Passione Gourmet Barolo Borgogno Riserva 1961  - Passione Gourmet

Barolo Borgogno Riserva 1961 

Vino
Recensito da Orazio Vagnozzi

Una storia d’Italia

Questo Barolo Borgogno Riserva 1961 arriva direttamente dalla cantina. Il vino, che ha passato 10 anni in botte e oltre 50 in bottiglia, ha subito un affinamento straordinario: un “livello superiore” di visione.

Cent’anni prima, in occasione dell’Unità d’Italia, il 1861 – anno in cui, peraltro, nelle Langhe arrivava lo zolfo dalla Sicilia per salvare le vigne dall’oidio – il Barolo Borgogno sigilla il patto al pranzo celebrativo. Ricostruzioni e salvataggi in un unico anno, dunque, che chiaramente diventa immediatamente simbolico.

Gli inglesi direbbero “rewrite the stars”, reinterpretare il destino, viverlo e progettarne modifiche, perché è possibile. Attraverso un approccio alla vita e alle montagne da superare, che Borgogno, senza dubbio, ha oltrepassato.

Iconica, a questo proposito, la cancellata in ferro battuto che occhieggia proprio dalla curva che da Barolo conduce a La Morra: è incorniciata da alberi e già s’intravvedono vigneti messi a dimora sui terrazzamenti in pietra.

L’azienda, che fu fondata nel 1751 da Bartolomeo Borgogno, prosperò già durante la Belle Époque: un periodo coronato dalla grande Esposizione Universale di Parigi che, nel 1900, sanciva la sua fiducia nel futuro mediante grattacieli, auto, aeroplani e i primi vagiti di quello che oggi chiamiamo design.

Il moderno, frattanto, era arrivato anche nel Barolo. I cinema, il can can, la moda, e difatti Borgogno già si trova nei salotti e nei circuiti giusti d’Europa: era il 1908 quando la cantina presentava un Barolo al banchetto in onore di Nicola II Romanov, Zar di tutte le Russie, in visita ufficiale al Castello di Racconigi.

Più tardi, poi, una vicenda legale: frainteso il nome, Borgogno, con la blasonata regione viticola “Borgogna”, nel 1955 tramite l’Institute des Appellations d’Origines accuserà la Casa piemontese di averne copiato il nome. Un nome che nel 1967 diventerà Giacomo Borgogno & Figli, e pace fu.

Casa Borgogno e la modernità

Dal 1968 la conduzione dell’azienda passa a Ida e al futuro marito Franco Boschis. La qualità e l’expertise rimangono a livelli altissimi tanto che, nel 1972, un Barolo 1886 raggiunge la cifra di 530.000 lire in un’asta di vini storci tenutasi a Torino. Arrivando, poi, ai giorni nostri, dal 2008 Borgogno è di proprietà della famiglia Farinetti, ed è proverbiale l’entusiasmo e l’attaccamento di Oscar Farinetti nei confronti di un’azienda che, dal 2010, è gestita dal figlio Andrea, subentrato dopo aver terminato gli studi alla Scuola Enologica di Alba.

Nel 2009 è iniziata la ristrutturazione degli uffici, che ha coinvolto anche la produzione, con un occhio verso il passato: dal 2013, infatti, seguendo una secolare tradizione langotta, Borgogno ha ripreso il cemento per le fermentazioni cui è seguita nel 2015 la conversione al biologico e l’acquisto di 3 ettari nel tortonese per la produzione di Timorasso.

L’investimento più recente, in ordine di tempo, riguarda quello avvenuto nel 2016 una delle posizioni più belle delle Langhe, sopra Alba, a Madonna di Como. Questi 11 ettari vanno ad aggiungersi ai 20 già di proprietà: un totale di 39 ettari, di cui 8 coltivati a bosco e 31 vitati (26 a bacca rossa e 5 a bacca bianca). Il 60% è coltivato a Nebbiolo mentre il restante si suddivide tra Dolcetto, Barbera e Freisa.

Tra i cru migliori posseduti spiccano quelli di Liste (6,75 ha), Cannubi e Cannubi San Lorenzo (1,3 ha), Fossati (3,2 ha) e San Pietro delle Viole (4 ha).

Barolo Borgogno Riserva 1961 

La bottiglia, in magnum, vanta un livello perfetto. Prodotto, come da tradzione, con uve raccolte in diversi appezzamenti, già dall’aspetto brillante e dal colore granato scuro con riflessi più chiari, senza derive aranciate, si intuisce l’integrità di questo vino che al naso offre profumi di ribes e prugna, balsamici di anice e menta, e di terra, rappresentata dalla carruba, dall’humus e dalla corteccia di pino. Quanto ai terziari, sono nobili: cenere di camino spento, rosa appassita, cuoio, anticipano una bocca che non tradisce l’aspettativa creata dalla piacevolezza e dalla complessità olfattiva. Ci si imbatte così nell’incanto di un tannino levigato, che ha perso ogni spigolo, acquistando materia in morbidezza ed eleganza, a cui si unisce un’acidità succosa, inaspettata, che dona polposità e bevibilità. Anice, cardamomo e frutta sotto spirito allietano il retrogusto: grandissima, del resto, è la persistenza gustativa. Dopo 60 anni, oltre che un gran vino, bisogna lodare una grande bottiglia.

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