Vignaiolo a Riomaggiore, nelle Cinque Terre, dal 1991
Walter De Battè incomincia il suo percorso nel 1991, nella piccola cantina a Riomaggiore – in provincia di La Spezia – ma la vera folgorazione è avvenuta nell’anno 2003, quando incontrao Josko Gravner che lo spinge ad osare ancora di più e a virare definitivamente verso la strada che aveva già intrapreso da qualche anno.
Ha così abbandonato le fermentazioni a temperatura controllata sebbene già utilizzasse lieviti non selezionati e fermentazioni spontanee, assieme a piccoli periodi di macerazione sulle bucce. A differenza della scuola armena lui ha preferito da sempre attuare una macerazione non lunghissima, da 15 a 20 giorni sulle bucce, e un affinamento sui lieviti di qualche mese.
Un vino che non c’è più
Questo Cinque Terre annata 2003 è il vino antesignano del suo Altrove, che è un blend di vitigni mediterranei non solo autoctoni, con prevalenza di Vermentino, Bosco e Rossese bianco, come si conviene da queste parti, ma anche Roussanne e Marsanne. Un vino che non esiste più in commercio e, visto i trascorsi, che ha cambiato notevolmente faccia oggigiorno. Sia per il tempo trascorso, che ha spinto Walter a crescere ed evolversi continuamente, sia per via della perdita di qualche terreno, e relative vigne, che erano alla base di questo fantastico prodotto.
Quanto all’annata, come detto s’è trattato di un millesimo chiave per il produttore, ma assai difficile per il produttore di vino, che ha dovuto fronteggiare il caldo torrido di un’estate senza precedenti per l’umanità e per la viticoltura in genere.
Walter De Battè Cinque Terre 2003
Ebbene, seppur con queste premesse, dobbiamo dire che questo Cinque Terre 2003, e pensandolo come un vino che ancora non aveva compiuto il percorso che il suo creatore ha coronato oggi, è davvero molto intrigante e particolare. Il colore giallo paglierino carico, con devianza verso l’ambra, può far preoccupare. In realtà le note terziarie del Vermentino marittimo della costiera di Levante, in prevalenza note iodate, salmastro-sapide, si sono mantenute vigorose affiancando a questi sentori altri altrettanto interessanti suggestioni di nespola, mandorla pizzuta, timo e maggiorana, con un lieve sentore nel finale di fiore secco di rosmarino e una punta di tarassaco e fiori di camomilla essiccati. In bocca, la sapidità importante, con tracce di coquillage e sensazioni salmastre, confermano tutti i sentori già presagiti al naso, col rassicurante ritorno della nespola e della mandorla pizzuta, su un finale lievemente amaro e ancora tannico.
Il grado, tutto sommato poco elevato a dispetto dell’annata, ha sostenuto questo vino e l’ha reso veramente molto profondo e articolato. Una grande bevuta per un vino che non c’è più, ma che fa capire le potenzialità di una cantina e di un produttore in grado di regalarci ancora tante, tantissime emozioni!