionale, l’emozione della sensazione inintelleggibile. Bloccare, in un eterno, il sussulto emotivo dell’esperienza estetica, magari accentuata dall’inaspettata sorpresa.

Chi scrive non ha bevuto tutto il bevibile, né tantomeno sostiene di averlo fatto. E proprio per questa “lacuna consapevole” è sempre attento a seguire i suggerimenti di coloro che, per ventura e passione, ‘ne sanno di più’. Anche perché, più spesso di quanto si pensi, nelle loro parole ‘vicende’ e ‘personaggi’ del passato ancora si palesano nel nostro presente.

Accade spesso, ai tavoli del glorioso Il Cigno (ristorante mantovano che, per primo, già negli anni Settanta ha portato la tradizione gonzaghesca sul palcoscenico dell’alta gastronomia nazionale), che Tano Martini trasporti – come attraverso lo specchio varcato da Alice – ospiti e amici in un antecedente prossimo di emozioni e ricordi. «Aspetta, questa volta il vino te lo porto io»: e come non fidarsi del Tano e della sua cantina, ricchissima di annate storiche, conservate (a temperatura e umidità costanti) nelle sotterranee, labirintiche stanze di un antico palazzo quattrocentesco?

Eccolo, quindi, il “vino”, un’ultima bottiglia che, scivolata dietro altre, era stata dimenticata: L’Angelica di Rocche dei Manzoni (Monforte d’Alba), nella prima annata prodotta: 1989, con la sua magnifica etichetta Belle Époque, stampata su una carta che pare una filigranata di Fabriano. Chardonnay in purezza, quindi, in un anno segnato dalla Storia che, oltre alla caduta dei regimi comunisti dell’Est, ha pure regalato fra i bricchi, e ben lo sanno gli appassionati, eccelsi Baroli.

La storia della famiglia Migliorini e de L’Angelica

L’epopea della cantina Rocche dei Manzoni e del suo fondatore, Valentino Migliorini, sono note, come note sono le tante innovazioni che questo ristoratore caorsano, appassionato di vino, ha introdotto in Langa (prima fra tutti l’utilizzo della barrique, poi il primo assemblaggio, 1976, e la prima bollicina, 1978). Non staremo perciò a ripercorrerle. Ma da dove nasce lo Chardonnay a Monforte? Vicende e personaggi che si intrecciano, si scriveva in apertura. E il Tano lo ricorda bene. Si era a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta e un ristretto gruppo di giovani ristoratori (Antonio Santini, Roberto Ferrari, Valentino, il Tano stesso e pochi altri), appassionati del loro lavoro e alla scoperta del vasto mondo del vino, erano soliti incontrarsi a Maleo, ai tavoli di Franco Colombani (colui che, dal 1975 al 1979, detenne la carica di presidente dell’Asi, Association de la sommellerie international). E proprio ai fratini de Il Sole nacque Linea Italia in Cucina. E sempre da lì, spinti dal mentore Colombani, questi giovani partivano alla scoperta della Francia: delle sue celebrate grande tables e dei suoi Domaine e Châteaux. Quanti viaggi in Borgogna! A volte ognuno per proprio conto. Ma assai più spesso in compagnia. E che emozioni davanti ai cru della Côte de Nuits e della Côte de Beaune. E quindi, ogni volta, per Valentino, il sogno, sulla via del ritorno, di tentare altrettanto in Italia. Se il Nebbiolo poteva rivaleggiare col Pinot Noir, perché non provare anche con lo Chardonnay?

Gaja aveva già vinificato Chardonnay a Barbaresco (la prima annata di Gaia & Rey risale al 1983). Ma Valentino voleva qualcosa di più, e di diverso. Qualcosa di più intensamente piemontese, ma soprattutto di più francese.

