Passione Gourmet Boragò - Santiago del Cile - Scheda 2020 - Passione Gourmet

Boragò

Ristorante
av San Josemaría Escrivá de Balaguer 5955, Vitacura, Región Metropolitana, Cile
Chef Rodolfo Guzman
Recensito da Giacomo Bullo

Valutazione

16/20 Cucina prevalentemente di avanguardia

Pregi

  • La scoperta di ingredienti sconosciuti.
  • Una cucina creativa e autoriale.

Difetti

  • In alcuni casi la sala ci è sembrata impreparata.
  • La ricerca sulla cucina non va di pari passo con la pasticceria.
Visitato il 10-2019

Endemicamente Guzman!

Lungo i suoi 4300 km, come sottile spina dorsale di tutto il continente sudamericano, il Cile rappresenta uno dei paradisi per biodiversità paesaggistica, culturale, etnica e non di meno gastronomica. Le origini del popolo cileno affondano nella civiltà Mapuche, primo popolo ad abitare queste terre. Il nome stesso di questa civiltà rimanda a “popolo della terra” ed è proprio da questa terra che il Paese raccoglie i suoi frutti: dalle lande desertiche dell’Atacama fino alle steppe patagoniche, la varietà dei prodotti di questo territorio meraviglia chiunque abbia la possibilità di provarla.

Interprete e indiscusso portabandiera di una realtà come questa dalla natura tipica ed esclusiva, specie-specifica potremmo dire, di questo territorio è lo chef Rodolfo Guzman nel suo Boragò a Santiago del Cile che, a oggi, è riuscito a declinare il concetto di cucina endemica scavando nella concezione storica del sapore, comprendendone tecniche, origini e cultura. Guzman crea una nuova realtà, unifica rinnovamento e genuinità gastronomica facendo rientrare nel suo gioco ingredienti sì cileni ma che nel corso della storia sono stati scartati per disaffetto, difficoltà di manipolazione o, addirittura, per mancanza di conoscenza. Con ciò il Boragò è riuscito a spostare sempre di più quel baricentro che lo ha reso non solo un celebre ristorante, ma un centro di cultura trascendente la tecnica.

Cucina come cultura

Ecco allora il picoroco, mollusco delle scogliere cilene rappresentativo per salinità, immancabile ingrediente per il curanto: ancestrale cottura dei molluschi su pietre roventi. In questo caso il picoroco è servito crudo in abbinamento alle mandorle in un saliscendi agrodolce di pregevole finezza iodata. Sull’accordo dell’acidità gioca anche la timbrica del cervo, servito nella sua primitiva texture e abbinato alla freschezza dell’acetosella e alla spinta umamica del kastuobushi di cervo stesso. Dalle scogliere all’isola tropicale di Chiloé passando per le Ande in un passaggio dove questo crocevia di territori e ingredienti crea una sequenza di piatti di non facile comprensione tra cui fiori grigliati, funghi in vescica di alga Koloff e milcao alla brace (una via di mezzo tra un pancake e un rösti di patate).

Tuttavia se la variopinta vastità del mondo vegetale del Boragò è tra i suoi punti di forza, non da meno è la spinta sul regno della proteina animale. Il duplice servizio del congrio, una specie di anguilla autoctona, rievoca anche qui tecniche antiche di cottura: prima grigliata con caramello di mare e trifoglio di roccia, poi al rescoldo, ossia in un involucro di argilla e aromatizzato con foglie di fico cotto sotto la cenere. Oppure l’anatra maturata nella cera d’api è arrostita sulla brace e accompagnata da foglie di prugno fermentate nel miso di mora patagonica; il risultato? Una vera esaltazione della succulenza delle sue carni e il cui morso ricorda immediatamente le verticalità millimetriche raggiunte dal piccione ai frutti rossi acidulée di Michel Troisgros. Infine l’agnello, feticcio tradizionale del mondo sudamericano, cotto lentamente per nove ore su brace di legno Tepù. Il miglior agnello forse mai assaggiato per texture scioglievole delle carni e la per la cotenna, incredibilmente croccante.

Ristorante, centro di sperimentazione, centro culturale, è difficile dare una definizione precisa di Boragò al punto che, al termine dell’esperienza, si esce quasi frastornati per la densità delle esperienze vissute. Ciò premesso, tuttavia, non possiamo tacere quegli elementi che, da soli, hanno costituito il vero limite della nostra visita, e relativo punteggio, calcolato per appunto al ribasso: in primo luogo, la sala la quale, dato il livello di complessità della proposta, non riesce a stare al passo né coi ritmi né con l’erudizione richiesta dalla cucina; in secondo luogo, i dessert i quali, in proposte ad alta densità semantica ed antropologica, come questa, finiscono per essere spesso meno efficaci.

Eppure non sottovalutatene gli effetti: servono giorni o addirittura settimane per comprendere l’ampiezza culturale di Boragò ed è esattamente questo, crediamo, il valore del lavoro di un cuoco come Rodolfo Guzman.

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