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Côtes du Jura & L’Avversario

Vino
Recensito da Gae Saccoccio

SATANA NEL CÔTES DU JURA

L’avversario (L’Adversaire) è un romanzo-reportage di Emanuel Carrère pubblicato nel 2000 (Adelphi 2013), che ricostruisce con ritmo implacabile la vicenda di Jean-Claude Romand, un allucinante caso di cronaca nera avvenuto il 9 gennaio del 1993 a Prévessin-Moëns, nel paese di Gex (Ain) tra il massiccio del Giura e Ginevra. La vita di Jean-Claude Romand è stata un cumulo di menzogne ammucchiate per anni fino all’esplosione di violenza finale che l’ha spinto al gesto estremo di sterminare la moglie, i due figli ancora bambini ed entrambi i suoi anziani genitori. Carrère affronta questo ingarbugliato materiale di nera senza istigazioni sensazionalistiche ma con l’intento dell’introverso scrittore dostoevskiano proteso a sviscerare le pieghe e le piaghe più oscure dell’animo umano evitando spiegazioni semplicistiche e psicologismi di bassa lega. Per lo scrittore francese il caso Romand si archivia quale “(…) lunga impostura, misera commistione di cecità, disperazione e vigliaccheria.” Cosa induce un uomo fin dalla giovane età a mentire a tutti su tutto? C’è un’attinenza genetica tra la depressione della mamma e quella mai curata del figlio? Il finto dottor Romand anche per una serie di circostanze fortuite è riuscito ad ingannare per venti anni i suoi familiari e amici facendosi passare per un medico dell’OMS eppure non si è mai laureato anzi è rimasto fermo al secondo anno di medicina all’università. L’Avversario è un confronto pressante tra la voce dello scrittore, padre anche lui di bambini e l’assassino, il mitomane incallito, il depresso violento che inganna se stesso a furia di ingannare gli altri, che cambia personalità ma che di fondo non ha neppure una sua propria identità tanto è svuotata dal marciume diabolico delle menzogne su cui ha imbastito la propria esistenza e quella dei suoi cari. 


SCIENZA E POTERE

La letteratura francese non è disavvezza a questo genere di interessi morbosi verso vicende tetre. Ricordo Io Pierre Rivière, avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello… Un caso di parricidio nel XIX secolo, (Einaudi 2020). Nel giugno 1835 un giovane contadino normanno che passa per l’idiota del villaggio, Pierre Rivière, sgozza una sorella, un fratello e la madre per «liberare » il padre dalle persecuzioni della moglie. Perché? Attraverso le perizie medico-legali, le dichiarazioni dei testimoni, gli articoli dei giornali, la «memoria» dello stesso Rivière, Michel Foucault e i suoi collaboratori al seminario del Collège de France raccontano la storia della sua famiglia e provano a spiegare i moventi dell’insano gesto, rinunciando di proposito agli scandagli delle varie forme di psicologia e dell’antropologia culturale per concentrare la loro analisi sui rapporti tra scienza e potere, tra individuo e strutture sociali di controllo.


OSTREA VIRGULA AL ROSENBAR

Qualche settimana fa ero a Goriza a cena in un’osteria di quelle austere e sempre più rare il Rosenbar, dove l’oste dopo decenni di presenza sul campo di battaglia del cibo e del vino buoni, appare saggio ma affranto come il capo indiano di una riserva che verrà pian piano spazzata via dalla brutalità cieca degli All you can eat e dei fast food restaurant. In accompagnamento ai sardoni impanati con fagioli e radicchio abbiamo stappato un Arbois Blanc 2018 “Les Tourillons” di Renaud Bruyère et Adeline Houillon, mitici produttori del Jura. Purtroppo il vino era contaminato dal TCA o tricloroanisolo la molecola responsabile del gusto di tappo. Allora Roberto di WineIndependent ha tirato fuori un’altra chicca giurassica dell’AOP Côtes du Jura, il Savagnin Ostrea Virgula 2016 di Etienne Thiebaud del Domaine des Cavarodes a Cramans, altro vignaiolo fenomenale che lavora in naturale con grande scrupolo d’artigiano sia in vigna che in cantina. L’Ostrea Virgula è un riferimento alla componente fossile di conchiglia marina giurassica del suolo di questo vigneto. È uno dei vini più intensi di Etienne Thiebaud. Savagnin da ricolmatura quindi a botte colma (ouillage), utilizzando lo stesso vino che è stato conservato in un contenitore in vetroresina o in acciaio con un coperchio regolabile che viene mantenuto a contatto con la parte superiore del vino. Questo Savagnin è stato fermentato e affinato in vasca per un anno prima di essere trasferito in vecchie botti per sviluppare ulteriormente quegli aromi e quei sapori tipici che caratterizzano un vino del Jura non-ossidativo eppure estremamente sapido, succoso, agrumato, umami. 

DILATAZIONI PSICHICHE

Le pagine più stranianti de L’Avversario sono quelle che trattano il tempo e lo spazio vissuti dal falso dottor Romand dai primi anni dell’università quando si rinchiudeva per mesi interi nel suo monolocale lontano da tutto e tutti facendo credere ai suoi genitori che stava progredendo negli studi anche se è sempre rimasto fermo al secondo anno. Così come è altrettanto opprimente la descrizione alla moglie dei finti viaggi che diceva di fare in giro per il mondo, per seminari e conferenze quando in realtà restava chiuso giorni interi davanti al televisore, dentro squallide stanze d’hotel all’aeroporto di Ginevra o si aggirava per caffetterie e biblioteche, e questo tutti i giorni che avrebbe dovuto essere a lavoro – non aveva nessun lavoro – nel fantomatico ufficio dell’Organisation mondiale de la santé a Pregny-Chambésy. Per anni Jean-Claude Romand ha condotto questa vita di menzogne fantasiose raccontate a se stesso per primo, mascherandosi dietro la facciata di un professionista di successo; senza un lavoro usciva di casa per lavorare come un borghese di provincia qualunque ma invece deviava per i boschi e le foreste del Jura, riesumando forse le sue origini contadine, il papà lavorava col legname. In questa dilatazione assurda del tempo e dello spazio di un individuo risucchiato nei labirinti funesti della propria psiche, in fuga dal baratro della depressione più violenta, non so come, non so perché, ma il retrogusto salato e dolce-amarognolo di un Côtes du Jura è un richiamo potente, un concentrato d’uve fermentate che dilata al massimo la prosa di Carrère che qui è molto bravo a tenere la giusta distanza della propria voce da quella del criminale senza indulgere in un facile voyeurismo alla Simenon anzi rievocando proprio di quest’ultimo il suo stile clinico, duro ma comprensivo nei confronti di quell’abisso nerissimo che è l’animo umano.

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