Un’isola enoica
Che cosa si intende per biodiversità? Sul Web troverete una definizione che parla di coesistenza di diverse specie (animali e) vegetali in equilibrio grazie alle loro reciproche relazioni all’interno di un unico ecosistema.
Ebbene, oltre la definizione, vi sono luoghi ove una realtà articolata e complessa di varietà vegetali, autoctone e introdotte dall’uomo riescono a convivere creando una esplosione armonica di colori, profumi e sensazioni: siamo nel pieno della macchia mediterranea, sulle colline sopra Porto Azzurro, da Arrighi, una cantina elbana.
Ho scritto fra parentesi animali, perché in verità, su questi terreni i cinghiali non sono proprio in equilibrio con la natura; e nemmeno possiamo dire che coesistono, dato che dove passano… distruggono! Sicché la convivenza con l’uomo e l’agricoltura è di certo un problema serio.

A parte questo, scollinando in quad fra un vigneto e l’altro, con Antonio Arrighi la sensazione è quella di vivere dentro al paesaggio, immersi fra mille essenze, fiori, aromi, come potete immaginarvi che sia la primavera in questi appezzamenti dell’Elba, con sullo sfondo il mare. Gli insetti lavorano alacremente, la tavolozza dei colori è davvero impressionante e nel mentre crescono le olive e crescono i grappoli.
La riflessione su questo territorio isolano ci riporta alla storia; le fotografie degli inizi del secolo scorso mostrano un paesaggio vitivinicolo decisamente più esteso. Si può affermare che gli elbani vivessero in prevalenza di agricoltura e in particolare proprio della coltivazione della vite. Il versante sud dell’isola, per clima e terreni è vocato alla viticoltura. Qui la pesca non era radicata; si sviluppò di pari passo con l’avvento del turismo che ha mutato la fonte di reddito primaria dell’Isola. Il dopoguerra ha poi significato il progressivo abbandono delle miniere sul versante sud-orientale (Punta Calamita), col diminuire della richiesta di materiale ferroso e oggi, vista da fuori, quest’isola appare solo un incantevole luogo turistico, fra spiagge e luoghi di interesse. Eppure chi viene all’Elba per vacanza si renderà conto ben presto che la maggior parte del vino servito a tavola nei ristoranti, è proprio dell’isola. Le cantine che vinificano qui non sono tante e hanno piccole dimensioni; la loro produzione si limita al consumo locale, rilevante durante la stagione turistica; a qualche ospite viene voglia di portarsi pure il vino a casa, ma sostanzialmente i numeri delle bottiglie non cambiano.

La cantina di Antonio Arrighi
Ma è proprio Antonio Arrighi che ha rotto gli schemi. Non si è accontentato di raccontare la storia della sua cantina, certamente significativa, che inizia oltre cento anni fa con nonno Antonio che dapprima avviò l’attività alberghiera in Versilia e dopo la guerra proprio all’Elba, dove costruì uno dei primi alberghi. Storia che prosegue con papà Sergio, perito agrario, già orientato alla ricerca della qualità per la produzione di uva destinata all’albergo di famiglia. Nel 1980 va avanti Antonio, terza generazione: “Mi sono appassionato alla viticoltura nei primi anni ’90 e l’inizio delle sperimentazioni con il Centro di Ricerca per la Viticoltura di Arezzo”.
Si è trattato di una selezione di vitigni alloctoni in grado di adattarsi al clima elbano; con questa sperimentazione l’interesse di Antonio per la viticoltura cresce al punto che abbandona il lavoro di albergatore e si dedica totalmente alla vite, negli anni ’90 di soli 2 ettari. Oggi siamo oltre gli 8, ma c’è ancora volontà di crescere.
La storia
Sempre teso a fare ricerca e innovazione, Antonio Arrighi nel 2010 introduce le anfore in terracotta di Impruneta. Gli esiti oggi li conosciamo, l’obiettivo è quello di ottenere micro-ossigenazione circa al pari del legno, senza trasmettere le sue caratteristiche terziarie. Nasce così Tresse, una cuvée di Sangiovese, Syrah e Sagrantino che evolve in anfora per 18 mesi con un successivo affinamento in bottiglia per altri 6 mesi. Mentre nel 2011 arriva la DOCG per l’Aleatico Passito dell’Isola d’Elba, che per Arrighi significa l’etichetta Silosò!, vicino Portoferraio dal 2012 si scava grazie all’Università degli Studi di Siena, per riportare alla luce una villa romana in riva al mare, dotata di cantina con sei grandi dolia per la fermentazione del vino e un luogo per la conservazione in anfora dell’aceto di mele. Sulle anfore rinvenute compare il nome di Hermia, che ha così dato il nome al secondo vino in anfora di Arrighi da uve 100% Viognier.



