La ricerca di un Rosé che sfida l’eccellenza
L’evento di presentazione dedicato alla linea Rosé di Barone Pizzini, svoltosi nell’intimo e raffinato ristorante Olmo dell’inappuntabile Davide Oldani, si è rivelato non una mera degustazione, ma un’analisi approfondita della strategia aziendale sviluppata nell’arco di tre decenni. Al centro di questa la sfida, altamente impegnativa, concepire un Rosé che potesse ambire alla perfezione.

Per cogliere la portata di questo progetto e la continua ricerca di “far meglio”, è necessario tuttavia ripercorrere il cammino di crescita e le decisioni che hanno plasmato l’identità di Barone Pizzini. Secondo Silvano Brescianini, le scelte che da sempre definiscono l’operato di Barone Pizzini sono sostanzialmente tre e hanno caratteristiche comuni: sono state compiute prima degli altri nel territorio, hanno aperto la strada affinché altri le intraprendessero, e sono state tutte decisioni “in salita”. Questo, tuttavia, non significa che siano state più facili, meno rischiose, meno complicate e, soprattutto, meno costose.

Per l’azienda il punto di partenza è sempre lo stesso: la terra. Non intesa come semplice supporto alla vite, ma come un ecosistema complesso, vivo, capace di determinare la qualità finale del vino più di qualsiasi intervento umano. Da qui nasce la convinzione che non sia possibile parlare di qualità senza parlare di rispetto: un vigneto funziona solo se conserva la sua vitalità, se mantiene attivi i legami tra suolo, piante e organismi che lo popolano.

Ogni parcella racconta una storia diversa, e non solo per la tessitura del terreno. A fare la differenza è tutto ciò che vive là sotto: microrganismi, insetti, radici, funghi, la rete invisibile che tiene insieme l’equilibrio. Dove questo equilibrio è presente, la vite si esprime con naturalezza e dà frutti più completi, più veri. È questo che, per loro, definisce la biodiversità: non un concetto astratto, ma il primo alleato del vignaiolo.

Questa visione ha portato l’azienda a fare scelte sempre più precise, evolutive, orientate alla conoscenza. Una tappa importante è stata l’adesione al progetto Biopass, nel 2014, dedicato alla lettura e alla valorizzazione della biodiversità in viticoltura. Attraverso il lavoro dello Studio Agronomico Sata, del gruppo del Prof. Leonardo Valenti dell’Università di Milano e del team del Dr. Enzo Mescalchin della Fondazione Edmund Mach, è stato possibile misurare lo stato reale dei suoli, capire come reagiscono e quali strategie permettono di migliorare l’equilibrio complessivo del vigneto. Queste informazioni hanno trasformato il modo di intervenire in campagna, diventando strumenti concreti e quotidiani. Scelte di questo tipo richiedono tempi lunghi, attenzione e investimenti superiori alla media, ma l’azienda non ha mai avuto un approccio diverso: la qualità è un valore che non si discute. Che si tratti della gestione agronomica o di dettagli apparentemente minori – come l’utilizzo degli stessi tappi impiegati per le cuvée più importanti anche sui Franciacorta “base” – la direzione è sempre la stessa: privilegiare ciò che eleva il vino, non ciò che riduce i costi.

