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Pipette e Bandita

di Graziano Nani

Un’onda energetica sta rivoluzionando il racconto del vino

Cosa sono questi colori sparati che sferzano gli scaffali delle enoteche, storicamente sintonizzati sulle tinte della tradizione e degli stemmi di famiglia? Cosa sono tutti questi teschi e grafiche e mostriciattoli che sbucano dalle etichette manco fossimo nello studio di un illustratore o in una galleria di design? Mentre in questi anni molti hanno parlato della riscoperta dei vini orange, del nuovo trend dei petnat e della macerazione carbonica dilagante, pochi hanno raccontato una rivoluzione altrettanto significativa: quella del vino che racconta se stesso in modo nuovo. Raccoglie entusiasmi ed eccitazione, e una voglia di cambiamento che sfrigola come i cavi dell’alta tensione. È l’onda energetica che sta cambiando il racconto enologico in tutto il mondo. 

Non è che l’araldica, le etichette di carta vergata o le tipografie gotiche non vadano bene, tutt’altro. Quando c’è una lunga tradizione, una storia di famiglia che viene da lontano e un passato potente e significativo, farlo emergere è d’obbligo. La verità però è che non tutte le aziende vinicole hanno questi presupposti alle spalle. Certe realtà, ad esempio nate da poco e senza un bagaglio di tradizione da spendere, è giusto che trovino un proprio linguaggio e – perché no? – magari uno stile che possa differenziarle e farle spiccare nel mare magnum delle proposte sul mercato. Il discorso non vale solo per le etichette. Questa ondata ha scompaginato l’estetica dei vini in toto, scardinando alcuni punti fermi tra cui ad esempio la presenza della capsula, strappata via da parecchie bottiglie a favore di un effetto trasparenza del vetro sul sughero. Sempre che ci sia, del sughero. Perché sempre più spesso viene sostituito da tappi a corona, a vite e in vetro. 

L’onda energetica non riguarda solo il prodotto in sé, ma anche il mondo della divulgazione, con una serie di progetti che hanno stravolto il modo di raccontare il vino. Uno su tutti Pipette, spettacolare magazine indipendente capace di delineare uno stile fortemente contemporaneo grazie a diversi fattori tra cui, primo fra tutti, il taglio dei contenuti. Racconti rigorosamente in inglese, in grado di narrare piccole realtà sparse in tutto il mondo con un taglio documentaristico intimo, caldo, innervato da sfumature taglienti che mirano a fare emergere il valore dell’artigianalità e di un approccio contadino. Contemporanea e differenziante è anche la scelta di vivere esclusivamente in formato cartaceo, con pubblicazioni curatissime da ogni punto di vista, primo fra tutti la qualità della carta. 

Pipette si distingue anche nell’assetto visivo, con uno stile che attinge generosamente dal mondo dell’illustrazione. Le cover sono spesso disegnate da bravissimi illustratori e il numero cinque, in particolare, spicca grazie ai disegni di Gianluca Cannizzo aka My Poster Sucks. Le connessioni di Gianluca con il vino non si fermano ai contributi editoriali e ai poster, che spesso hanno come soggetto proprio il mondo del vino. Il suo portfolio, infatti, è pieno di etichette: sue ad esempio quelle di diversi vini di Cascina Tavijn, tra cui la Bandita. Siamo a Scurzolengo, Asti, dove la famiglia di Nadia Verrua dà voce a vini puri e liberi, tra cui questa barbera che nel 2011, a causa del suo profilo dirompente e fuori dalle righe, viene respinta dalla commissione della denominazione d’origine. Esce così senza la dicitura DOC, con il suo carico di espressività travolgente, tra frustate di acidità e note di terra, frutti rossi e una rusticità disarmante. Ecco perché Bandita. Perché da questa storia, la sua storia, prende prima di tutto il nome, e poi un volto, con quella bandita in etichetta con tanto di maschera nera e fazzoletto al collo. Le guance rosse, i capelli arruffati e quello sguardo di sfida che incarna perfettamente il carattere con cui il vino si presenta al mondo. 

E alla fine, in uno scenario che vede nuovi modi di comunicare, è questo quello che conta veramente. Distinguersi, sì, ma non tanto per essere diversi, quanto per tirar fuori quello che si ha veramente da dire. Quel qualcosa fortemente radicato nella propria essenza, fondato su valori chiave, inscritto nella propria identità. E poi beh, se c’è una storia come quella della Bandita, allora la strada è tutta in discesa. 

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