L’Agnello
Storia di una risemantizzazione
Complice la mitezza del carattere, quella ovina fu tra le prime specie animali a “beneficiare” dell’attenzione dell’uomo e, come tale, a entrare nelle grazie del suo immaginario mistico, simbolico e rituale. Tra tutti gli animali esistenti e, complice la sua triplice vocazione – trina, direbbe qualcuno – la mansueta pecora è stata ecumenicamente “consacrata” tanto che, a differenza di altre specie (pensiamo ai bovini, alle capre e ai suini) è stata allevata a tutte le latitudini, presso tutti i popoli e presso tutte le religioni.
Ebbene, è precisamente a proposito di religioni che occorre fare, all’indomani di questa straniante Pasqua 2020, una premessa. Come già detto per l’uovo e per il carciofo, la pecora e precisamente l’agnello compare nei costumi alimentari rituali della Pasqua cristiana come diretta adozione dalla Pasqua ebraica che, dalla sua, è abitata dal sacrificio dell’agnello quale topos ricorrente dell’Antico Testamento. Quanto al Nuovo Testamento, invece, dell’agnello non v’è traccia se non come testimone di un passaggio di prospettiva: Giovanni Battista accoglie Gesù apostrofandolo “l’Agnello di Dio” e proprio in questa frase si cela la traslitterazione del destino sacrificale dall’agnello, appunto, al figlio di Dio.
Quello che, dunque, campeggia sulle nostre tavole durante il pranzo pasquale è un costume rituale adottivo che nulla ha a che fare con la ricorrenza cristiana e di cui costituisce, semmai, una semantizzazione posteriore, avvenuta solo in seno al contesto di agiatezza del dopoguerra. Quanto a lei, la pecora comune, essa è l’esito di un paziente lavoro di selezione della razza operato dall’uomo che, nel corso della sua stessa evoluzione, ne ha ricavato un animale che fosse lui utile ad almeno tre scopi – latte, carne e lana, o pelle – al punto che oggi ci troviamo di fronte a quasi 440 incroci realizzati solo nell’arco degli ultimi quattro secoli. Tra queste, la razza più diffusa è la Suffolk che, dall’Inghilterra, si trova oggi in circa 40 paesi seguita dalla spagnola Merino e dall’olandese Texel. Se si considerano, tuttavia, i ceppi derivati dall’originaria Merino allora questa passa al primo posto di questo podio ideale.
Eccovi allora un piccolo atlante che, speriamo, possa esservi utile per comprendere il composito mosaico italiano delle razze ovine da carne, con un jolly.
Appenninica
Da esemplari autoctoni presenti sulla dorsale appenninica italiana deriva questa razza, prevalentemente da carne, adatta a qualsiasi ambiente, anche a quelli più impervi. Per questo è stata adottata in tutto l’arco appenninico centro-meridionale dove, oltre che con gli agnellini, contribuisce alle cause dell’uomo attraverso il latte il cui grasso – all’8% – la consacra alla produzione del Pecorino Toscano, così come alla lana da materasso di cui si ricavano circa 2,5 kg dagli arieti e 1,5 kg dalle pecore.
Barbaresca
Dall’incrocio della razza siciliana Pinzirita con arieti di razza nordafricana Barberin (del versante nord Africa) a coda grassa, la Barbaresca oggi ha casa nell’entroterra siciliano meridionale, in provincia di Caltanissetta, e in altre zone collinari dell’Italia meridionale. La particolare attitudine alla carne le è attribuita non tanto dal peso degli agnelli quanto dall’elevata percentuale di parti gemellari, fino al 40%. Il suo latte è alla base della produzione del Pecorino Siciliano DOP.
Cornigliese
Antica razza creata dall’incrocio con la spagnola Merino all’epoca dei Borboni per aumentarne le potenzialità, la Cornigliese abita oggi i pendii delle zone montane delle province di Reggio Emilia, Modena, Ravenna, Forlì Cesena, Bologna e si spinge fino alle pianure ferraresi, benché abbia come territorio di riferimento il Parco Regionale delle Valli del Cedra (PR). La sua natura nomade le conferisce carni particolarmente magre e dall’aroma caratteristico; assieme alla Gigante Bergamasca è una delle poche, in Italia, a essere consumata cruda.
Fabrianese
Una razza sintetica derivata dall’incrocio e successivo meticciamento realizzato negli anni ’60 tra arieti di razza Bergamasca e pecore appartenenti alla popolazione dell’Appennino marchigiano, in particolare nelle provincie di Ancona e Macerata. Oggi la si trova tra le Marche e l’Umbria dov’è utilizzata anche per la produzione di latte atto a divenire Casciotta di Urbino e Formaggio di Fossa di Sogliano.
