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Magnolia

Continua la crescita costante e rigogliosa della Magnolia di Cesenatico

La maturità di un cuoco è evidente quando abbandona le certezze, gli schemi conosciuti, e affronta nuovi terreni. Questo sta accadendo al Magnolia di Cesenatico. Il merito, oltre che dello chef Alberto Faccani, che è la mente pulsante e il principale protagonista di questo percorso, è anche di Andrea Vailati e Marco Garattoni, i sous chef che duettano con Faccani dietro al pass del ristorante.

Uno stile fatto di eleganza, di piccoli tocchi di avanguardia, rivestiti da un affascinante drappo di classicità. Scampo, cocco, curry e verbena è un piatto che non sfigurerebbe in una Grande Table francese; elegante, persistente e con un tocco esotico lieve ma molto raffinato. La ricciola alla brace e pistacchio riscopre le acidità all’interno di un costrutto che acido parrebbe non essere, in cui il veicolo grasso dona ancor più profondità al piatto. Gli spaghettoni, calamaretti, salsa verde e limone candito sono un inno alla Romagna più impertinente, sempre sottilmente elegante, così come la triglia Rimini-Livorno, vero capolavoro di concentrazione.

Cosa manca a questa cucina per lambire l’eccellenza? Solo qualche piccolo aggiustamento. Spesso i piatti sono bellissimi e proporzionati negli ingredienti e nei contrappunti, ma leggermente complessi da degustare. Il boccone, ci sta, non è sempre uniforme, ma la ricciola, il waffle e lo scampo risultano tanto belli alla vista quanto articolati e difficili nell’insieme ergonomico del boccone.  Le stoviglie servono tutte e, a volte, non sono sufficienti per una presa lineare. Dettagli, infinitesimali che, se migliorati, possono davvero fare la differenza.

Il piccione, piatto feticcio dello chef, è qui presentato e narrato con una nuova verve e un nuovo, intenso livello gustativo. I dolci decisamente personali e molto buoni, chiudono il cerchio di questa continua crescita. Un plauso ad Andrea Fiorini, uno dei sommelier che preferiamo il quale, con garbo, eleganza e professionalità, ci fa sempre divertire.

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La cucina metropolitana del Magnolia a Gattinara

Luca Naula è stato per parecchi anni sous-chef del Clandestino di Portonovo, creatura del grande Moreno Cedroni. Complice il lockdown che lo ha riportato nella sua terra natia gli è stato proposto di portare avanti il progetto di un nuovo locale polifunzionale a Gattinara, in provincia di Vercelli. Magnolia è un locale molto moderno, metropolitano, in cui poter stuzzicare qualcosa accompagnandolo con cocktail di qualità, per un pranzo o una cena informale o per un percorso più complesso e articolato.

Magnolia di Luca Naula è locale nato per il pubblico e dal pubblico, in cui la clientela è il fondamento per orientare le scelte, e questo Luca lo ha ben presente, come dimostra l’ottima tomahawk accompagnata da contorni di ordinanza, come anche l’eccellente spaghetto al pomodoro. Il progetto è agli inizi, partito in sordina, ma a giudicare dall’assalto di giovani e pubblico in una serata di mezza estate non esitiamo a credere che il futuro di questo ristorante sarà lungo e radioso.

Eppure il nostro percorso degustazione, che è l’emblema del progetto fine dining inserito in questo contesto polifunzionale di Magnolia a Gattinara, ha mostrato luci e ombre, peccati di gioventù e scelte coerenti con il potenziale pubblico – appunto! – che, siamo certi, potranno trovare il loro punto di equilibrio dopo un periodo di doveroso rodaggio.

Sostanzialmente la cucina espressa è di tendenza dolce, forse un pizzico troppo dolce, e con rotondità e suadenze eccessive. Il palato dei clienti va anche educato in una direzione maggiormente contrastata, che è utile anche alla digeribilità e alla leggerezza di fondo dell’esperienza da Magnolia.

Ecco quindi che il risotto risulta in eccessiva deriva grassa, col mascarpone e la dolcezza dei gamberi, che non aiutano, mentre la polvere di pomodoro e la salicornia non bilanciano adeguatamente la preparazione. Le tagliatelle scontano una dolcezza eccessiva e un non amalgama d’insieme, mentre il secreto una cottura davvero eccessivamente pronunciata. Il dolce invece contiene, con la mandorla e i rimandi acidi dell’albicocca, tutte le note acido-fresche e aromatiche che ci aspettavamo anche in tutto il resto del percorso.

