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Perché lo Champagne sta bene con tutto?

Vino
Recensito da Adriana Blanc

In occasione de L’Académie du Champagne, evento organizzato annualmente dal Bureau du Champagne Italia, che quest’anno si è tenuto virtualmente l’1 dicembre, sono stati tanti i nuovi spunti e gli approfondimenti che hanno solleticato la mente dei partecipanti meglio delle bollicine sul palato. Ad esempio vi siete mai chiesti perché “ostriche e Champagne” stiano tanto bene assieme? Il motivo c’è ed è provato dalla scienza.

A fianco degli interventi di Domenico Avolio, direttore del Bureau, di Gaëlle Egoroff, direttrice della denominazione Champagne e coordinatrice dei Bureau du Champagne nel mondo, e di Marco Chiesa, Ambasciatore dello Champagne per l’Europa nel 2010; al centro dei lavori vi è stato l’approfondimento scientifico proposto dal professor Barry C. Smith del ‘Centre for the Study of the Senses‘ della University of London.

Il dato di partenza? Un assunto lapalissiano, talmente evidente da costituire un dogma dell’analisi sensoriale: ostriche e Champagne è un abbinamento perfetto. Ma vi siete mai chiesti il perché? Ecco quindi che il noto professore londinese ci ha fornito la sua spiegazione: un contributo prezioso per comprendere le meccaniche del gusto e, in ultimo, qualcosa di più di quel misterioso tema che è l’abbinamento cibo-vino. Ma procediamo per gradi.

Lo Champagne sta bene con tutto… e con niente

Se quello del connubio con l’ostrica è un binomio particolarmente felice, è ormai dimostrato come lo Champagne si abbini bene a molti alimenti, tanto da essere uno dei vini più facilmente bevibili a tutto pasto. Ma è possibile fare un passo in più. Gaëlle Egoroff ha messo in luce come il consumo di Champagne sia cambiato e, specie in tempo di pandemia, questo vino abbia preso sempre più le sembianze di un ‘comfort food’, un piccolo piacere che le persone si riservavano per sopravvivere alla quotidianità.

E in effetti è celebre la frase del secolo scorso di Madame Bollinger, a testimonianza della versatilità del nettare dorato: “Lo Champagne lo bevo quando sono contenta e quando sono triste. Talvolta lo bevo quando sono sola. Quando ho compagnia lo considero obbligatorio. Lo sorseggio quando non ho fame e lo bevo quando ne ho. Altrimenti non lo tocco, a meno che non abbia sete”. Insomma, lo Champagne sta bene con tutto, ma pure da solo è in grado di donare piacere e appagamento.

Non è solo questione di moda

Bevo solo Champagne” come i più accaniti seguaci dei reality trash sapranno, è il mantra di alcune casalinghe sfacciatamente abbienti che popolano gli schermi dei nostri giorni. Se qualche perplessità permane sulle conoscenze enologiche delle signore in questione (l’avranno mai provato, chessò, un Trentodoc?), il dato che emerge è come questo vino, oltre a simboleggiare una sorta di ‘status’, piaccia davvero un po’ a tutti nel mondo.

Le mode però, si sa, sono effimere, non durano nel tempo; mentre qui abbiamo testimonianze del favore che circonda questo vino provenienti da questo e dallo scorso secolo. Per non parlare del successo che lo Champagne ha avuto in tempi ancor più remoti, quando le referenze più altisonanti presenziavano doverosamente sulle tavole allestite per i banchetti dei potenti e di come anche in Italia lo Champagne rappresenti tutt’oggi la bottiglia delle grandi occasioni. Cos’è dunque a renderlo così unico, prezioso e infungibile, tale da raccogliere consensi trasversali, trascendendo confini geografici e cronologici?

Te lo dice il professor Barry C. Smith

La risposta è nella scienza e, più specificatamente, risiede nel concetto di umami, il gusto di recente scoperta che, a differenza degli altri, piace un po’ a tutti. Uno dei primi gusti del quale l’essere umano abbia conoscenza in effetti, dal momento che è contenuto in dosi massicce nel latte materno. Alcuni studi dimostrano che quello che viene oggi definito come “il quinto gusto” e che normalmente identifichiamo in un cibo quando lo descriviamo come “saporito”, sarebbe presente, in quantità modeste, anche nello Champagne. Questo grazie all’affinamento prolungato sui lieviti, poiché sarebbe il contatto con le fecce a produrre l’acido glutammico, responsabile del gusto umami. Cercando di semplificare si può dire che quello di cui si parla è definito umami essenziale ed è dovuto appunto alla presenza di acido glutammico o di ribonucleotidi (“5’-ribonucleotidi”).

Se i livelli di acido glutammico trovati nello Champagne erano piuttosto bassi, solo leggermente percepibili in termini di umami, i ricercatori hanno scoperto che la loro percezione, e quindi la percezione dell’umami, poteva essere aumentata esponenzialmente qualora si fosse abbinato allo Champagne un altro alimento contenente ribonucleotidi. Un esempio su tutti? L’ostrica. Ed ecco, signore e signori, l’umami sinergico.

Pensavo fosse amore, invece era umami sinergico

Parafrasando il titolo del celebre classico della cinematografia italiana, l’umami sinergico sarebbe dunque alla base di tutti gli abbinamenti meglio riusciti nella storia della gastronomia: spaghetti al pomodoro e Parmigiano Reggiano, uova e bacon, ostriche e Champagne. Ricapitolando, prendi un alimento contenente acido glutammico, abbinalo con un altro alimento contenente nucleotidi e avrai una bomba organolettica pronta a mandare in visibilio i sensi. Attenzione però, perché affinché il trucco funzioni, entrambi i tipi di “umami essenziale” devono essere presenti. Se fosse entrambi dello stesso tipo, per creare un “umami sinergico” dovreste eventualmente aggiungere un terzo ingrediente all’abbinamento.

Solo in questo modo “oltre a conferire un gusto sapido desiderabile, i composti umami possono anche influenzare la percezione di altri composti gustativi, come aumentare il gusto dolce e mascherare l’amaro, rendendolo un attributo gustativo desiderabile in cibi e bevande” (“La sinergia Umami come principio scientifico dietro l’abbinamento di gusto tra champagne e ostriche” – Charlotte Vinther Schmidt ,Karsten Olsen &Ole G. Mouritsen).

Champagne con…

Ed ecco dunque che perfetti per inebriare i sensi assieme al nettare dorato saranno un sashimi di tonno, le capesante con purea di piselli, o ancora un Risotto al Parmigiano. E perché non una pizza, magari con pomodoro e acciughe per creare quella formula – chimica – magica che tanto piace ai nostri sensi.

Una volta individuati gli alimenti con le giuste caratteristiche potrete sbizzarrirvi senza temere di dare vita ad abbinamenti troppo audaci: è tutta questione di umami, lo dice la scienza.

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