Un altro aspetto fondamentale è l’importanza delle certificazioni. L’azienda le ritiene un dovere nei confronti del consumatore. In un mondo in cui “tutti sono naturali, tutti sono sostenibili, e ora tutti sono anche rigenerativi”, ma spesso senza alcuna certificazione che lo dimostri, Barone Pizzini si distingue per non essere “allergica alle certificazioni“. Se un vino non è certificato bio, semplicemente non è bio, proprio come un vino non può definirsi Barolo se non rispetta le precise normative di uva, zona, rese e invecchiamento. Lo ricordava anche Gino Girolomoni, uno dei riferimenti italiani in questo ambito: scegliere il Bio non significa ottenere un bollino, ma abbracciare un modo diverso di lavorare la terra.
Per la Barone Pizzini è stato così sin dall’inizio. Il processo di certificazione, avviato nel 2001, è diventato uno strumento per capire meglio ciò che accade in vigneto e in cantina. È in questa fase che è nata l’abitudine di misurare l’impronta carbonica, con l’obiettivo di ridurre progressivamente l’impatto ambientale. Le analisi vengono svolte secondo il protocollo IWCP e elaborate con il sistema Ita.Ca, il primo specifico per la filiera del vino. In questa direzione si inserisce anche l’adesione a CO₂ RESA, il Registro delle Emissioni per il settore agroalimentare, rivolto alle aziende che quantificano e compensano la CO₂ prodotta. Una scelta che conferma una volontà precisa: rendere la sostenibilità non un concetto, ma una pratica quotidiana, misurabile e concreta.

Nel 2007 l’azienda ha anche inaugurato la nuova sede produttiva, pensata fin dall’inizio come un organismo vivo, costruito per dialogare con l’ambiente. Ogni scelta – dall’architettura ai materiali – è stata anche qui guidata da un principio semplice: ridurre l’impatto, ottimizzare le risorse, rispettare il luogo. Pannelli fotovoltaici, ricambio d’aria naturale, pietra e legno, fitodepurazione delle acque: un insieme di soluzioni che raccontano una cantina progettata come un albero, con la parte visibile all’uomo e le radici che affondano in profondità. Questo approccio definisce anche il modo in cui accolgono i visitatori. Il percorso parte sempre dalla vigna e dal territorio – “la chioma”, il livello esterno – per poi scendere nel cuore produttivo. Qui è stata realizzata una terrazza di osservazione che permette di seguire da vicino ogni passaggio della lavorazione, senza filtri né barriere: un esercizio di trasparenza coerente con la loro identità. Nel loro percorso di ricerca, un ruolo speciale lo ha assunto l’Erbamat, un vitigno antico che la provincia di Brescia documenta già nel 1564. Per secoli era praticamente scomparso, fino a quando, negli anni ’90, il Centro vitivinicolo provinciale ha iniziato a salvare e catalogare alcune varietà autoctone ancora presenti nelle vecchie pergole. Tra le 18 cultivar recuperate, una delle più interessanti era proprio l’Erbamat, oggi coltivata nel vigneto collezione della Bornata.

