Passione Gourmet Lemì, Tricase (LE) Ippazio Turco Carlo Cappelletti.

Lemì

Ristorante
Corso vittorio emanuele II 16, Tricase (LE)
Chef Ippazio Turco
Recensito da Presidente

Valutazione

15/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

  • La leggerezza della cucina.
  • La fantasia nel trattare il pesce.
  • Il buon rapporto qualità prezzo.

Difetti

  • Servizio talvolta precario.
  • Manca una carta dei dessert, i quali vengono presentati a voce.
Visitato il 12-2012

Lungo lo Stivale è possibile incontrare un ristretto numero di ristoranti che definirei “didattici”, tanto è l’impegno profuso dai loro gestori nel proporre prodotti al limite estremo della pulizia o nel mettere in tavola ricette che spesso anche il più scafato dei gourmet non indigeni ignora; il Lemì, se istituissimo per questi locali una categoria ufficiale, dovrebbe entrarvi di diritto.
Ippazio Turco, anima e cuore di questo piccolo ristorante di Tricase, riesce ad accontentare tanto gli appassionati alla ricerca dell’emozione quanto i turisti che d’estate nonostante la posizione non certo strategica, fuori dal centro cittadino e a qualche chilometro dal mare, affollano i tavoli del locale (tant’è vero che in agosto non avendo provveduto per tempo non sono riuscito a prenotare).

Scegliendo dalla carta, e confrontandosi con la non facile reperibilità di alcuni prodotti in una stagione di bassa affluenza, si può comporre il proprio menù degustazione personalizzato al costo di 57 euro. Un sensibile rialzo rispetto ai 45 del 2011, ma pur sempre un ottimo rapporto qualità prezzo, soprattutto per la quantità di materia ittica che ritroveremo nel piatto. Noi lasciamo carta bianca alla cucina, con l’unico vincolo dei troccoli di grano bruciato con pomodori cotti a legna e mousse di ricotta ascante, piatto straordinario nella sua concezione sul filo della tradizione, di quelli che anche alla seconda prova fanno comunque sobbalzare sulla sedia.

Il menù si apre con un colpo ad effetto, scampo marinato al mandarino con mandorle su passata di asparagi selvatici, che grazie alle temperature locali si trovano, seppur in modesta quantità, gran parte dell’anno. Lo scampo con la sua dolcezza e il suo grasso veicola gli aromi del mandarino e contrasta con il violento amaro dell’asparagina. Il risultato è pulito e lunghissimo.
Fra i piatti che seguono notiamo un uso reiterato del pomodoro. In assoluto non è un peccato, perché in ciascun caso la scelta della varietà da utilizzare è ottimale: il rosso, irrobustito dalla foglia d’origano e da qualche sporadico cappero, interviene a dare acidità alla più virile bruschetta di triglia e quello giallo, con la sua dolcezza, va a sostenere in modo morbido il più tenue scorfano. Nonostante ciò la ridondanza è però evidente e nel caso dello scorfano pesa l’assenza di un terzo elemento che mantenga alto l’interesse, visto e considerato che il secondo piatto è pur sempre la portata principale. Ci sentiamo di passar sopra a questo dettaglio perché altri secondi provati e tutt’ora in carta hanno molta più personalità, ma troviamo giusto rilevare l’incompletezza di questo piatto, riguardo al quale non possiamo tuttavia imputare allo chef alcun difetto di esecuzione.

Un capitolo a parte merita la ciambotta di Porto Cesareo, ricetta riscoperta da antichi ricettari: si tratta di una passata di ceci con fettuccine di farine miste (tra cui proprio quella di ceci) ed accompagnata da varie tipologie di pesci. Il risultato è tanto brutto da vedere quanto impressionante al palato, con la vigorosa ed amarognola pasta appoggiata sul dolce della passata, dei pesci e dei crostacei. Urge in questo caso un ingentilimento della facies.
Semplicità e tradizione nei dolci, ma dietro all’apparenza si nascondono finezze insospettabili che si spiegano anche con un breve periodo di perfezionamento presso il sommo Nicola Di Lena al Pellicano di Porto Ercole (ricordiamo che lo chef Antonio Guida è proprio di Tricase). Il tortino di patate dolci con crema inglese, sorbetti al fico d’india e cachi-mandarino è di per sé un trattato di come evitare di rendere stucchevole la dolcezza.

Rispetto all’anno scorso abbiamo modificato il colore della valutazione, verso la quale ci sentiamo di esser nuovamente generosi: il blu ci pare assecondi meglio le inclinazioni della cucina, creativa ma nel segno della tradizione.

Sempre ottimi i paninetti d’apertura, soprattutto quello di sinistra con le paparine, abbinate al solito ad olive nere che però in questo caso passano da essere il condimento dei gambi di papavero ad ingrediente del pane…

..ma imperdibile anche quello con cime di rapa e capocollo.

Scampo marinato, mandarino, asparagi selvatici e mandorle.

Bruschetta di triglia su pomodoro, capperi ed erbe aromatiche.

Ciambotta di Porto Cesareo.

Moscardini e peperoni gialli e rossi (anche in copertina)

Zuppa di scorfano rosso e passata di peperone giallo (se non è tifoso del Lecce è romanista, il ragazzo).

Troccoli di grano bruciato, pomodori da filo cotti al forno a legna e mousse di ricotta forte.

Predessert: sorbetto al corbezzolo.

Tortino di patata dolce con crema inglese, sorbetti al fico d’India e al mandarino e cachi.

Piccole salentinità da caffè (fantastico il mostacciolo).

Pani e focacce vari…

..fra i quali spicca la notevole focaccia di patate.

2 Commenti.

  • Vittorio Perri19 Febbraio 2013

    Siamo stati a cena il luglio 2011, con grandi aspettative, è stata una vera delusione C'erano in totale 12 clienti, eravamo in 4 ed abbiamo optato per la carta (due piatti + dolce) tempo medio di servizio: 45 minuti per il primo, altri 45 minuti per il secondo, abbiamo rinunciato al dolce dopo 30 minuti di attesa Anche la cucina non è stata all'altezza, i primi erano eccellenti, ma due secondi su quattro erano ridicoli, sia per concezione, sia per quantità (avevamo scelto alla carta) Ricordo tre gambe di polipo grigliate adagiate su pure di patate

  • Puccio24 Febbraio 2013

    Mmmmmh... quei troccoli...

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