Le Maître Saucier et la plénitude du goût
Ci piace pensare a questo titolo come a quello di un film che François Truffaut avrebbe potuto girare se, invece di raccontare amori inquieti e malinconie borghesi, avesse scelto di seguire la storia di un cuoco normanno e della sua ossessione per le salse à manger, capaci di riconciliare chiunque con il mondo. In realtà è solo un modo divertito per introdurre Arnaud Donckele e quella sensazione rara, quasi totale, di pienezza del gusto che si prova alla tavola del ristorante Plénitude.
Ci sono ristoranti che cercano di stupire, e poi ci sono quelli che ti riconciliano con l’idea stessa di grandezza. Il ristorante Plénitude, situato al primo piano dello Cheval Blanc, l’hotel di lusso sorto all’interno dello storico edificio de La Samaritaine, affacciato sulla Senna, appartiene a questa seconda, rarissima, categoria di esperienze che ridefiniscono la percezione del lusso attraverso la sostanza della cucina francese, distillata fino alla sua essenza più nitida e contemporanea.
La sensazione iniziale è quella di entrare in una bolla di grazia. La sala, dalle tonalità sabbia e oro, l’affascinante corridoio-cantina (del giorno!), il tovagliato e la boiserie sofisticate creano una atmosfera ovattata e rilassante.
Un classico moderno, più unico che raro
La grande eredità della cucina francese è ossequiata e replicata con tecnica impeccabile, ma anche ricalibrata e proiettata in una dimensione attuale, dove l’emozione della grandeur del ristorante parigino si amplifica con sfumature inedite, fin più affascinanti di quanto ci si possa aspettare. Non si parla di avanguardia, perché nulla appare cervellotico o non immediato. È semplicemente alta cucina, animata da uno spirito rinnovato, anche meno cerimoniale ma certamente più vivo e dinamico.
Arnaud Donckele – che ha replicato nel cuore di Parigi, con un formidabile team di sala e cucina, la sua originaria creatura di Sant-Tropez – prende il passato, spesso percepito come un vincolo a queste latitudini, e lo indottrina con un linguaggio nuovo, dove la salsa diventa colonna portante del piatto sdoganandola dall’idea di mero accompagnamento. La differenza principale rispetto alla Vague d’Or risiede nella genesi del piatto. A Saint-Tropez l’idea nasce dalla salsa, e tutto ciò che la circonda ne diventa emanazione naturale; a Parigi, invece, il fulcro è l’ingrediente di straordinaria qualità, attorno al quale la salsa viene immaginata come estensione e compimento. La distinzione, tuttavia, si dissolve all’assaggio, perché anche al Plénitude sono sempre le salse a prendersi, con naturale autorevolezza, il centro della scena.
Erede spirituale di Bernard Pacaud, almeno è questa la sensazione che ci pervade nell’assaggio di quelle salse, lo Chef normanno è riuscito a rendere vibrante una classicità che, con un linguaggio sempre colto, diventa modernissima.
La Sardina con finocchio e calendula è lì, in attesa di una soave salsa di colore verde, complessissima, fatta con sardine alla griglia, brodo di escabeche, aceto di Lambrusco, aceto Tosazu, succo di limone, olio d’oliva al dragoncello, tuorlo d’uovo e senape. La Triglia, accompagnata da patate boulangère, è il “contorno” di un fumetto di pesce
E' un brodo molto saporito che si ottiene facendo bollire le parti non commestibili del pesce come le teste, le lische, i carapaci dei crostacei insieme a limone, sedano, carota, cipolla, erbe aromatiche, pepe in grani e vino bianco secco. Leggi di scoglio, Merlot, pastis e cognac, scalogno, finocchio e sedano, legati insieme da un brodo di granchi e da un fondo di selvaggina. L’aroma di croco e basilico, la scorza d’arancia, l’olio al mandarino, il riccio di mare e il fegato della triglia, nonostante le sfaccettate diversità di sapori, riescono a farsi sentire, singolarmente, e, al contempo, a lasciare nitido spazio ad un finale aromatico di alloro e bacca di ginepro che chiudono in eleganza l’assaggio.
Si tratta sempre e solo di “salse”, il cui costrutto è ben stratificato e parte da una base madre di brodi, fumetti o fondi lentissimi (densità), arricchita da aceti, vini e agrumi (acidità), poi arrotondata da burri e oli infusi (densità) e, infine, inebriata da erbe, spezie e fiori (aromaticità) che ne definiscono la fragranza finale. Il risultato è un composto satinato che, con l’area incorporata con l’ausilio del sifone, raggiunge una consistenza eterea, di leggerezza assoluta.
E pensare che dopo tutta questa meraviglia salata c’è un reparto dolciario da primato, dosatissimo, calibrato con precisione ma, proprio per questo, indimenticabile.
Anche Maxime Frédéric, l’altro grande di casa, applica alla pasticceria lo stesso rigore analitico che Donckele riserva alle salse. Il suo è un lavoro minuzioso di rilettura (e perfezionamento) dei grandi classici francesi, interpretati in chiave sostenibile e contemporanea. Dalla calibratura degli sciroppi alla gestione dell’umidità nelle masse, fino alla struttura dei lievitati, tutto concorre a una pasticceria essenziale, fatta di contrasti misurati e profondità aromatiche, dove la dolcezza accompagna con intelligenza la logica dell’intera degustazione.
Il servizio di sala è di quelli impeccabili, contraddistinto da freschezza, sorrisi e charme, con tanto di sommelier dal talento cristallino, Chloé Laroche, brillante nel saper fornire utili consigli e autorevole nell’assumersi la responsabilità di proporre un vino, perfetto, alla cieca.
L’unica nota negativa è quando si lascia lo Cheval Blanc. Quando la Senna torna a scorrere con la sua calma indifferenza, il brusio e i clacson di Parigi tornano predominanti e la realtà si riaffaccia impietosa dopo un conto molto importante. Ciononostante, quel che resta è una resa felice, segnata dalla certezza che l’armonia appena vissuta ha un prezzo, alto, giusto, inevitabile. È allora che si intuisce che la perfezione può esistere, ma appartiene solo a chi accetta la bellezza come un lusso necessario.
IL PIATTO MIGLIORE: Sardina / Finocchio / Calendula e la straordinaria salsa “Éden”.
La Galleria Fotografica:












































