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Il dualismo del Pinot Nero

Vino
Recensito da Sofia Landoni

Torrevilla apre il sipario su sei Pinot Nero dal mondo

Per qualcuno è diventato quasi una sfida, per qualcun altro è l’oggetto del desiderio, mentre per altri ancora il Pinot Nero rimane uno sprone che tiene sempre desta l’attenzione – e la passione – in vigneto. Alcuni dicono sia il vitigno più difficile da coltivare, altri lo vedono come l’incarnazione dell’eleganza; per qualcuno tale uva si potrebbe impersonificare nella figura di Federico Fellini, tanto è evidente la traccia della sensibilità fine ma decisa che palpita dentro questi acini.

Il Pinot Nero è una varietà che affonda radici in una storia lontana e ramificata, che ha toccato diversi lembi del mondo e della nostra stessa penisola. A partire dalla fine del 1800 il Pinot Nero si diffuse anche in meridione, in particolar modo in Sicilia. Alcuni studi, addirittura, ipotizzano un’origine lucana del vitigno, che, tuttavia, ha scelto in autonomia il suo luogo di elezione: la Francia. Sono infatti i climi più freschi e le latitudini più elevate a esaltare quelle doti di eleganza e di finezza che lo hanno reso un’icona di stile in tutto il mondo del vino.

Ma se è vero che il Pinot Nero ha trovato la propria immagine riflessa nell’eleganza, è altresì vero che esso si è reso noto fra gli agronomi e gli enologi anche per quelle difficoltà produttive legate alla sua ampelografia e alle sue attitudini. Non solo charme, quindi, ma anche ostilità e, in certa parte, diffidenza. Un vitigno che non si concede facilmente, il Pinot Nero, e che sa prendersi i suoi tempi e le sue distanze. Sa dire di no e sa dire di sì, sa spogliarsi delle proprie difese o sa inasprirle fino a respingere chiunque. Un vitigno non facile, che si identifica certamente nell’eleganza ma che, forse, la riserva a pochi. Pochi terreni, pochi climi, pochi produttori.

Il Pinot Nero è uno dei vitigni che ha trovato più interpreti nella storia del vino e che ancora ne attira a migliaia. Tutti desiderano confrontarsi con esso e dipingerlo nella sua trama di finezza. Impresa di non facile riuscita, questa, poiché il Pinot Nero cambia davvero moltissimo in base alle condizioni che lo abbracciano, prima fra tutte il terroir, comprensivo di microclima e  latitudine.

Sulla Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese si legge del “ vigore elevato delle viti che complica la gestione della chioma, la sensibilità alla botrite e all’oidio, la difficoltà di avere una maturazione fenolica contemporanea nelle bucce e nei vinaccioli che spesso è alla base di un contenuto nel vino di tannini poco polimerizzati, la mancanza di antociani esterificati che rende il colore poco stabile e che tende con l’invecchiamento all’aranciato, la facilità con la quale accumula gli zuccheri nell’uva che comporta un ridotto contenuto in acidi nel mosto. In vinificazione è spesso vittima dell’acescenza se non si gestisce in modo corretto il cappello. Sono dimostrati sia il ruolo più favorevole delle follature nei confronti dei rimontaggi nell’estrazione del colore e dei tannini meno aggressivi sia il vantaggio che comporta nella complessità sensoriale la malolattica in barrique nei confronti di quella in acciaio. È quindi un vitigno capriccioso che si esprime in vini ineguagliabili solo in ambienti dalle caratteristiche molto particolari e che per questo non può essere paragonato al Cabernet o allo Chardonnay per la loro capacità di adattamento a climi molto diversi. Inoltre esige sia in vigneto, prima nella scelta dei cloni e quindi nel controllo della produzione per ceppo, che in cantina nelle attenzioni durante la vinificazione, una cura maniacale fatta di accorgimenti e soluzioni, tenute accuratamente segrete dal produttore. Per queste sue caratteristiche è il vitigno che meglio sa esprimere nel vino i segreti più intimi di un terroir e la sensibilità interpretativa del vinificatore”.

Le parole di Attilio Scienza e di Mario Maffi aprono un sipario sulla complessità del carattere del Pinot Nero e della sua natura affatto banale. Questo vino che piace a tutti – difficile non rimanere incantati difronte alla classe suadente di alcune sue espressioni – in realtà non è per tutti.

