Arianna Occhipinti e il suo Frappato

IL NOSTRO GIUDIZIO

Ciò che fu il primo passo

Tutto è nato appresso a quella strada, una sottile striscia di terra un tempo rivestita di pietre, dove transitavano carri, asini e mezzi agricoli più o meno solidi. Lì, ai margini di quella SP68, Arianna Occhipinti pose le fondamenta della sua azienda, appena 15 anni fa. Fondamenta che avevano radici nella terra, un ettaro di vigneto per l’esattezza. Con quell’ettaro, sito nella contrada Fossa di Lupo in quel di Vittoria (RG), Arianna iniziava la sua avventura.

Una strada, insomma, sempre una strada. Una strada che faceva da sponda al suo vigneto e che avrebbe accolto anche i seguenti, una strada come nuova direzione, una strada come crescita, una strada come percorso. Una strada come ciò che ti conduce dove ancora non sai, a patto che tu la percorra, così per come è, senza evitare le buche, senza disdegnare il sudore e senza la paura di svoltare l’angolo. Arianna Occhipinti ha accettato tutte queste condizioni, per arrivare a produrre il suo vino. Quello della Occhipinti è un vino che lei stessa definisce “umano”, ancora più che naturale. È un vino che è accompagnato dalla sua sensibilità, in ciò che è un decorso rispettoso dell’uva e della sua espressione territoriale. Risponde ai dettami della coltivazione biologica, con una serie di passaggi in più che avvicinano il metodo produttivo a un’interazione quasi alchimistica con la propria terra. Per questo, i vini di Arianna Occhipinti sono così eloquenti. Per questo, il suo Frappato FL 2016 sa conquistare, nel calice, con una tridimensionalità poco comune. Non migliore o peggiore di altri vini, ma identitaria. Il giudizio di gusto personale è delegato al singolo. A noi, il compito di raccontare il nostro.

Il Frappato FL deve il suo nome alla contrada Fossa di Lupo, ove – come detto – tutto prese forma nel suo primo passo. Sono viti ad alberello, a dimora su un terreno prevalentemente sabbioso in superficie e nettamente calcareo e roccioso più a fondo. Da esse deriva un vino che, in un fotogramma rubato all’annata 2016, si introduce con un gentile timbro floreale. Muove immediatamente su una trama sulfurea di cerino e di cenere, per poi aprire il sipario su uno sfondo balsamico che lascia trapelare una vispa nota di bergamotto. Il sorso afferra la bocca con una freschezza dai tratti agrumati. Tannico, ma vellutato; nel complesso esercita il fascino di un vino fine, che chiude con un’affermazione del suo carattere dissolvendo su un finale amaricante.

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Sofia Landoni

Ha studiato le scienze agrarie, la musica e il vino, per poter unire tanti ingredienti differenti e creare gli abbinamenti più strani, necessari a raccontare qualcosa, forse di sé e forse degli altri. Affascinata dalle storie e dalle narrazioni, dal gusto e dall’armonia, oggi degusta e scrive per guide, riviste e redazioni, con la consapevolezza che le cose migliori non hanno bisogno di troppe parole.

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