Comprendiamo la scelta di accontentare la clientela di Gattinara: a questo proposito lo stesso Naula ci ha confessato che le cotture di pasta e riso, per noi tutto sommato giuste, benché tendenti al lento, sono addirittura troppo estreme per il resto della clientela.

Consigliamo, però, di spingere maggiormente, soprattutto per il menù degustazione, in una direzione più consona alla bellezza del locale e alle innegabili capacità del suo cuoco. Un progetto da seguire con grande attenzione nel suo divenire.

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…o delle cozze

Diffuse anche col nome di muscoli, peoci, pedoli e móscioli, le cozze hanno subìto un sensibile indebolimento negli ultimi anni in termini di mercato. Prima causa, la concorrenza da paesi UE (Danimarca e Germania) ed extra UE, come la Cina, che ne è la prima produttrice al mondo; secondo motivo, il calo dei consumi, imputabile alla sempre maggiore differenziazione e varietà dei costumi alimentari incoraggiato, com’è noto, dalla globalizzazione. Come si risponde, dunque, alla spinta unificante e integrante della globalizzazione? Iperlocalizzando. Una  tendenza incalzata anche dai nostri chef, che premiano iniziative “di nicchia” come quella della famiglia Bigi, ad Olbia, o quella di Lorenzo Busetto, classe 1984, acquacoltore da oltre due decenni e fondatore di Mitilla, allevamento che garantisce altissimi e costanti standard qualitativi nello straordinario paesaggio di Pellestrina. Vediamo, ora, come la cozza si declina in cucina.

Alessandro Rapisarda, Casa Rapisarda, Numana (AN)

A proposito di iper-localismi, eccovi servito il mosciolo selvatico di Portonovo, ingrediente feticcio di Rapisarda. Siamo a poche decine di metri dalle spiagge della turistica Numana, nel pieno centro del borgo storico. Qui, l’acqua dei molluschi – che non vengono puliti – viene sottoposta a successive operazioni di spurgatura che danno luogo a un liquido limpido ma, allo stesso tempo, più sporco e gustoso nel sapore. Risultato? Un ottimo guazzetto di cozze!

Matias Perdomo, Contraste, Milano

Un’opera collettiva, quella che Matias Perdomo, Simon Press Thomas Piras perpetuano al Contraste,  dove i tre danno vita a una performance gustativa unica e corale, ricca di bassi e acuti, capace di dosare morbidezze e sferzate improvvise realizzate con consapevolezza e senso del gusto. Una cucina originale, divertente e divertita, come in questa cozze cacio e pepe.

Giulio Terrinoni, Per Me, Roma

Una cucina di mare, dalla materia prima attentamente selezionata, trattata con rispetto, presentata in piatti dai sapori netti, puliti e punteggiati di estrosi elementi: questa è la firma di Giulio Terrinoni, un tributo all’arte dell’essenzialità, come si evince da questo golosissimo, originale boccone che alla cozza combina ’nduja e toma di bianca alpina.

Donato Ascani, Glam, Venezia

I mercati quotidiani di Venezia sono parte integrante della proposta di Donato Ascani, in questo menu che si richiama tanto a Paolo Lopriore quanto al bancone del Kiyota Sushi, di Tokyo. Quanto al piatto in questione, esso è entrato di diritto tra i migliori assaggi dell’anno (2019 n.d.a), cliccare sul link per credere.

Alberto Gipponi, Dina, Gussago

Un dialogo interrotto e ripreso alla fine del menù quello di Alberto Gipponi e la cozza. Un elemento importante, perché capace di combinarsi, nella sua grammatica gustativa, con efficacia semantica fino a comporre un ritratto di straordinaria italianità a dispetto dell’orientalissimo dei due condimenti utilizzati: il miso di caffè e lo shiokoji di Michele Valotti de La Madia di Brione.

Antonino Cannavacciuolo e Vincenzo Manicone, Caffè e Bistrot, Novara

Vincenzo Manicone, ragazzo cresciuto e maturato alla corte di Cannavaccioulo, è portatore sano di quell’innato senso del gusto che gli fa elaborare creazioni eleganti e proporzionate. Un grande talento di saucier, il suo, capace di piatti di grande classicismo dove, al netto di una indubbia complessità, non c’è mai un tocco fuori posto, mai un eccesso, come accade in questa sorta di architettura votiva.

