L’essenza del Syrah
Cornas è un luogo che non concede sconti. Un anfiteatro naturale a sud di Lione dove il vitigno Syrah trova un suolo perfetto in cui esprimersi. In questa zona solcata dal Rodano, la terra è fatta di granito decomposto, le pendenze sono vertiginose e il vento del nord, il Mistral, è tenuto a bada dalle colline circostanti. È un terroir che richiede rispetto, fatica, dedizione. Ma che, in cambio, sa offrire grandissime soddisfazioni.
Quattordici produttori in tutto, per un’appellation che si estende su appena cento ettari. È il più piccolo tra i grandi crus della Valle del Rodano settentrionale, a pochi chilometri a nord di Valence, ma anche uno dei più caratteriali. Il disciplinare dal 1938, anno in cui l’AOC Cornas è stata riconosciuta, non ammette né blend né vitigni complementari: Syrah e basta. E ciò che resta è un vino che parla con un linguaggio schietto, essenziale, spigoloso, ma proprio per questo memorabile.
Franck Balthazar ha ereditato questa filosofia. Nel 2002, quando lascia gli studi di ingegneria, prende le redini del Domaine fondato nel 1931 dal nonno Casimir, mantenendo vive quelle pratiche dall’animo romantico che ricordano la “vecchia scuola”: aratura con cavalli, fermentazioni spontanee in tini di cemento, affinamento in vecchi demi-muids da 600 litri. Le sue vigne si trovano in parcelle storiche come Chaillot e Mazards, con ceppi che raggiungono anche i cento anni d’età. Nel 2005 e nel 2008 Balthazar alza l’asticella, ampliando il Domaine con nuove piantagioni su terrazze ripide sopra Sabarotte.

Cornas “Sans Soufre” 2016
La cuvée Sans Soufre Ajouté 2016 è forse l’espressione più pura del lavoro di Balthazar. Prodotta da Syrah proveniente da viti che hanno una media-elevata età, fermenta a grappolo intero con lieviti indigeni, seguita da un affinamento di quattordici mesi in demi-muids usati. Come suggerisce il nome, non viene aggiunta solforosa, e il vino è imbottigliato senza alcuna chiarifica né filtrazione.
Nel bicchiere, la 2016 non si risparmia. Un’annata ottima, che lascia presagire un vino di buona struttura e con un notevole potenziale di invecchiamento. Il naso si apre sulla celebre oliva nera in salamoia, poi arriva il ginepro, il pepe nero, il sottobosco. Ci sono anche note affumicate, come di brace spenta, che cedono il passo a una componente fruttata: sambucoIl sambuco è un genere di piante tradizionalmente ascritto alla famiglia delle Caprifoliacee, che la moderna classificazione filogenetica colloca nella famiglia Adoxaceae. I fiori del sambuco trovano impiego in erboristeria per la loro azione diaforetica. Con i fiori è possibile fare uno sciroppo, da diluire poi con acqua, ottenendo una bevanda dissetante che è molto usata in Tirolo, in Carnia... Leggi, gelso, mora di rovo e frutti rossi. All’assaggio, il vino è saldo, i tannini compatti ma ben levigati, mentre la freschezza verticale bilancia la densità. È un vino che non chiede il consenso, ma conquista il rispetto. E che dimostra, con onestà, che anche senza la tecnologia moderna si può fare un grande vino. A patto di sapere cosa si sta facendo. E, soprattutto, di avere il coraggio di farlo.