Passione Gourmet Tre Olivi - Passione Gourmet

Tre Olivi

Ristorante
Via Poseidonia, 41, 84063 Capaccio SA
Chef Giovanni Solofra
Recensito da Giovanni Gagliardi

Valutazione

14/20 Cucina prevalentemente classica

Pregi

  • C'è grande cura in ogni dettaglio.
  • Il carrello dei pani.
  • Una carta dei vini che racconta bene il territorio non dimenticando il resto.

Difetti

  • Nel complesso la forma ci sembra prevalere sulla sostanza.
Visitato il 08-2021

A Paestum il nuovo ambizioso rilancio del Tre Olivi

Chi viene al Tre Olivi non viene semplicemente a cena ma per vivere un’esperienza a tutto tondo intensa e totale” in queste parole dello chef del Tre Olivi è racchiusa tutta la filosofia che anima il nuovo corso del ristorante gourmet del lussuoso Hotel Savoy Beach a Paestum.

 La famiglia Pagano che è titolare di un vero e proprio impero del gusto in zona – con l’azienda San Salvatore che è caseificio ma anche – e forse soprattutto – casa vinicola tra le più importanti e accreditate dell’intero Cilento – ha deciso di investire in maniera importante sul Tre Olivi, a dirigere il quale da poco più di un anno un anno è stato chiamato Giovanni Solofra, fresco di stella Michelin al St. George by Heinz Beck a Taormina.

Solofra, esperienze da Quique dacosta e Ciccio Sultano e poi una lunga collaborazione con Heinz Beck – insieme alla moglie Roberta Merolli, chef patissier che lo ha seguito in questa nuova avventura – ha la responsabilità oltre che, ovviamente, della cucina del Tre Olivi anche della ristorazione “ordinaria” dell’albergo, fatta eccezione per i numerosi eventi (leggi matrimoni ecc.) ospitati dal Savoy Beach la cui cucina è stata voluta nettamente separata da quella del ristorante.

Scelta importante che testimonia la volontà della proprietà di puntare con forza sul ristorante gourmet alla carta, facendo le cose “in grande”. E qui torniamo all’incipit, all’esperienza a tutto tondo che non vuole essere una semplice cena. Ed in effetti al tre Olivi non manca niente.

Dalla carta delle acque con più di qualche etichetta, al vassoio dal quale si può scegliere il sale da abbinare alla degustazione dell’olio, dal carrello dei torroni a quello molto strutturato – ed anche di eccellente livello per la verità – dei pani curato dalla bravissima Roberta Merolli con sole farine macinate a pietra da grani autoctoni cilentani, dal carrello dei confetti al fatto che ciascuno dei numerosi amuse bouche ha un simpatico nome di fantasia quasi a rimarcare come qui ogni cosa sia pensata, studiata per il piacere della clientela.

Un’esperienza ricca di racconti, suggestioni e stimoli in cui il lato scenografico è molto curato

E poi una serie di racconti sul territorio, di spiegazioni, di stimoli forniti nel corso della cena dal personale di sala e dallo stesso chef. Insomma, c’è tanto. Forse troppo potrebbe obiettare qualcuno. Questione di gusti e di punti di vista nei quali non entriamo anche se, almeno a parere di chi scrive, il futuro della ristorazione, soprattutto di quella che vuole essere “alta”, non potrà che essere caratterizzato da un ritorno all’essenzialità, alla sostanza. Comunque la si pensi, non può negarsi che c’è il rischio che ci si distragga da quello che dovrebbe restare centrale: il percorso di degustazione che al Tre Olivi è perfettamente calibrato su toni rassicuranti e “inclusivi”. La cucina rischia poco. Non c’è il colpo del KO, il piatto che ti resta.

Sembra quasi distratta dal contorno, dalla forma, troppo concentrata a sembrare indimenticabile per esserlo davvero. Come se avesse paura di rubare la scena al contesto presentando una eccessiva concentrazione gustativa. Emblematico, a nostro giudizio, il piatto Fontana o Pomodoro in cui c’è il concetto – il tributo a due grandi artisti Lucio Fontana e Arnaldo Pomodoro – l’estetica e la tecnica; il tonno è buono, il piatto è fresco ma dominato com’è dalla estrema dolcezza dei pomodori non può che risultare un po’ monocorde.

Una cucina tecnicamente ineccepibile – sia chiaro – ma che deve, a nostro giudizio, crescere in personalità, prendersi qualche rischio in più – nulla di necessariamente esagerato per carità – e soprattutto riconquistare centralità nel nome di una maggiore concentrazione di sapori.

Perché si può emozionare gli ospiti e regalare loro un’esperienza totalizzante anche solo facendo parlare dei grandi piatti.

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