Garfagnina bianca
Tra le razze ovine di interesse locale la Garfagnana bianca vanta origini antichissime: ne parlava già Columella nel De re rustica. Allevata quasi esclusivamente nella Garfagnana, nella Valle del Serchio e nella Val di Magra (Lunigiana e zona di Pontremoli) e, sporadicamente, in Abruzzo, questa razza si vota straordinariamente anche alla produzione di latte, dal quale si producono sia formaggi stagionati che ricotte.
Gentile di Puglia
Ottenuta dagli incroci effettuati già sotto Federico II di Svevia tra pecore di razza locale Carfagna e arieti Merino provenienti dalla Spagna, benché legata alla provincia di Foggia la Gentile di Puglia si trova oggi anche in Campania, in Molise, in Abruzzo, in Basilicata e in Calabria, dove si è diffusa per via della pregevole lana e per le carni saporite, dalla grana fine e ben bilanciate nella componente lipidica.
Gigante Bergamasca
Di probabile, remota provenienza sudanica (famiglia a orecchie pendenti e profilo montonino), etnicamente è da collocarsi nel gruppo delle razze alpine alle quali si avvicina per caratteri morfologici e attitudinali pur distinguendosi da esse principalmente per la caratteristica taglia, da cui mutua il nome. Originaria di Clusone in Val Seriana è oggi diffusa in tutte le Prealpi bergamasche nelle province di Sondrio, Como e Brescia e, benché sia proverbialmente considerata la migliore razza italiana per la produzione di carne, cui si vota grazia a un’etologia molto coerente con la sua anatomia – è sempre in movimento e si nutre esclusivamente di erbe spontanee – non è affatto conosciuta al di fuori della sua zona d’origine. È comunque sopraffina: tanto da farsi apprezzare anche cruda oppure solo dopo lentissime, sapienti cotture.
Merinizzata italiana
Dalla popolazione poli-meticcia ottenuta incrociando Gentile di Puglia e Sopravissana con tipi genetici della Merino di derivazione europea, la Merinizzata italiana abbraccia una grande famiglia dell’Italia centro-meridionale protagonista negli ultimi tempi di una selezione genetica ulteriore volta a migliorarne l’attitudine alla produzione sia di carne che di lana.
Laticauda
Da latte e da carne, questa razza ha avuto origine dall’incrocio tra la Barbaresca e l’Appenninica locale. Un tempo allevata nelle sole provincie di Avellino e Benevento, vista la sua predisposizione alla produzione della carne è andata diffondendosi in altre regioni benché la si consideri specie-specifica delle province di Avellino, Caserta, Benevento e Matera. Dal suo latte si ricavano anche molti dei Pecorini locali.
Pomarancina
Tra le razze ovine di interesse locale, l’autoctona di Pomarance, in provincia di Pisa, è attualmente allevata, oltre che nel suo comune di origine, anche a Volterra e a Montecatini. Benché la sua attitudine secondaria sarebbe il latte la sua mungitura avviene assai di rado giacché se ne privilegia, e da tempo immemore, la carne. Si tratta infatti di un esemplare rustico allevato in ambienti di alta collina, allo stato brado e semi-brado per tutto l’anno e con modeste integrazioni di fieno, solo in caso di necessità.
Sopravissana
Razza derivata dagli ovini di Visso, in provincia di Macerata, sui monti sibillini, il primo esemplare fu ottenuto nella seconda metà del XVIII secolo grazie dall’incrocio con arieti Merino spagnoli, francesi di Rambuillet e, più tardi, coi Gentili di Puglia. La Sopravissana è oggi particolarmente diffusa in Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e Toscana. Madre del romanesco abbacchio è anche responsabile della produzione del celebre Pecorino di Picinisco.
Pres-sales du Mont-Saint-Michel
Prodotto tutelato nell’Unione Europea, la carne che fruisce della denominazione d’origine Prés-salés du Mont-Saint-Michel proviene da agnelli di età inferiore ai 12 mesi le cui caratteristiche sono conferite dal pascolo marittimo e ottenuti da montoni riproduttori di razza Suffolk, Roussin, Rouge de l’Ouest, Vendéen, Cotentin, Avranchin, Charollais o da maschi nati da madri di allevamenti praticanti la pastorizia in paludi salmastre, caratteristica principale di questo prodotto tradizionale della baia di Mont-Saint-Michel, dove si perpetua sin dal X secolo. Come attesta lo scritto di Pierre Thomas du Fosse, saggio e letterato di Rouen: “L’erba del litorale è come il timo selvatico, conferisce alla carne ovina un gusto così squisito che si è tentati di lasciar perdere le pernici e i fagiani.“
*In copertina un frammento del Polittico dell’Agnello Mistico di Hubert e Jan van Eyck.