Valutazione
Pregi
- Una location curata con gusto.
- Servizio premuroso.
Difetti
- Troppa insistenza nel “consigliare” i percorsi degustazione.
- Dessert sottotono.
Una divertente realtà nel cuore della Puglia
Carovigno è una città di confine: essa si trova infatti nel bel mezzo di due tra le mete pugliesi più frequentate: il Salento e il Sud Barese. Inoltre, si tratta di un territorio particolarmente votato all’enogastronomia, con molti locali e cantine interessanti: tutti meritevoli di essere visitati.
Tra questi vi è sicuramente Dissapore, aperto da circa tre anni, nel centro storico della cittadina. Qui officia Andrea Catalano, figlio d’arte nato e cresciuto in una famiglia di ristoratori. Dopo esser stato iniziato alla cucina dal papà, Andrea va in giro per esplorare nuove cucine e apprenderne le tecniche e, nei suoi piatti, si ritrova un concentrato di tutto questo unito a una scrupolosa ricerca delle materie prime e una buona tecnica, con risultati, in alcuni casi, davvero pregevoli.
Il menu prevede una serie di percorsi degustazione consigliati (anche troppo…) dal personale di sala ed una carta in cui spicca la sezione “risotti e spaghettoni allo stesso gusto” dove, in sostanza, si può scegliere se avere un riso o una pasta come base per gli stessi ingredienti.
Prodotti locali reinterpretati con originalità
Si inizia con degli sfiziosi appetizer tra cui una croccante pelle di pollo fritta e dei simpatici e gustosi croccanti di caciocavallo e nocciola. Vari e di ottima fattura i pani e i grissini, con le chiacchiere (sfoglie croccanti) alla barbabietola che possono creare dipendenza.
La prima portata è un inno all’estate, una zuppetta di pomodoro di Torre Guaceto con anguria e sgombro, dove l’incredibile intensità del vegetale relega a ruolo di comprimari l’anguria (poco croccante nonostante l’osmosi) e uno sgombro fin troppo delicato. Solo apparentemente semplice l’insalata di polpo, invero una delle migliori versioni assaggiate quest’anno, dove il cefalopode è arrostito (perfettamente) e adagiato su un letto di ortaggi croccanti con un delicato brodo di cipolla rossa di Acquaviva, capace di apportare una nota fresca e acidula al piatto.
Ben eseguito il risotto – millimetrica cottura del chicco! – ma purtroppo il sentore del limone monopolizzava il palato coprendo il delicato sapore del crudo di triglia e tonno. Divertentissima, invece, l’insalata di spaghetti, unico passaggio “estremo” del percorso, in cui l’azzardo dello chef ripaga: la pasta fredda, condita con una crema di mozzarella e pomodoro fiaschetto, si bea di un bel gioco di consistenze e lascia la bocca rinfrescata e pulita in vista delle successive portate.
Il baccalà, dalla cottura tecnicamente perfetta, abbinato ai piselli (non proprio di stagione) e all’amaro della cicoria, risulta monocorde e non riesce a incidere come gli altri passaggi. Sottotono il reparto dei dessert, la mousse con mango e croccante al sesamo resta una portata semplice in cui gli ingredienti non si armonizzano.
Volenteroso e premuroso il servizio, bravo a farsi perdonare alcune piccole sbavature. La carta dei vini è essenziale e focalizzata in larga parte su etichette regionali.
Nel complesso una bella realtà, in cui si sta bene, e con ampi margini di crescita, che vorremmo premiare esortando lo chef a osare di più, superando alcune preparazioni già viste altrove e dal facile ritorno gustativo.
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