La reinterpretazione della tradizione secondo Maurizio Bufi
Impresa non semplice quella di Maurizio Bufi. Alla guida della cucina del Grand Hotel Fasano dal 2021, subentrato a Matteo Felter, lo Chef pugliese, già ex-stellato Michelin a Villa Giulia a Gargnano, si è trovato ad affrontare una sfida duplice: rispettare gli stilemi ebbri di tradizione della meta vacanziera sul Garda; innestare alla cucina una cifra stilistica capace di garantire identità senza sacrificare riconferme e riconoscibilità preesistenti. Missione compiuta. Perché quella di Bufi è una cucina intelligente, elegante, classica nel suo senso più completo, ovvero capace di omaggiare sapori e profumi di una certa tradizione, in questo caso lacustre, aggiungendo sfumature della parte mediterranea dello Stivale atte a elevare e migliorare una struttura già di per sé assestata e collaudata. Nella nostra visita abbiamo dato seguito all’assaggio del menù “Senso”, il più preciso nel definire le caratteristiche della cucina. Sette portate che hanno spaziato tra lago, terra e mare, memori dei natali dello Chef pugliese, con un occhio attento e non ideologico sulla sostenibilità.
Una cucina classica e intelligente
Risotto, limone, burrata e liquirizia è stato sicuramente il passaggio più riuscito e rappresentativo, poiché ha incorporato tre nature e altrettanti rimandi: il territorio, col lago limitrofo, con l’uso di limoni locali sia in fase di cottura sia di mantecatura; la terra d’origine di Bufi, la Puglia, con la burrata a donare rotondità gustativa; la personalità dello Chef, col rimando all’infanzia, attraverso l’uso della liquirizia on top, dall’importante lunghezza. Ne è uscita una portata davvero interessante, giocata con su equilibri acido-dolci che hanno contraddistinto l’intero menù. Alla luce di ciò ha assunto un valore diverso anche l’utilizzo della componente vegetale, presente in quasi tutte le portate, ed elevata a portata essa stessa nell’ottima Melanzana, fichi, Parmigiano 40 mesi, altro episodio davvero riuscito, capace di valorizzare innanzitutto a livello visivo quel senso di tradizione mediterranea, e non, alla base, come abbiamo detto, di questa cucina. La solanacea ha funto poi da base dolce e amaricante sulla quale costruire un andirivieni di sapidità casearia e dolcezza fruttata, senza dimenticare ludiche spezzature di consistenze tramite le cialde di Parmigiano. Diretto e tecnicamente curato, comme il faut.
Leggermente sottotono gli antipasti, in particolare Sandwich di granchio, lattuga e panzanellaPiatto povero, tipico toscano e di tutta l’Italia centrale, a base di pane raffermo, cipolla rossa, aceto, basilico, olio e sale. Nel tempo, alla ricetta originale della panzanella, si sono aggiunti anche i pomodori e i cetrioli. Leggi, incapace di valorizzare appieno il connubio terra e mare del menù a seguito della prevalenza della componente ittica su quella vegetale. Ma è stato un dettaglio che non ha intaccato la resa complessiva dell’esperienza. In questo senso la location ha giocato un ruolo fondamentale poiché alto era il rischio che l’hotel, magniloquente e raffinato, ombreggiasse il lavoro della cucina. Pericolo sventato: nessun approccio sovrastante, anzi, compenetrazione e rilancio reciproco atto a creare un tutt’uno tra sala e piatto di primo livello ma non snob, aprendo dunque una finestra gustativa tanto per l’avventore di passaggio quanto per il turista con orizzonti vacanzieri. Bene così, dunque!
IL PIATTO MIGLIORE: Risotto, limone, burrata e liquirizia.
La Galleria Fotografica:
L’entrata. Dettaglio della sala. Mise en place. Benvenuto della casa. Il pane. Lingua, scampo e cavolo rapa. Sandwich di granchio, lattuga e panzanella. Sorbetto alle erbe aromatiche di accompagnamento. Risotto limone, burrata e liquirizia. Spaghetto, ostriche e lamponi. Fusillone, peperone, mandorla e aglio nero. Melanzana, fichi e parmigiano 40 mesi. Agnello, bietola e frutti rossi. Tacos vegetale con formaggio di capra di accompagnamento. Caramello, pinoli e cioccolato. Saluti finali.