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Braida

Vino
Recensito da Erika Mantovan

Rocchetta Tanaro sta a Braida come Braida sta alla Barbera

Una variabile, Braida, collegata alla storia di questo paese fatto di poche case, nel Monferrato. L’esclusività di cantine come Braida, è la capacità, quasi nascosta, di elargire saperi, profumi esperienziali, ricerca e, manco a dirlo, una bontà conclamata. È la cantina modello per la Barbera del Monferrato che, con Giacomo Bologna, è riuscita a rivoluzionare il mondo di quest’uva venduta come vino sfuso fino agli anni Sessanta del secolo scorso, poi diventata gentile, elegantissima, potente. E, soprattutto, da quotidiana diventa longeva.

Nulla fu facile, Giacomo scrisse, in etichetta (al mondo) il suo pensiero: “Il vino trasforma la sua anima in chi lo onora bevendo”. Al tempo dello scandalo del metanolo, su La Stampa fece scrivere “W la Barbera”. Un uomo di marketing o, per meglio dire, un uomo che voleva arrivare, perché aveva visto che c’era spazio per lui. Anzi, siamo al cospetto di uno di quei casi di marketing in cui il bene crea il target, e quindi il mercato. Non il contrario. Un caso di successo che ha iniziato a presentarsi con una versione di Barbera frizzante, dedicata all’anima vivace dei ragazzini monelli, da cui il nome del vino: La Monella, il primo vendemmiato nel 1961 dalla vigna ereditata dal padre Giuseppe, soprannominato, appunto, “Braida”.

Si trattava allora, e continua a essere oggi, un vino piacevole, solido, morbido e pétillant quanto basta per finire la bottiglia con gli amici. Una piacevolezza che gli venne riconosciuta con la medaglia d’oro nel 1969 alla concorso della Douja d’Or di Asti, che gli consentì l’accesso alle fiere di Genova, Torino e Milano, che furono i primi veri banchi di prova per Giacomo e per le sue interpretazioni. 

L’eleganza (rivoluzionaria) della barrique

È nota la storia dei Barolo Boys – così definiti dalla stampa americana – quando nell’albese iniziarono ad usare le barriques. Ebbene Giacomo, nel 1982, li seguì iniziando a sperimentare la Barbera in legno e, quando l’iconico Bricco dell’Uccellone, uno dei vini di punta, uscì, fu un successo tale che diede l’impulso alla produzione del Bricco della Bigotta e, nel 1989, l’Ai Suma. Diverse rappresentazioni di Barbera che con Braida diventano d’autore e che, nel tempo, si trasformano in esperienze. Certezze da prendere come esempi di stile, concentrati a restituire emozioni diverse nel bicchiere per creare stupore a ogni assaggio.

Cosa significa (interpretare) Braida?

E come spesso accade nelle aziende a gestione familiare, gli eredi hanno, sin dalla nascita, la possibilità di continuare a disegnare il percorso intrapreso dai padri e, con essi, sognare. Vedere oltre l’attuale per esplorare nuove strade. E Raffaella e Beppe Bologna oltre a condividere lo spirito e la risata contagiosa di Giacomo hanno sviluppato l’azienda commercialmente lanciando e posizionando i nuovi e vecchi progetti del padre. Come quello nato a Trezzo Tinella, nella tenuta Serra dei Fiori quando, nel 1988, si iniziò a piantare varietà autoctone bianche tra cui la Nascetta.  

“In cima al monte il vecchio contadino, dà un calcio alla conchiglia che ha trovato, ed è eccitato come un ragazzino: domani questo mare sarà vino”. 

È il leitmotiv del Montebruna, un assemblaggio di diversi appezzamenti di terreno che oggi costituiscono questa Barbera la cui prima raccolta è iniziata nel 2001. Quanto ai suoi amanti presenti, e a quelli futuri, Braida dona loro, già in etichetta, un consiglio:

Amanti da coinvolgere anche con le altre uve autoctone. Un esempio? Il Grignolino Limonte, un vino che prende il nome dal suolo, ricco di limo. Un sorso che proietta una lunga conversazione che invita a porsi un domandone classico, quando si parla di grignolino: “L’affinamento in legno è necessario?”. In questo caso, ci sentiamo di rispondere di no perché il frutto, docile, è asservito al suolo. Ne deriva carattere e un’eleganza ottocentesca.

Eppure mancava qualcosa – non sempre c’è una regola fissa quando si tratta di interpretare l’arte – e la soggettività univoca di ognuno di noi invita a ricercare sempre la verità, in questo caso, la personalità, l’agio della cantina. Che si coglie nel Bacialé, nome che in dialetto piemontese, indica colui che combina i matrimoni. Dal 1994 la Barbera si innamora di altre uve, non si risparmia, cede il frutto e l’acidità per proteggere il territorio, per lasciarsi invadere da una dolcezza più grande, data dal Merlot, ma anche da ulteriori picchi di freschezza e struttura dati dal Cabernet Sauvignon (inserito nel 2016) e dal Pinot Nero. I dodici mesi passati in legno insegneranno al vino a unirsi, a nascondere le imperfezioni di ogni varietà così da offrire un sorso laccato, soffice, sugoso e vivo.

Barbera d’Asti Docg Bricco dell’Uccellone 2017

È tra le immagini più rappresentative dell’azienda, il suo nome è il soprannome di una donna che viveva nella collina delle vigne o, per meglio dire,  del suo naso, che ricordava il becco di un uccello. Si potrebbe pensare a un affinamento più lungo di 12 mesi considerati i netti aromi al naso di bacelli di vaniglia, ma subito affiancati da sfalci d’erba, funghi e terra bagnata; la materia ha solo bisogno di respirare. Inizia il racconto del mondo della doppia “B di Braida”, Barbera Braida che, tra pietra bagnata sambuco e marasca, confida la sua voglia di vivere a lungo. Il potenziale evolutivo è racchiuso in una scattante potenza data da un mix di fattori, tra legno e suolo, che confermano l’unicità di questo vino, per stilistica e longevità. 

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