Una vigna, sei vignaioli, e tutti i valori del vino
Questa storia incomincia con una vecchia vigna abbandonata, in vendita, in quel di Marsala, e prosegue col consesso di sei amici, sei produttori, che decidono di recuperarla e farne un vino condiviso che fosse foriero dei valori di ciascuno. Quel vino arriva a Williamsburg, Brooklyn, presso l’Have & Meyer, quartier generale di due “freaky Italian dreamers” come Alessandro Trezza e Monia Solighetto, di cui vi abbiamo già parlato qui: ne nasce un documentario che è anche un manifesto denso di valori e di bellezza.
All’anagrafe parliamo di Nino Barraco, Stefano Amerighi, Corrado Dottori (La Distesa), Francesco Di Franco (A’ Vita), Giovanni Scarfone (Bonavita) e Francesco Ferrari della pantesca Tanca Ninca: la loro prima vendemmia è dell’agosto 2019 ma già le prime bottiglie assaggiate, che vedono la luce nel 2020 col nome di Halarà, sono così eloquenti da convincere Alessandro Trezza e Monia Solighetto a partire, un anno dopo, alla volta di Marsala per documentarne vendemmia e raccontarne una storia. “Volevamo in primo luogo prenderci una piccola rivincita contro lo stereotipo degli italiani che non sarebbero in grado di fare squadra tra loro e dimostrare che, ancora una volta, la differenza la fanno le persone; al contempo, abbiamo sentito la necessità di documentare la nascita di un grande vino.”
All’anagrafe parliamo di Nino Barraco, Stefano Amerighi, Corrado Dottori (La Distesa), Francesco Di Franco (A’ Vita), Giovanni Scarfone (Bonavita) e Francesco Ferrari della pantesca Tanca Ninca: la loro prima vendemmia è dell’agosto 2019 ma già le prime bottiglie assaggiate, che vedono la luce nel 2020 col nome di Halarà, sono così eloquenti da convincere Alessandro Trezza e Monia Solighetto a partire, un anno dopo, alla volta di Marsala per documentarne vendemmia e raccontarne una storia. “Volevamo in primo luogo prenderci una piccola rivincita contro lo stereotipo degli italiani che non sarebbero in grado di fare squadra tra loro e dimostrare che, ancora una volta, la differenza la fanno le persone; al contempo, abbiamo sentito la necessità di documentare la nascita di un grande vino.”

Un grande vino, declinato in tre etichette, mirificamente capaci di conciliare l’armonia delle forme con la vena agreste. E posto che, per loro, un grande vino sia qualunque vino “capace di canalizzare i valori dei produttori che gli danno vita“, che è poi anche questa, in estrema sintesi, la definizione di “vino naturale” sposata da Alessandro Trezza e Monia Solighetto, Halarà diventa foriero e custode di valori come protezione, cura, introspezione e calma: una calma storica, collettiva e intima, come del resto suggerisce anche il nome attinto, pare, dal mondo culturale ellenico.

In vigna Halarà consta, per il momento, di appena due ettari di vallata, in Contrada Abbadessa, esposti a nord, su argille compatte e sottosuolo calcareo due uve di oltre trent’anni di età, allevate ad alberello marsalese, di Catarratto e Parpato: un vitigno reliquia, quest’ultimo, parente lontano della Granache e altrimenti conosciuto col nome di Quattro Rappe: era di moda all’inizio del Novecento, quando venne privilegiato in luogo del Pignatello perché considerato più adattabile ai terreni siccitosi e ventosi della zona, poi caduto in inesorabile disgrazia, tanto da essere, oggi, quasi estinto.
Da questa storia, e dai valori che l’hanno mossa, nascono oggi un vino bianco, un rosso e un rosato, nonché il bel documentario cui si accennava dianzi. Che è la storia di una nuova vita.


