Ristorante Le Palme, Savelletri di Fasano (BR), chef Vito Giannuzzi. Di Carlo Cappelletti

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Recensione ristorante.

Se fino a qualche tempo fa la Costiera amalfitana, grazie al consolidato flusso di turisti stranieri, vantava una proposta alberghiera di livello infinitamente superiore a quello del resto del Sud, ora se questa supremazia permane, non è certo incontrastata. A cavallo delle province di Bari e Brindisi negli ultimi anni si è assistito all’accurata ristrutturazione di antiche masserie, trasformate da intraprendenti imprenditori locali in Hotel, spesso di categoria molto alta. A Savelletri, frazione di Fasano, Vittorio Muolo ha seguito da vicino lo sviluppo di addirittura due strutture, le masserie Torre Coccaro e Torre Maizza, entrambe 5*L, la prima in stile più schiettamente rustico e la seconda di spirito più moderno ed internazionale. Ed è proprio all’interno di quest’ultima che è collocato il ristorante principale, Le Palme, guidato dal giovanissimo Vito Giannuzzi. La responsabilità dev’essere certo notevole per questo ragazzo, che a soli 27 anni si ritrova al timone di una struttura frequentata da clienti con esigenze conformi allo status dell’hotel, e questo senza avere esperienze curriculari in locali gourmet di livello assoluto. E’ però fuor di dubbio che, forse proprio per questo motivo, la cucina di Vito non risenta troppo di influenze eccessivamente ingombranti e sia già una cucina con una fisionomia personale. L’esuberanza giovanile si avverte, nel bene e nel male, nei piatti che abbiamo avuto modo di provare durante questo pranzo, e a fronte di una forte e sincera spinta a trarre nuovi spunti dagli straordinari prodotti offerti dalla regione, pesano in certe preparazioni alcune ridondanze, orpelli, aggiunte non necessarie al risultato fnale. Siam certi però che, una volta smaltito l’eccesso di testosterone, Giannuzzi saprà trovare il giusto equilibrio fra semplicità e complessità evitando tanto la naiveté che forse teme quanto lo stile un po’ di maniera nel quale allo stato attuale a volte incappa. La valutazione, per queste ragioni, è stata ritoccata per difetto anziché per eccesso, ma ci aspettiamo netti miglioramenti già nel prossimo futuro, almeno pari a quelli osservati fra la mia prima incoraggiante visita, datata dicembre, e questa. La lista delle vivande propone un degustazione con birre in abbinamento ed una carta dove trovano asilo tanto i prodotti ittici quanto quelli di terra, e strizza talvolta l’occhio ad una proposta schiettamente alberghiera. La carta dei vini ci sembra invece, nonostante i ricarichi non trascurabili, dover ancora decollare nella proposta. Per questo accettiamo di buon grado la proposta di birre in abbinamento nonostante la nostra scelta di piatti, invece di seguire il percorso guidato, preveda una visita turisti fai da te. No Alpitour per noi, ma non vi preoccupate, nessun ahiahiahiahiahi nella circostanza. Dopo qualche crudité a riconciliarci con la madre terra

arriva, gradito omaggio dalla cucina, un trittico con porcino grigliato, marinato, ed un eccellentemente fritto uovo di quaglia, a cui manca forse un grano di sale per essere perfetto.

Bell’equilibrio di sapori e consistenze per la battuta di Manzo Podolico con salsa Mimosa, pane di Altamura e lamelle di tuorlo.

Pregevole il trittico di calamaro, fritto aromatizzato al limone con maionese al wasabi (con quest’ultimo elemento che a mio parere avrebbe bisogno di essere più osé per funzionare al meglio),

grigliato su gazpacho di cocomero e yogurt magro

e ripieno di ricotta su crema di fave con gocce di aceto balsamico.

Nonostante la grande vivacità apportata dai numerosi e ben governati contrasti, grava una certa grassezza di fondo sul comunque apprezzabile risotto al latte di mandorla con rosti di scampi, spinaci scottati e riduzione di vino all’anice ed agrumi, in cui si sente l’esigenza anche di un impiatto più elegante.

Niente male davvero i paccheri con polpa di ricci, aneto, limone e pan fritto. Iodio ed acidità a cui partecipano anche gli usuali alberelli a corollario (sic!).

Buone, ma molto diverse da come le avevo immaginate sono le sfere di salmone su crema di finocchi e carote, insalatina estiva ed olio congelato, in cui proprio l’ultimo elemento, che per me era stato lo stimolo ad ordinare il piatto, rimane impercettibile.

Di ottimo livello intrinseco il trancio di cernia a bassa temperatura (al vapore in carta) su una cannavacciuolesca crema fredda di riccia con scabiniani anelli di cipolla sotto sale, l’unico piatto in cui abbiamo ravvisato un eccesso di “omaggi”.

In realtà un ruolo importante è qui giocato anche dall’acido-dolce del pomodoro fresco e secco. Non ci convince del tutto, però, nonostante la stagione estiva, la scelta di proporre il trancio come secondo a temperatura praticamente ambiente, con la crema fredda ma neppure troppo. Il senso che ne abbiamo ricavato è stato più quello dell’antipasto, a dire il vero. Forse si sarebbe potuto azzardare di più col contrasto di temperature.
Predessert, panna acidificata al limone, jus di fragole. Tattico, fresco, ottimo.

Chiudiamo il pranzo con una variazione di pesca, che troviamo spadellata e caramellata, alla sangria (in omaggio al tradizionale abbinamento pugliese con il vino), in caramello, in gelato e (dentro la tegolina) in macedonia. A corredo gustativo anche del cioccolato amaro reso ancora più amaro dal passaggio in forno, pan di spagna al cioccolato con aria di (troppo moderata) verbena. In abbinamento un eccellente liquore di liquirizia, opera di Camillo Tagliente, barman della struttura.

Le birre di giornata. Nota di merito in particolare per la Germana del birrificio Svevo.


il pregio : la splendida location.

il difetto : lo spumante (che taccio) offerto in apertura, non all’altezza del contesto.

Ristorante Le Palme dell’Hotel Masseria Torre Maizza
Contrada Coccaro
72015 Savelletri di Fasano (BR)
Tel. 080 4827838
Fax 080 4414059
Chiuso: lunedì, aperto solo la sera
Menu 90 euro (birre incluse)
Alla carta 65 euro

www.masseriatorremaizza.com

Visitato nell’agosto 2011

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Carlo Cappelletti

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4 Comments

  1. Raffo ha detto:

    Da noi si usa dire “un’s pò miga magnè i caplèt tott i dè” (non si può mica mangiare i cappelletti tutti i giorni) per significare che il lusso non può certo essere quotidiano,bensì uno strappo all’ordinaria morigeratezza quotidiana.
    Leggendo le tue recensioni,Carlo,devo ammettere che cappelletti,lusso e quotidiano elevano al quadrato il proprio significato…vien voglia di partire immediatamente!

  2. Puccio ha detto:

    Prosecchino Foss Marai? 🙂

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