Prima della Prima: Lorenzo Cogo
Che cosa significhi metis, l’astuzia dei Greci, non è scritto in nessun testo filosofico. Per coglierne l’essenza occorre rifarsi a una casistica che vede l’eroe destreggiarsi attraverso una varietà di mezzi, ricondotti dai mitologi a 3 situazioni topiche: il travestimento, l’invisibilità e l’occasione. Ampiamente utilizzate le prime due, per mettere in scacco l’ovvietà, attraverso la presentazione di trompe-l’eoil o di ingredienti in absentia, questo di Lorenzo Cogo è il piatto del kairos, o tempo di dio. Dove la tempestività decreta il successo creativo.
Il gusto è sincronizzato sul momento come un orologio ad alta precisione: nessun margine di errore. Metà primavera 2014 a Marano Vicentino, l’esposizione è quella dell’orto coltivato secondo metodi biologici dal contadino che lavora per il ristorante; per terra le impronte fresche del cuoco, che si è appena aggirato nell’habitat. Perché il piatto è nato proprio così: assemblando le sensazioni verdi disposte a varie altezze dal suolo. I piselli con il loro baccello, centrifugato a crudo in un’esplosione di clorofilla e di dolcezza, che rende omaggio al territorio (risi e bisi); poco sopra le foglie novelle della vite, con un ricordo fragrante di Mediterraneo; alzando lo sguardo fino alle pesche e alle susine acerbe, in lamelle che regalano una testura croccante, una leggera astringenza e acidità, più l’amaro elegante della mandorla. La sostanza, nel senso etimologico di quanto soggiace (e così sorregge il gioco aromatico), è rappresentata dai brandelli di cagliata fresca di latte affumicato sulla brace, da cui si ottiene anche il burro. Elemento altrettanto aurorale nell’evocazione dell’inizio, quasi una carezza di sole sulle foglie.
Dal gioco delle sensazioni, fragili ed energetiche, si stacca la nota amara di un altro centrifugato, a base di alloro, in gocce sparse sul verde dei baccelli. Fondamentale per strutturare il piatto con un finale di pulizia quasi silvestre, che parla ancora di mito e di Dafne, del “fatto che l’alloro, come il rosmarino, reagisca al tocco degli animali, sprigioni il suo profumo solo se lo tocchiamo”, come osservava l’artista Giuseppe Penone. “La fanciulla che abbandona la sua forma umana per essere trasformata in vegetale, incarna una concezione, un’osservazione della natura molto più sottile di quella che ci dà la scienza”: ossia quella del contatto fisico.
Attorno al piatto neorurale, dentro al suo contenitore rustico, il restyling del ristorante, con i pannelli stilizzati degli alberi che sfumano nel panneggio verticale delle tende, recanti le stesse decorazioni, a evocare l’abbraccio ombreggiato di un giardino. Quella morsa fra arte e natura, oggetto di un interminabile dibattito estetico, da cui la cucina di El Coq sta estraendo il suo gheriglio, all’unisono con i ristoranti più importanti del mondo.
Foto di Bob Noto
Il racconto che rapisce ! Complimenti
La poetessa dell'Anonima sequestri...chiedi il riscatto prima che dispongano il blocco dei beni, mi associo ai complimenti.
[…] porta idealmente sulla giacca le illustri mostrine guadagnate su campi stellati come Carlo Cracco, Lorenzo Cogo, Antonia Klugmann, o dell’iberico Martín Berasategui. Una gavetta di spessore, che si estrinseca […]