È del 2014 la prima partecipazione al Vinitaly che dimostra il voler uscire dall’isolamento dell’Elba, cioè di rompere gli schemi, come si diceva, non accontentandosi di vivere sulla storia e sul consumo del turismo interno. Così nel 2017 esce sul mercato il bianco Hermia, poi nel 2018 Antonio Arrighi oltre ad avviare la conversione al Biologico, inizia ciò che lo porterà veramente alla ribalta sulle principali testate e televisioni nazionali: il progetto del Vino marino Nesos (dal greco Isola). Esce nel 2019 ed è un 100% Ansonica che segue il segreto custodito dai vignaioli dell’isola dell’Egeo del vino di Chio che lo rendeva particolarmente durevole: la presenza di sale nel vino dovuto all’immergere l’uva in mare chiusa in ceste (in questo caso per circa 5 giorni), per togliere la pruina dalla buccia ed accelerare così l’appassimento al sole, riuscendo a preservare l’aroma del vitigno. Dopodiché le uve di Arrighi entrano in anfora, ove stanno a riposo con le bucce per 6 mesi. È un incontro fra Antonio Arrighi e il professore Attilio Scienza che riferiva proprio della sua ricerca sull’isola greca di Chio, ad accendere nel vignaiolo elbano l’idea di rifare il vino come 2500 anni fa. Un esperimento unico al mondo che non ha nulla a che vedere con i processi di affinamento in mare delle bottiglie, svolti da altri produttori vitivinicoli. La possiamo considerare una saggia operazione di marketing, certo; anche perché si parla di sole 200 bottiglie l’anno, dal prezzo rilevante, che però hanno certamente restituito alla cantina di Arrighi un profilo internazionale e notevole riscontro sui media. Tanto che Vinum Insulae, il cortometraggio sul progetto Nesos vince il Festival Oenovidéo e il Prix de la revue des oenologues, il più importante festival francese per filmati su vite e vino; e nel 2020, Giulia Arrighi riceve il Premio Creatività nel concorso Coldiretti Giovani Oscar Green 2019.

Nesos è proprio una delle etichette che incontriamo alla Spumanteria All’Opera di Reggio Emilia, in occasione di una degustazione con Antonio e la figlia Giulia, appena dopo la fine del Vinitaly 2025. Nell’assaporarlo ci si rende subito conto che è un vino non comune, mai sentito prima. Proprio perché le uve trattengono delle note saline che non possono codificare questo bianco all’interno di una definizione tradizionale. Per questo non ha senso giudicarlo secondo le scale di punteggio più diffuse. Stiamo parlando di una espressione gusto-olfattiva che cita la storia dandoci un’opportunità diversa.
La degustazione
Proseguendo con le altre etichette, si è proposto l’abbinamento con piatti della cultura alimentare elbana creati dallo chef Alain -di origini vietnamite, ma che opera nel reggiano da decenni- presentando in sequenza le etichette della cantina di Porto Azzurro: In Bolla Spumante Dosaggio Zero 2021, Metodo Classico da uve Chardonnay e Manzoni (sboccatura maggio 2024, 12,5% Vol.). A seguire il Vermentino in purezza Arembapampane che evolve in acciaio, poi affinato per altri 3 mesi in bottiglia (2024, 13% Vol.). Un altro bianco proposto è il Valerius, Ansonica 100% che fa già parte dei vini in anfora e deve il nome a Valerio Messalla, l’antico proprietario di Villa delle Grotte, la domus romana ritrovata presso Portoferraio. Un bianco in evoluzione, ancora giovane, seppure il colore possa ingannare evidenziando la macerazione sulle uve; all’olfatto esprime vivacità (2023, 13,5% Vol.) e caratterizzazione del vitigno, completando il cammino del palato con una percezione acido-sapida in grado di risolvere la prima sensazione alcolica in evidenza.



