Sotto il sigillo del potere divino, la città, luogo di scambio fin dai primi istanti di circolazione generalizzata, fu soggetta a purificazione. Che sia ventre o granaio, la città è quel luogo dove le mercanzie si accumulano e si consumano prima di essere trasformate in oro. Per purificare la città bisogna arricchirla in modo da far posto ai mezzi di produzione. Ma la merda non può essere convertita in denaro attraverso la semplice eliminazione. Prima della sua restituzione in forma sublimata, essa deve nutrire gli stessi pozzi neri della sua produzione.
[Dominique Laporte, Histoire de la merde (1978) traduz. mia]
Simboli cifrati
La visione di Tundalo, conservato al Museo Lazaro Galdiano di Madrid, è un dipinto del 1500 circa attribuito alla bottega di Hyeronimous Bosch. La tempera su tavola si ispira a un testo visionario molto diffuso di un monaco irlandese, che racconta il viaggio nell’Aldilà di un grande peccatore, il cavaliere Tundalo che sprofonda in un lungo sonno mentre un angelo lo accompagna all’Inferno. Nel quadro di scuola boschiana giganteggia una montagna a forma di testa umana. Tutte le figure della rappresentazione dipinta illustrano simboli che trasfigurano i tormenti collegati ai 7 peccati capitali. La Menzogna è una scimmia. L’Avarizia è simboleggiata dalle monete scroscianti. Il tino ricolmo di vino al centro della scena con i frati e le suore nudi rappresenta la Lussuria.
A distanza di oltre cinquecento anni da questo genere di rappresentazioni simboliche, oggi, nell’era della comunicazione mordi e fuggi su TikTok dove miliardi di video auto-rappresentativi col proprio cellulare si sovrappongono e annullano l’un l’altro nel giro d’una manciata di secondi, cosa possiamo ancora attingere dalla codificazione dei saperi dei mestieri e delle arti del passato? Non c’è dubbio che ci si deve rassegnare per forza all’evidenza fattuale. Il De hominis dignitate di Pico della Mirandola è stato clamorosamente smentito e azzerato di sana pianta da qualche demente di youtuber schiattato mentre saltellava sul cornicione di un grattacielo o provava a fare la verticale in bilico sul margine di una scogliera fomentato in diretta dai suoi milioni di followers.
Alain Corbin nel suo bellissimo Storia sociale degli odori, argomenta a dovere il passaggio storico verso la privatizzazione delle feci: “Il fatto che gli odori dell’io siano stati meglio definiti, più intensamente avvertiti, non poteva non accentuare la repulsione per gli odori dell’altro.” Il grande italianista Piero Camporesi che introduce il volume di Corbin ristampato da Bruno Mondadori nel 2005, nel suo Il Paese della Fame (1978), faceva notare come: “I diavoli brandiscono strumenti da lavoro contadini, i «forconi», strettamente collegati al «letame», cioè all’elemento escrementale dispensatore di fertilità sulla terra, nutrita dai rifiuti fecali”. Ecco, la terra nutrita da “rifiuti fecali” mi pare un’immagine perfetta per simboleggiare la contemporanea profusione online dell’esibizionismo escrementizio dal buco dell’ego di ognuno con una tastiera e uno schermo in mano al posto dei forconi da diavolaccio.
Dipinto di Jan Miense Molenaer, (1609/1610–1668), Odore (1637).
Odorifici
Odeuropa è un progetto da 2,8 milioni di euro che vede coinvolti ricercatori europei e dell’UK con l’intento di archiviare gli odori, i profumi, le puzze che hanno caratterizzato l’Europa dal XVI al XX secolo. L’incenso, il tabacco, il rosmarino usato come rimedio contro la peste.
Scopo della ricerca di Odeuropa che dovrebbe durare fino al 2023 è quello di catalogare un’enciclopedia online degli odori europei in collaborazione con chimici e profumieri per ricreare gli odori del passato e sviluppare un’intelligenza artificiale che selezioni la descrizione degli odori da testi storici scritti in 7 lingue diverse.
Neppure il tempo di scommettere che a breve ci ritrovremo un’app sul cellulare che rilascia l’emissione dei sentori organolettici di un vino, i vapori di una bistecca arrosto, l’affumicato delle mazzancolle alla griglia, l’afrore degli aromi sessuali, la fragranza dei sudori e degli umori in un video su Pornhub, che a quanto pare in Giappone hanno già approntato il prototipo di uno schermo tv – Taste the TV (TTTV) creata da Homei Miyashita, professore della Meiji University di Tokyo – da leccare per sentire i sapori del cibo e offrire così un’esperienza visiva multisensoriale.
Negli anni ’80, il re del Trash John Waters col film Polyester s’inventò l’Odorama. Agli spettatori, prima di entrare in sala, veniva consegnata insieme al biglietto d’entrata una scheda chiamata Odorama Card. Il cartoncino recava dieci piastrine che strofinate emettevano ognuna un odore diverso da annusare in precisi momenti del film. I dieci odori erano: profumo di rosa, flatulenza, colla per modellini, benzina, pizza, secrezione di puzzola, gas da forno, odore di auto nuova, puzza di piedi e profumatore per ambiente. All’uscita fu pubblicizzato come “Il primo film a coinvolgere anche l’olfatto dello spettatore con fragranze vomitevoli”. In Italia lo slogan di lancio del film era: “È un film puzzesco!” L’idea dell’Odorama di Waters è stata sperimentata in alcuni Blockbuster dove in base al genere di film che stavi cercando (guerra sentimentale western) dei diffusori sulle varie sezioni emettevano odori “appropriati” alla categoria di film.
A pensarci bene, con tutti i millemila corsi e corsetti di avvicinamento al vino in circolazione, sarebbe un’idea piuttosto originale quella di ripristinare l’odorama card ma per definire da parte del corsista l’odore di coloro che tengono quei corsi: profumo di ciarlatani, sentore di cantastorie, puzzo di truffa, esalazione di trito e ritrito, aroma d’abietto, olezzo di sommerdiè. “Davvero un corso di vino puzzesco!“
La dignità del criceto
Insomma dalla Dignità dell’Uomo di Pico della Mirandola che auspicava la pax philosophica, l’autoderminazione a plasmare la personalità e la libertà di ogni specifico individuo, siamo destinati a tramutarci sempre più in miserabili cricetini della Rete pilotati dall’Algoritmo, manipolati dai Big Data nei nostri impulsi psichici più segreti; condizionati senza neppure accorgercene nelle percezioni soggettive e i giudizi di valore; plasmati da estranei fin nei nostri sensi, dalla vista al tatto, all’udito, al gusto, all’olfatto.
Questa sarebbe allora la visione di Tundalo al risveglio, lanciato nell’inferno contemporaneo della cosiddetta realtà aumentata, preso a forconate dagli abusi informatici, dalle mistificazioni e i Deepfake. Ascolta la voce presumibilmente vera, vede il volto all’apparenza reale di tante, troppe scimmie umanizzate che descrivono alla perfezione l’orografia di un territorio vinicolo, articolano persuasivi i sentori o le caratteristiche di un vino e tuttavia impersonano la Menzogna. Una menzogna sfuggente come biscia. Una menzogna avidissima ed efficacemente ambigua, indecifrabile al suo sguardo. Tundalo di fatto non riesce più a districare il vero dal falso, il buono dal cattivo, il naturale dall’artefatto e vorrebbe solo tornare a immergersi nudo in quel tino colmo di vino schietto dell’inferno precedente, assieme alle sue suore e ai preti lussuriosi tardomedievali.