Alessandro Negrini e Fabio Pisani, Il Luogo di Aimo e Nadia, Milano

Un viaggio che va alla ricerca di  materie prime eccellenti, quello di Alessandro Negrini e Fabio Pisani, nel Luogo per antonomasia. Uno e mille luoghi, invero, perché l’Italia è percorsa in lungo e in largo nel menù, rappresentata una volta dai gamberi viola di Sanremo, dai peperoni di Senise, dal tonno rosso di Sicilia, dalla fassona piemontese, dall’anguilla del Delta del Po, dalle patate di Polignano, dal pomodoro del Pollino, dal maialetto orvietano e dallo zafferano di San Gavino, fino a questa carnosissima cozza dell’Adriatico, a comporre un piatto di grande eloquenza.

Nicola Portinari, La Peca, Lonigo (VI)

Un altro tributo all’Italia quello di Nicola Portinari, per cui la nostra nazione è sia musa che deus (dea) ex machina, ovvero una divinità  onnisciente capace di infiniti giri intorno al mondo, divagazioni e depistaggi, ma che parla sempre di se stessa, e per se stessa, interpolando i confini della verdura e della carne, della frutta e del pesce. Qui la cozza, di straordinaria consistenza croccante, è sdrammatizzata e anzi elevata sin quasi alla sublimazione dal concentrato di cetriolo.

Silvio Salmoiraghi, Acquerello, Fagnano Olona (VA)

Attualizzazione e valorizzazione dei grandi classici della cucina italiana: questa la dichiarazione che si legge all’interno del menù di Silvio Salmoiraghi dove campeggiano in nuce tutti i precetti della Nuova Cucina Italiana, scandita in chiave kaiseki. Un viaggio strepitoso è rappresentato proprio dalla capasanta di Venezia cotta al vapore con acqua alla menta e ricoperta di polvere di felce, accompagnata da yogurt valdostano, cavolo nero, bergamotto e  cozza pelosa pugliese in salsa di acqua dolce.

Valentino Cassanelli, Lux Lucis, Forte dei Marmi

Prendendo proprio spunto dal viaggio che lo ha portato da Modena a Forte dei Marmi, Valentino Cassanelli ha creato il suo menù più completo, “On the road. Via Vandelli”: una strada già percorsa dal Duca Francesco III d’Este per arrivare, da Modena, al mare. Per lo chef, un viaggio nel tempo e nello spazio alla ricerca dei sapori delle due terre, Emilia e Toscana, rappresentato da piatti – o più spesso solo assaggi – così evocativi che non necessitano nemmeno della descrizione.

Chang Liu, Serica, Milano

Mauro ed Elisa Yap sono figli d’arte: seconda generazione di una famiglia di ristoratori cinesi che ha dato lustro a molti locali milanesi, decidono di aprire un locale tutto loro che affidano alle cure di Chang Liu, cuoco con tante esperienze alle spalle, qui artefice di una cucina sorprendentemente capace di rileggere i grandi classici italiani studiandone le potenzialità in termini di contaminazione, come già fece Yoji  Tokuyoshi alla corte di Massimo Bottura.

Primi piatti

Rocco Santon e Nicola Cavallin, Noir, Ponzano Veneto (TV)

Nasce ad agosto 2019 grazie alla passione di due giovani chef, Rocco Santon e Nicola Cavallin, e dalle rispettive esperienze che, combinatesi assieme, daranno vita a una realtà nuova e diversa. Ne sortisce un’impostazione non banale né accondiscendente di cui sono vessillo proprio i fusilli, ceci, cozze e bieta amara: un ottovolante tra l’acidità delle cozze alla scapece, la rotondità della purea di ceci a donare struttura e l’amaricante degli elementi vegetali e floreali a garantire lunghezza. Un piatto davvero ben eseguito.

Alessandro Negrini e Fabio Pisani, Il Luogo di Aimo e Nadia, Milano

Siamo di nuovo nel Luogo per antonomasia della Nuova Cucina Italiana: qui in un primo piatto  dalla golosità prorompente che nobilita la tradizione popolana della pasta, cozze e patate per farne un risotto alto-borghese, fin nella componente estetica: superba.

Donato Ascani, Glam, Venezia

Di nuovo Ascani (visita del 2020), in un piatto che punta sull’aromaticità del sesamo e del cipollotto marinato forieri di sensazioni amare e acide, anche spigolose, che si combinano con la carnosità del gambero e della cozza, con grande maestria.

Simone Marchelli, Meta, Celle Ligure (SV)

Chef e patron di MetaSimone Marchelli è artefice di una cucina che affonda profondamente le proprie radici nel territorio – Liguria ma anche Piemonte – combinandone anche gli stilemi più rigidi, come accade nei plin con ripieno di tartrà di Parmigiano Reggiano 24 mesi in zuppetta di cozze: un piatto sicuramente assai sapido, reso aromatico dall’aglio dolce.