Rocche dei Manzoni rivendica su proprio sito questo pensiero, senza paura: «L’Angelica segna indiscutibilmente il percorso di Rocche dei Manzoni: un percorso francesizzante poiché è un vino che guarda molto ai bianchi di Borgogna, si può dire un vino rosso vestito da vino bianco».

Nasce così, dalla passione per la Francia, dall’amicizia sodale sviluppatasi con Colombani e con gli altri “ragazzi” che volevano cambiare volto alla ristorazione nazionale, questo vino che, attraverso oltre tre decenni, “racconta un racconto” che deve essere trasmesso e conosciuto.

Ma com’è questo L’Angelica 1989? Per fortuna, per narrare l’esperienza, c’è la scrittura! Come fare altrimenti a fissare le molteplici emozioni di questo inatteso bicchiere?

Langhe Chardonnay Doc L’Angelica 1989

Appena versato è il colore a colpire. Il giallo, di un bel dorato non troppo carico, appare vivido e pieno. Senza rottura o cedimenti. Perfettamente cristallino. E senza alcuna traccia di quei toni ambrati che sarebbe normale aspettarsi da un bianco che è in bottiglia da ‘appena’ trentadue anni.

L’impazienza della prima olfazione non è ricambiata da prorompenza. Tutt’altro. Una nota di tenera e quasi infantile timidezza invade il calice. Che sia il carattere de L’Angelica? Che sia una bottiglia non più perfetta?

Tano Martini, sguardo sornione al di sopra dell’elegante, colorato papillon che da sempre contraddistingue la sua vita di ristoratore, chiama all’indulgenza: «aspetta, dagli un paio di minuti». Il tono sicuro di chi ‘ne sa di più’ rassicura. E così, dapprima piano, poi sempre più rapidamente, si dipana uno spettro olfattivo che spiazza nella sua opulente integrità: la ritrosia diventa intensità e la carenza ampiezza. I profumi, di qualità eccellente, raccontano di un vino pensato in terra di Borgogna, ma nato e cresciuto fra i bricchi di Monforte. «Forma di un sogno già sognato» – per dirla con un nobile verso di Borges – L’Angelica esplode in centinaia di rivoli: i fiori sono gialli, un attimo prima che inizino ad appassire.

Il frutto prende le agrumate forme del cedro leggermente candito ma anche della pesca gialla, spruzzate da note tropicali (mango? papaya?) e da una spiazzante quanto inusitata albicocca matura. Parallele corrono, modulate con eleganza, le spezie date dal legno: una sontuosa e appagante vaniglia su tutto. E quindi un pizzico di curry. E una punta di rinfrescante zenzero. La mineralità è fine oltremodo, e sostiene la trama olfattiva legando le sensazioni le une alle altre con sentori di polvere pirica e di selce.

È quindi in bocca che L’Angelica sfodera tutta la sua potenza e la sua classe. Morbido, senza essere eccessivamente caldo, colpisce per una freschezza che in nulla dimostra i suoi anni. Il sorso, ricco di materia e di verticale mineralità (con quest’ultima che non sopravanza né si sovrappone all’acidità), racconta di un vino di medio corpo, intenso e ampio senza essere ridondante. La struttura è elegante ed equilibrata e tende a una complessa rotondità mersaultiana (anzi, chi scrive è tentato di dire che proprio al territorio di Mersault guardò Valentino per ‘costruire’ questo vino) che sfocia in una persistenza oltremodo lunga e fine. Quest’ultima, senza cedimenti, procede su una scia improntata a pulizia e nettezza, richiamando, quasi come onde di eco, i riconoscimenti dello spettro olfattivo. L’armonia, in chiusura, è perfetta: sferica e gratificante. In sintesi: un grande vino di un grande uomo!

1 Commento.

  • Gaetano Martini25 Agosto 2021

    ciao carissimo, sei sempre grande nello scrivere, sentimento, passione e bravura, un articolo che farà piacere a tanti, e grazie per il ricordo di Franco Colombani. un abbraccio Tano

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