Valutazione
Pregi
- La qualità dei prodotti ittici.
- I dessert.
Difetti
- Una cucina un po' datata.
- Qualche eccesso, da un lato di affettazione, dall'altro di pressione, da parte della sala.
Gli ultimi anni hanno visto, non solo nell’annuale susseguirsi editoriale delle principali guide nazionali ma anche nella nostra esperienza, una tangibile crescita, tanto numerica quanto qualitativa, della ristorazione del Mezzogiorno. Forse solo per una coincidenza, questo trend sembra però toccare in maniera solo marginale le tre maggiori città del Sud, ossia Napoli, Palermo e Bari, per concentrarsi in maniera assai più consistente in provincia. Nel capoluogo pugliese regge tuttavia l’unica stella Michelin cittadina, quel Bacco che Franco Ricatti nel 2008 portò, onusto di gloria e riconoscimenti, dalla vicina Barletta dov’è tuttora assai rimpianto. Ubicato lungo una delle arterie principali del centro, a poche centinaia di metri dalla Cattedrale ma raggiungibile in macchina con autosilo tattico quasi all’angolo, Bacco è in posizione ideale per associare senza troppi spostamenti un’interessante tappa gourmet a una visita alla splendida Bari. I racconti di chi visitò il ristorante di Ricatti nella città della Disfida narrano, oltre che di un alto livello gastronomico, di una cantina di notevole spessore che, malgrado lo spiegamento di casse di vini di pregio all’ingresso, non ci pare abbia trovato spazio nella nuova sede.
La proposta gastronomica, talvolta accompagnata in tavola con un certo eccesso di ampollosità da parte dello staff, non trascura le pietanze di carne. E’ tuttavia il pesce l’argomento a scelta della cucina guidata da Angela Campana, moglie del patron e sua partner lavorativa dal principio degli anni Ottanta. Di alto livello è l’assortimento dei crudi, con carpacci solo accarezzati da un olio all’altezza della situazione e da una spolverata di pepe dispensata senza eccessi, e dei frutti di mare che, anche in una giornata di approvvigionamenti limitati come quella della nostra visita, finiscono per tener fede alla reputazione della città della Fiera del Levante. Davanti ad una materia prima di rimarchevole qualità la cucina, con l’eccezione di uno spaghettone al ragù di cicale e nero di seppia dove il crostaceo ha finito per essere soverchiato dalla concentrazione del pomodoro e dalle sensazioni pitonescamente avvolgenti dell’inchiostro, ci è tuttavia sembrata più preoccupata di non rovinare il prodotto che smaniosa di esaltarlo con il proprio intervento. Ecco allora un bel trancio di spigola, contenuto nel mordente ma condito da un guazzetto di encomiabile leggerezza o uno spaghetto ai ricci senza tentativi di effetti speciali, con i due ingredienti a dialogare faccia a faccia, senza intermediazione alcuna. Certo è che, per un primo di pasta prezzato in carta a venti euro in una città di mare, sarebbe lecito attendersi una presenza più sostanziosa di prodotto nobile nel piatto.
I dolci rappresentano uno dei punti di forza del locale e nel loro richiamarsi alle tradizioni e alla memoria si fanno perdonare un’impronta visiva piuttosto datata. Sembrano del resto appartenenti ad un’altra stagione dell’alta ristorazione anche alcuni tratti stilistici dei piatti e una carta che, a questi livelli, conta un inusitato numero di proposte (una quarantina senza contare i dessert). Anche la sensazione, alla lunga non completamente gradevole, di essere continuamente indirizzati verso ulteriori ordinazioni, finisce per rivangare ricordi di un antico, ma non per questo bocciabile in toto, modo di fare ristorazione. I risultati sono comunque nel complesso assai apprezzabili, anche se la distanza dalle tavole regionali più interessanti ci pare tenda a crescere.
Dopo un primo giro con mandorle salate e tarallini, l’aperitivo prosegue con ricottina, mozzarelle, bruschettine ed olive fritte, ad accompagnare il cocktail della casa (di fatto uno spritz addizionato di gin).
L’ottimo assortimento di carpacci.
Un assaggio di frutti di mare.
Cottura precisa, ottima materia prima: questo spaghetto ai ricci slegato non ci ha però conquistato.
Spaghetto doppio con ragù di cicale e nero di seppia: qui, come segnalato, la materia prima è davvero sacrificata.
Cottura appena più pronunciata rispetto agli standard attuali dell’alta ristorazione ma tuttavia ben maneggiata per la spigola in guazzetto di vongole e seppiolina. Certo, il contorno vegetale avrebbe meritato più attenzione.
Noia (torta di noci e crema di caffè) con gelato di liquirizia, quest’ultimo eccessivamente scarico.
Mousse di fichidindia al rabarbaro. Interessante, con un marcato contrasto fra gli elementi.
Le tradizionali cartellate natalizie.
I pani fatti in casa (e quello, meraviglioso, di Laterza).
Le belle tazzine commemorative della Disfida di Barletta.