Creature del Nord

René Redzepi, Noma, Copenaghen

22 portate che esplora le profondità marine del Baltico e dell’Atlantico, portando nel piatto creature abissali che solo dal nome richiamano le gesta del Capitano Nemo. Dalla vongola centenaria servita con panna acida e olio di pino al nobile alla cozza del Baltico servita con caviale e brodo di alghe: una combinazione vincente tra uomo, territorio e clima.

Nicolai Nørregaard, Kadeau, Copenaghen

Un solo menù degustazione dove ogni portata è un’occasione per sviluppare uno studio attorno a un ingrediente.  È quello che accade coi germogli di abete, che donano una felice nota balsamica alla cozza delle Far Øer affumicata, o il succo di ribes bianco e i fuori di sambuco alla più primaverile e virginale cozza artica cruda.

Interpretazioni iberiche…

Joan Bayén, “Juanito”, Pinotxo Bar, Boqueria, Barcellona

Un locale che fa cucina di mercato, nel mercato, aperto settantasei anni fa Joan Bayén, detto Juanito, iconico oste sorridente del Pinotxo Bar della Boqueria di Barcellona. Non c’è un menu. Si lascia fare a loro e ci si imbatte in semplici ma indimenticabili tapas: come la cozze ripiena di verdure in agrodolce.

…e d’Oltralpe

Sven Chartier, Saturne, Parigi

All’interno delle due sale in cui si sviluppa il ristorante, lo chef, affiancato in sala da Ewen Le Moigne, manda in scena una rappresentazione il cui credo è il rispetto per la natura in ogni sua forma. Sven Chartier dimostra di possedere una maturità sorprendente, che applica a ogni piatto, dando vita a una cucina vivace, inappuntabile dal punto di vista tecnico, vivace nei cromatismi e soprattutto nelle studiatissime temperature di servizio.

Carni e cozze

Nikita Sergeev, L’Arcade, Porto San Giorgio (MC)

Lo chef moscovita ha smussato gli angoli e trovato un suo centro di gravità gustativa “permanente” che non teme, se è il caso, commistioni audaci, e ormai distintive, come quelle tra terra e mare.  Accade nel cervo e la sua salsa – una salsa da manuale, in stile bouillabaisse catapultata lungo la costa marchigiana  – che allunga in maniera esponenziale il gusto.

Alex e Vittorio Manzoni, Osteria degli Assonica, Sorisole (BG)

Una degustazione “vit.ale”, così come il nome del menù, dove si familiarizza con le due anime della cucina dell’Osteria. Frequenti i giochi di acidità in piatti dai contrasti decisi, ma ben pensati, come nel caso dell’agnello dove la dolcezza della carne viene ottimamente valorizzata dalla nota iodata delle cozze: un abbinamento insolito ma molto ben eseguito.

Enrico Mazzaroni, Il Tiglio in Vita, Porto Recanati (MC)

Nel corso dell’ampio menu degustazione Mazzaroni alterna due pulsioni: quella di sedurre l’ospite con un’avvolgente golosità e quella (come in questo caso) in cui la mano si fa più tranchant, e dunque piacevolmente spigolosa. In questa combinazione di terra e mare, a persuadere è la consistenza e, in particolare, la carnosità della cozza per interpolazione della carne.

Alberto Faccani, Magnolia, Cesenatico 

Una cucina composta e borghese, nel senso migliore del termine, e neoclassica, ovvero elegante, perché centrata mediante intelligenti contrasti, studiati col bilancino, questa di Alberto Faccani. Una cucina che non teme di abbinare in un sol boccone carne e pesce, come accade in questa paradigmatica piadina, tanto sostanziosa quanto vorrebbe, appunto, il palato romagnolo.

Mariano Guardianelli e Camilla Corbelli, Abocar, Rimini

Sapori nitidi e persistenti, ben contrastati da ingredienti molto ben combinati e, di conseguenza, ben valorizzanti. Come in questo caso, dove il secondo e ultimo servizio della faraona la fa convivere con la dolcezza delle carote, con la maionese, la salicornia e, ultima ma non ultima, con un’impeccabile cozza in scapece.

Dulcis in fundo

Alberto Gipponi, Dina, Gussago

Un colpo ben assestato alla morale comune: questo rappresenta questo piccolo, grande piatto, che racchiude in toto il pensiero, e il palato, di Alberto Gipponi.

