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La biodiversità nel caffè come nella vita

di Leila Salimbeni

Il valore della differenza

Si potrebbe supporre che il lemma “blend” e il verbo “assemblare”, il primo di origine inglese il secondo proveniente, invece, dal francese, abbiano una medesima, condivisa origine germanica. A suggerirlo, un significato comune che, in entrambi i casi, sottende l’unione, la commistione, il miscidarsi tra loro di elementi diversi, al fine di farne un unicum, uno e unico.

In un buon blend, infatti, la parte è tale da dissolversi o, quantomeno, farsi irriconoscibile, nel tutto; fondersi, perdersi, e ritrovarsi, è questo che differenzia il blend dal mosaico e l’assemblaggio dalla giustapposizione. Per realizzare un buon blend, però, è necessario conoscerne nel dettaglio, e molto profondamente, tutti i tasselli e ciascun elemento per se stesso. È un concetto sottile, ma importantissimo, che insiste sul fatto che un bel blend non contempla mai confusione quanto, piuttosto, iper-definizione e iper-caratterizzazione. Come a dire che, per essere sintetici, occorre esser, o esser stati, analitici.

Il diario di bordo della famiglia Meschini

Il paradigma del blend, ovvero la conoscenza, vale tanto nel mondo del caffè quanto in quello della vita tutta.

Lo sanno bene a Le Piantagioni del Caffè dove proprio dalle differenze di ogni singola piantagione arrivano tanto il nome quanto la missione aziendale: caffè provenienti da singole piantagioni, tostati e analizzati singolarmente in modo da poterne valutare al meglio il profilo sensoriale. 

Enrico Meschini, che ha viaggiato in lungo e in largo per l’ecumene terreste, parla di ogni singola piantagione con una cognizione che va ben oltre la mera esperienza e, per chiarirvi cosa intendiamo, eccovi qualche frammento dal suo diario di bordo:

Nel dicembre del 2004 mi trovai a viaggiare per la prima volta in Etiopia, al tempo, paese piuttosto sconosciuto e poco bazzicato dai cercatori di caffè speciali; l’opposto di quello che avviene oggi. Al risveglio in un albergo piuttosto fatiscente, ricordo che mi accorsi che il nostro fuoristrada aveva una gomma forata, così chiamai l’autista perché provvedesse. Dopo poco, mentre io mi godevo il paesaggio di un mondo immerso nel caffè, mi raggiunse, nel freddo pungente delle mattinate del Sidamo e di Yrgacheffe il nostro accompagnatore: Abdallah Bagersh, yemenita di origine ed etiope da tre generazioni di venditori e assaggiatori di caffè. Alla domanda di dove fosse il nostro fuoristrada, cercai di farmi capire nel mio pessimo inglese. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, gli si illuminarono gli occhi ed esclamò “gommista!!” Fu così che scoprii che, nonostante avessimo colonizzato l’Etiopia per pochi anni e piuttosto male, erano rimaste nella lingua amarica alcune parole italiane, in particolare quelle che si riferivano alle automobili, alla biancheria intima e al biliardino, tutti oggetti che furono introdotti durante il periodo di colonizzazione!”

Leggendo questo “diario”, che continua con gli elefanti di Fairland, con lo stordente mercato di Mysore a Raigode, in India, o col pranzo narrato da Prunella Meschini, sua figlia, in quel di Alto Palomar, in Perù e poi ancora in Etiopia, vi succederà di ripensare al mestiere del torrefattore e considerarlo, forse, in una maniera meno convenzionale.

Come quella volta che, per raggiungere la piantagione di El Hato, in Guatemala, dopo molti km di piantagioni sulla ruta Panamericana, un cono “di fumo irregolare, ora sottile ora più corposo” si levò dal vulcano Pacaya, o quell’altra in cui, a Samambaia, in Brasile, nei primi di luglio Enrico dovette indossare  tutti i vestiti che aveva a causa di una geada notturna: “fortunatamente senza grandi conseguenze per il raccolto e per la qualità del caffè – conclude – se non un grande scossone nelle quotazioni del caffè alla borsa di New York.

Diversità e biodiversità

E queste sono solo alcune delle storie che popolano, animandolo dall’interno, il fantastico mondo de Le Piantagioni del Caffè: un mondo fatto di diversità e biodiversità che, non a caso, è un concetto che rientra a pieno titolo nei parametri di certificazione della qualità dei caffè BIO e FAIRTRADE, così come vi rientra anche il rapporto diretto, nel loro caso strettissimo, con i produttori che si sono distinti per operare in maniera rispettosa e conservativa.

Ed è dunque così, attraverso un certosino percorso di conoscenza del terroir che, non ci stancheremo mai di dirlo, contempla anche e sopratutto il fattore umano con quel suo irriducibile nucleo di variabili, che nascono caffè che permettono anche a chi li assaggia di penetrare in profondità nella conoscenza dei singoli scenari, siano essi immortalati in purezza – Di Piantagione o Dirompenti – oppure orchestrati nella sinfonia di blend – Specialty People Blends – che sono, ciascuno, un potentissimo frammento di mondo.

* in copertina, il mastro tostatore de Le Piantagioni del Caffè, Andrea Onida

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