Vengono quindi serviti anche i già citati Hermia (2023, 14% Vol.) e Tresse, Sangiovese per circa il 50%, Syrah 30% e 20% Sagrantino (2021, 14% Vol.). Quattro Viti Ais 2025 l’annata 2022, mentre il millesimo precedente, sentito in degustazione, si presenta di colore rosso rubino scuro, intenso e schietto, con note olfattive intriganti che esplicitano la cuvée, con dettagli balsamici riconducibili alla macchia mediterranea, fra mille essenze floreali variopinte e cromatismi di mora selvatica. Al palato è coerente con il bouquet, concede bene l’astringenza del Sagrantino, seppure non prevalente, per un finale fruttato, asprigno e sapido, con ritorno di balsamicità proporzionata e terziario. Ultimo abbinamento con preparazioni salate è il Sangiovese in purezza Sergio Arrighi che affina in legno per 15 mesi (2021, 15% Vol.). Di colore rosso rubino limpido e dallo spettro cromatico in tonalità, all’olfatto dapprima restituisce le tipiche sensazioni del vitigno, subito intrecciato da vibrazioni mediterranee e di frutto rosso intenso, coperto solo in parte da speziature orientali che si fanno via via strada nel naso, con un pungente pepe nero sgranato che si mescola a sentori di cacao e altri ricordi vegetali, di raspo e di foglia d’alloro. Al palato è subito astringente, ancora giovane e tannico, vivace e di buona alcolicità. È forte nell’asciugare il palato, trascinando qua è là morbidezze glicemiche che nella persistenza lasciano posto a un frutto di prugnolo maturo. Chiude il servizio il pluripremiato Silosò! Aleatico dell’Elba DOCG (2023, 14,5% Vol. e un residuo zuccherino non dichiarato di circa 130 Gr/l). Fra gli ultimi risultati, le Quattro Viti AIS 2025. I conoscitori dell’aleatico elbano sanno del suo colore rosso carminio, violaceo e impenetrabile, le cui uve appassiscono al sole, secondo tradizione. Questo passito ha un olfatto complesso, articolato fra note di fiori rossi in appassimento, ciliegie sotto spirito, prugna disidratata, fino a note sciroppate e polvere di cioccolato. Al palato intriga, ammorbidisce all’inverosimile, fino ad addolcire persino la mente. È una spremuta di frutto rosso, mai pervaso da sensazioni alcoliche. Sembra persino liquoroso sulla lingua nella parte iniziale del sorso, poi riesce a graffiare lievemente grazie a dettagli di scorza d’arancia propriamente lievemente bitter che tengono compagnia nella significativa persistenza con retrolfattivo balsamico ed echi lontani di macchia mediterranea. È un vino da meditazione che probabilmente si abbina solo alla sorella Schiaccia ‘briaca, perché proprio inebriata con lo stesso Aleatico.
Immerso nella macchia mediterranea dell’Isola d’Elba, dentro un territorio che dialoga necessariamente anche con il turismo, Antonio Arrighi lavora le sue uve Aleatico, Alicante, Ansonica, Procanico e Sangioveto, ma anche Chardonnay, Manzoni, Sagrantino, Syrah, Tempranillo e Viognier; e mentre rispetta la biodiversità lottando tutti i giorni con i cinghiali, ancora una volta esce dall’isolamento entrando nella guida I Migliori 100 vini e vignaioli d’Italia 2023 edita dal Corriere della Sera.