Lungo il Porto Canale leonardesco, a Cesenatico, Christian Fava ha aperto il suo ristorante nel 2019. E, dopo esperienze importanti in ristoranti di livello, con un significativo culmine come sous chef di Alberto Faccani al ristorante Magnolia di Cesenatico, ha deciso di aprire le porte alla sua casa e alla sua idea di cucina.

Veneto di origine ma ormai romagnolo di adozione, anticipando una tendenza già in atto, Fava ha messo il suo grande bagaglio tecnico e la sua grande conoscenza degli ingredienti al servizio del suo ristorante, creando un luogo in cui l’ingrediente, appunto, è al centro. La tecnica, mai esibita e ostentata, è tanto intensa e pervasiva quanto invisibile. Ecco perché abbiamo eletto il Tracina uno dei nostri punti di riferimento in Riviera.

Perché come il pesce da cui prende il nome, l’aspetto, in questo caso l’apparente essenzialità delle preparazioni, confligge con l’anima e l’essenza del luogo, composta da ciò che il mare dona di più fresco e autentico che corre diritto nel piatto, ma con attenzione a cotture, abbinamenti e lavorazioni. La tracina è un pesce dall’aspetto non invitante ma, invero, molto buono. Un grande ristorante travestito da trattoria, per non spaventare, per avvicinare, per mettere al centro, soprattutto, la convivialità.

Ed ecco quindi un tripudio di crudi, splendidi e freschi (difficilmente troverete questa qualità nel raggio di molti km), ma anche dei cucinati e, in posti similari, non è sempre così, sia adeguatamente tecnici che ben fatti e ben presentati come la spigola, la ricciola o le linguine alla testa di tonno. Una cucina apparentemente elementare, ma che di elementare non ha nulla.

A cominciare dallo chef e patron Christian Fava, in sala a coordinare le comande e accudire i clienti, dal primo all’ultimo.

Chiude il cerchio una cantina sensazionale a prezzi da encomio. Un luogo da segnare sul taccuino gourmet, senza dubbio alcuno, che vale certamente la deviazione e, forse, anche il viaggio.

La galleria fotografica:

Una delle mani più pulite, e più risolte, della Riviera Romagnola

Uno dei grandi meriti di Alberto Faccani è, senz’ombra di dubbio, la costanza. Ma è una costanza dinamica, la sua, capace di mantenersi e anzi di alzare la posta mediante un esercizio all’autocritica che, crediamo, sembra essere tanto fecondo quanto continuo. È questo stesso esercizio che permette lui di perfezionarsi e di affinarsi costantemente, e pacificamente, senza lesinare, peraltro, le numerose e colte citazioni che chi ha memoria storica riuscirà facilmente a cogliere.

Una cucina composta, borghese nel senso migliore del termine, e neoclassica, ovvero elegante, centrata mediante contrasti studiati col bilancino e tanto intelligenti, come già abbiamo avuto modo di constatare in passato, per via della rarissima capacità di accontentare, benché nella piccola costellazione di appena nove tavoli, anche l’appetito romagnolo proverbialmente poco avvezzo a quanto non sia, semplicemente, sostanza.

Ma Faccani raggiunge il primato di essere il meno romagnolo tra i più romagnoli: la sua mano è raffinata e non cede mai né agli eccessi né alle pulsioni, men che meno alle provocazioni o alle tentazioni dell’avanguardia. Il risultato è una cucina apollinea, aulica, fatta di linee pulite ed essenziali che si magnificano già in apertura col fossile di schie e si coronano anche nel piatto più opulento, il calamaro alla carbonara con tartufo nero, che simula nel taglio lo spaghetto e tanto ricorda, nel concetto, la tagliatella di seppia di Corrado Fasolato ai tempi de La Siriola, mentre lo gnocco di capasanta emula del mollusco la forma pingue e carnosa, nel segno di una grande coerenza tanto di forma quanto di sostanza.

Un tributo al Mar Adriatico, poi, il risotto mantecato in tre salse che, come accadeva nelle superstizioni iconografiche del passato, della Romagna sembra aver catturato l’anima e il cuore.

E se in passato avevamo avuto modo di constatare che, purtroppo, il reparto dolci non era allineato allo stile aulico, si direbbe quasi aureo, della cucina dello chef, oggi proprio i dessert e, in particolare, il cocco tropicale, di questo stile sono la dolce, apollinea epitome.

Un plauso, dunque, a questa Romagna in dolce stil novo.

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