Passione Gourmet L'Enoteca Pinchiorri, il maialino e Alma - Passione Gourmet

L’Enoteca Pinchiorri, il maialino e Alma

di Adriana Blanc

O delle istruzioni per diventare uno chef di successo

Lunedì 8 marzo è andata in scena, su quel particolare palcoscenico che è ALMA, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana, una lezione d’eccezione.

Innanzitutto perché, a condurla, è stata una squadra di fuoriclasse dell’alta gastronomia: Riccardo Monco, Alessandro Della Tommasina, Andrea Cerutti e Francesco Federici; rispettivamente executive-chef, chef di cucina, sous-chef e pastry-chef di un posticino niente male, noto ai più come Enoteca Pinchiorri.

Il secondo motivo risiede proprio nella grandezza del principale relatore, lo chef Riccardo Monco, persona umanamente squisita, che non si è risparmiato nel dispensare utili consigli ai giovani chef che hanno avuto la fortuna di poterlo ascoltare.

Del maialino non si butta via niente

Punto focale dell’intera giornata è stato il maiale. Nello specifico, un delizioso maialino da latte di razza Mora Romagnola, approvvigionato da Emanuele Ferri, titolare dell’azienda agricola Ca’ Lumaco e fidato fornitore di Pinchiorri da più di dieci anni. Una prelibatezza  contraddistinta da pelo marrone scuro (da cui il nome “mora”) e zanne tanto lunghe da renderlo più simile a un cinghiale che non al comune suino.

Un animale cresciuto brado nel bosco, nutrito a ghiande e castagne che han sì ben contribuito nel rendere le carni squisitamente grassottelle e dunque particolarmente pregiate. Partendo dunque dal delizioso porcello, gli chef hanno ideato un’inedita verticale: 6 portate interamente derivate dal prezioso ingrediente, declinato dall’antipasto al dolce.

À cochon, cochon et demi

L’idea di fondo è dunque quella di mostrare ai giovani chef come, con le adeguate conoscenze, sia possibile adattare la cucina agli ingredienti disponibili sul momento e mettere a punto dei piatti con i quali nulla vada sprecato.

Sapersi adattare, saper assaggiare ed essere curiosi sono i più grandi pregi per un cuoco, in mancanza dei quali si finisce a replicare sempre le stesse cose” afferma Monco.

E questo particolare periodo ne ha richiesto di spirito di adattamento ai professionisti delle cucine che, nei rari e agognati momenti di operatività, si sono trovati a dover fare i conti con una situazione totalmente incerta. “Proporre la verticale di una materia prima in periodo Covid è una scelta particolarmente sostenibile: si hanno meno sprechi perché si vanno a utilizzare tutte le parti, ma allo stesso tempo si lavora con meno merci, generando un risparmio per il ristorante. Rivolgersi ai piccoli produttori poi vuol dire fare gioco di squadra, in questo modo si dà sostegno anche a loro”. Insomma se di questi tempi la vita ci offre maiali, non resta che adattarsi e rispondere con un maiale e mezzo o, meglio ancora, con un’intera verticale.

La materia prima

Così si arriva a quello che è un altro tema fondamentale per il cuoco, la materia prima. “In questo senso la Francia ci ha insegnato molto con Alain Chapel, il primo ad aver scritto il nome dei fornitori sul menù. Sono loro che ci permettono di offrire ai nostri clienti un prodotto unico. Il rapporto che si instaura tra chef e fornitore dev’essere di totale fiducia e onestà; se c’è comunicazione, è possibile risolvere qualsiasi problema. In questo aiuta particolarmente affidarsi ai piccoli produttori, che hanno un controllo totale sulla filiera”.

Imprescindibile è stato il contributo di Emanuele Ferri ad esempio, nel dare vita al divino maialino allo spiedo dalla cotenna perfettamente croccante. “Abbiamo provato di tutto per ottenerla e solo col tempo abbiamo capito che era l’aria l’ingrediente fondamentale. Il maialino sardo viene asciugato all’aria prima di essere cotto. Capito ciò, abbiamo fatto fare cose impossibili a Emanuele per realizzare il nostro obiettivo: oggi è lui stesso a consegnarci in maniera diretta i maiali che ci occorrono e la qualità è impareggiabile”.

Quando si compone un menù o un nuovo piatto, l’altro aspetto da tenere in considerazione è che questo deve entrare in piena armonia con le ricette già esistenti e con quelle che arriveranno: ci dev’essere sempre un filo logico. “Per questo motivo non bisogna essere troppo severi con se stessi: capita che il piatto cambi in corso d’opera, la vera difficoltà del portare avanti una ricetta è saperla adattare, anche in base al giudizio finale che arriverà dai nostri clienti. Fondamentale in questo senso è il coinvolgimento con la sala, che comunica la nostra cucina al cliente. Il binomio cucina e sala, quando è in armonia, diventa il paradigma di un’esperienza soddisfacente: difficilmente si uscirà insoddisfatti da un ristorante in cui si ritrova questo equilibrio”.

Infine l’assunto più importante, quello che tratteggia l’identità di una cucina, determinandone drasticamente il successo o il fallimento. “Ci dobbiamo sempre ricordare, soprattutto noi in Italia che abbiamo un patrimonio gastronomico che il mondo ci invidia, del posto dove siamo. Le radici sono fondamentali, sono la nostra firma. Quando il cliente si siede alla nostra tavola, si aspetta di trovare una precisa realtà. Di certo non cercherà un risotto alla milanese in Sardegna; o un piatto estremamente moderno, ma completamente distaccato dal territorio. In entrambi i casi la sensazione sarà quella che qualcosa manchi. Le radici sono l’identità della nostra cucina, senza siamo solo delle fotocopiatrici”.

Il motto dello chef?
Non chi comincia, ma chi persevera“.

Lascia un commento

La tua email non sarà pubblicata. I campi obbligatori sono contrassegnati *