L’azienda Torrevilla è oggi una delle principali realtà in Oltrepò Pavese che si stanno dedicando alla ricerca e allo studio in merito a tale vitigno. Per Gabriele Picchi – direttore ed enologo dell’azienda – il Pinot Nero è uno dei più interessanti volti dell’Oltrepò Pavese, se non addirittura il più rappresentativo e il più identitario. Vogliono focalizzare l’attenzione su questo principe dal carattere contorto e difficile ma capace della più avvenente cavalleria. Gabriele afferma che c’è ancora molto da studiare e da osservare del Pinot Nero in Oltrepò. Ma per loro questa non è altro che una delle migliori avventure, quelle che ricordano tutti i giorni a un enologo quale sia la parte entusiasmante del proprio lavoro: la scoperta, lenta e stupefacente, di un vitigno, di un vigneto, di un terreno, di tutto quell’ammontare di vita che sfugge continuamente dalle dita che lo sfiorano e che attrae senza sosta gli occhi pervasi dalla curiosità.

Per tale ragione, Torrevilla ha voluto confrontarsi, completamente alla cieca, in una degustazione di 6 espressioni di Pinot Nero 2016 provenienti da diverse zone del Globo. Un interessante esercizio, anche questo, per leggere le innumerevoli forme di un vitigno, le uniche e irripetibili modalità di relazione che esso crea in territori differenti e, soprattutto, i mille colori della sua eleganza.

Greywacke, Pinot Noir 2016_ Nuova Zelanda

Naso sensibilmente tostato seppur perfettamente integrato a quello sfondo che si compone di ribes, bacche di ginepro e un vago accenno sulfureo. La bocca è fine e austera. La percezione tannica è in evidenza ma comunque vellutata. Rude e vibrante, ma di buono charme. Tende verso lo stile borgognone, forse nel tentativo di ricalcare un’immagine divenuta icona.

Domaine Roger Belland, Santenay Rouge “Charmes” 2016_ Francia

Marmellata di fragole, al naso, con quella nota lattica di burro che amplifica la dolcezza del primo impatto. Una leggera nota di cannella e una più marcata di uva fragola calcano la morbidezza, che si riscontra specularmente in bocca. A tale rotondità aromatica corrisponde un’acidità, al contrario, ben netta, che sfocia nell’accentuato finale amarognolo.

Falkenstein, Blauburgunder 2016_ Südtirol

Naso di frutta secca, marzapane, mandorla. Emerge una parte speziata di pepe, anice e chiodo di garofano, sullo sfondo fruttato di ciliegia e amarena. La bocca si dipinge in un bell’equilibrio, protratta in una freschezza vivida. Il tannino è presente ma ben integrato nell’equilibrio complessivo, senza alcuna ruvidità e senza alcuna irruenza. Finale piacevolmente amaricante.

Torrevilla, Pinot Nero Riserva 110 2016_ Oltrepò Pavese

La frutta rossa matura si lega alle spezie in un naso festoso dai tratti esuberanti, nel frutto. Affiora, dopo poco, una parte più scura che ricorda il fungo e la terra, e che conferisce un certo nerbo. Al palato conferma il dualismo fruttato e terroso, nell’espressione carnosa del vitigno. Fine e di grande bevibilità, mostra un tannino ancora giovane e in via di evoluzione, nella ricerca del proprio binario e della propria espressione territoriale.

Domaine Bertagna, Bourgogne Hautes-Côtes de Nuits “Les Dames Huguettes” 2016_ Francia

Molto fine. Già il naso mostra una classe del tutto particolare, leggiadra e composta. La frutta rossa di bosco convive con estrema discrezione con lo sfondo di pepe nero e la bacca di ginepro, da cui fuoriesce una punta balsamica. La bocca è vellutata, in tutto il suo complesso, così come lo è il tannino, che presenta straordinarie doti di omogeneità. Chiusura lunga e armonica sul perno di una puntina amaricante.

Domaine Bertagna, Chambolle Musigny Village 2016_ Francia

Il frutto, qui, è rotondo. È un frutto maturo e morbido, succoso. La componente fruttata ingentilisce il bouquet apportando un tocco di grande signorilità. La bocca è carnosa, gustosa ed equilibrata. La sua classe risiede, in questo caso, in una certa solarità espressiva, che cede il passo alla rotondità invece che all’austerità, pur nella definizione di una bellissima eleganza. Il tannino è omogeneo e la sapidità dritta, tesa. Lo spessore della sua struttura apporta tridimensionalità a un sorso instancabile.

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