Il riso abbonda…

Parafrasando il detto, a dire il vero in un’accezione poco piacevole, “il riso abbonda nella bocca degli stolti“, propenderemmo per coniarne uno di nuovo, adeguato agli appassionati gourmet: “il riso abbonda nella bocca dei gourmet“.

Eh, sì, perché il riso, o il risotto, è certamente diventato, soprattutto in Italia, un piatto decisamente gourmet. Erroneamente considerato più elegante e più fine di una pasta, in realtà rispetto a quest’ultima ha l’indubbio vantaggio di poter essere interpretato come una tela su cui dipingere mirabolanti quadri d’autore, più che piatti di alta cucina. Che poi, come si sa, il confine è decisamente labile tra i due paragoni.

E precisamente questo confine tra arte e piatto, ormai a qualsiasi latitudine dell’italico Stivale, ritroviamo. Tanti sono, infatti, i risi d’autore del centro-sud: Niko Romito, Gennaro Esposito, finanche Luca Abruzzino hanno creato mirabolanti risotti decisamente importanti e profondi.

L’ultimo, ma non per importanza, è quello di Gianluca Gorini, che continua a stupirci con i suoi giochi sulle nuance dell’amaro di cui sicuramente è uno dei massimi esponenti d’Italia. Un riso che parte da un seme poco conosciuto, il Sant’Andrea, che è in questo caso prodotto da una azienda giovane ma molto dinamica e interessante, Terre Alte di Villarboit, cotto in acqua di vongole, mantecato con olio di Oliva, terminato con dragoncello, limone salato in pasta, origano e polvere di olive nere essiccate e affumicate.

Un tripudio di acido, amaro, quasi iodato-fenico (ricorda la bottarga l’abbinamento limone-origano-acqua di vongole) dalla lunghezza e derive aromatiche decisamente intriganti e persistenti. Un riso non convenzionale, che grazie al punto di cottura al ferro, perfetto, e alla cedevolezza dell’amido della tipologia di riso consente una mantecatura con pochi grassi, che però rimangono evidenti al palato nella loro aromaticità. Un riso da provare che, secondo noi, diventerà un signature dish di Gianluca Gorini, grande talento italiano in cucina.

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