I primi riscontri tecnici arrivano nel 1997, ma la ricerca prosegue e prende forma in una pubblicazione scientifica degli agronomi Pierluigi Villa, Ottorino Milesi e Attilio Scienza, che descrive nel dettaglio tutte le varietà salvate. Per l’azienda questo studio è stato la base per avvicinarsi a un vitigno tutt’altro che semplice, ma con un potenziale enorme, soprattutto per la sua risposta al cambiamento climatico. L’Erbamat matura dalle 6 alle 8 settimane dopo lo Chardonnay e le sue caratteristiche sono ottimali per un vino effervescente: raggiunge alcolicità modeste (circa 10,5-11,5% Vol.), mantiene un interessantissimo livello di acidità (con acido malico fino al 50% in più dello Chardonnay), ed è molto povera in polifenoli, componenti che appesantirebbero il vino.
C’è da osservare come alcune annate molto calde – come la 2003 e la 2007 – avevano già sollevato dubbi e preoccupazioni: maturazioni accelerate, vendemmie anticipate, equilibri a rischio. Così, nel 2008, nasce il “Progetto Erbamat”, sviluppato insieme a Pierluigi Donna. Si impianta un ettaro sperimentale, volutamente declassato dalla DOCG, per poter lavorare liberamente su un vitigno ancora non riconosciuto. Da qui prendono forma tre vini VSQ affinati a lungo sui lieviti: Tesi 1, Tesi 2 e Tesi 3. Ciascuno prevede una diversa percentuale di Erbamat accanto a Chardonnay e Pinot nero. Le Tesi hanno permesso di delineare il profilo del vitigno: acidità alta, salinità pronunciata, zuccheri naturalmente contenuti e maturazione tardiva. Tutti elementi che, letti con la sensibilità attuale, raccontano un’uva capace di portare freschezza in un territorio che deve fare i conti con estati sempre più calde. I risultati scientifici del progetto hanno contribuito alla successiva modifica del Disciplinare, che ha introdotto l’Erbamat nelle cuvée con un tetto massimo del 10%. Così, nel 2021, Animante diventa il primo Franciacorta della storia a includerlo nella sua composizione, presentandosi sul mercato tra grande curiosità e attenzione.
Un’altra importante tappa di questo percorso è stata l’eliminazione dei prodotti di origine animale nel processo di vinificazione. A partire dal regolamento del vino biologico
Vini prodotti tramite l’utilizzo di uve coltivate e lavorate con prodotti e fertilizzanti biologici. Marchio del vino soggetto a disciplinare biologico. Leggi del 2012, l’azienda ha deciso di sostituire i chiarificanti di origine animale, che includono la gelatina derivata dalla cotenna di maiale e i caseinati di potassio (derivato dal latte). Scelta ulteriormente confermata da un confronto con l’Istituto Enologico della Champagne, una realtà il cui lavoro incide su oltre 220 milioni di bottiglie. Il responsabile della ricerca e sviluppo ha spiegato che l’intero percorso innovativo oggi è orientato esclusivamente verso soluzioni naturali, e in particolare di origine vegetale come il chitosano. In Champagne sono abituati a guardare lontano, a pensare al futuro: per questo sanno che gli ingredienti di origine animale non saranno più accettati da una parte sempre più ampia dei consumatori.
Barone Pizzini è riuscita a certificare l’intera produzione – Franciacorta, Castelli di Jesi e Maremma – come vegana, adottando chiarificanti esclusivamente di origine vegetale. Questo processo non è stato certo esente da “fatica, gravità e fallimenti“, ma l’azienda ritiene che se ci sono riusciti loro, “lo possono fare anche gli altri”.
Il Rosé: l’apice del Pinot nero e l’eccellenza tecnica

Infine veniamo al Rosé, focus di questo incontro e che rappresenta per Barone Pizzini la massima valorizzazione del Pinot Nero. La vinificazione è impegnativa perché è l’opposto di un vino rosso: bisogna evitare assolutamente tannini e polifenoli, componenti che l’effervescenza amplificherebbe. L’uva Pinot Nero “deve essere sana al 200%” e richiede una selezione molto accurata.
La macerazione con le bucce, necessaria per ottenere il colore, è breve, all’incirca di 4-6 giorni, e la fermentazione è condotta a bassa temperatura. Le tempistiche dipendono dall’annata e oscillano dal 5% al 15%. Idealmente, il Rosé è un Pinot Nero al 100%, ma in annate come la 2011 e la 2018 può esserci una parte (dal 10 al 30%) di Chardonnay, ritenuto migliorativo in vista del risultato finale.
Innovazioni Tecniche:
- Jetting: L’azienda utilizza da oltre 15 anni il sistema di jetting. Questo accorgimento – si inietta acqua solfitata) provoca una schiuma che espelle l’ossigeno all’interno della bottiglia al momento della tappatura, riducendo significativamente il rischio di ossidazione del vino assicurando migliore freschezza nel tempo.
- Tappi di Sughero: Barone Pizzini utilizza solo tappi di sughero di alta qualità privilegiando tappi naturali con una micro-presenza di polvere di sughero (che potrebbe alterare la fragranza e l’eleganza del vino) e selezionati con sistemi di controllo avanzati, in linea con la loro filosofia di coerenza e attenzione al dettaglio.
- Sboccatura: L’azienda esternalizza il servizio di sboccatura, pur essendo più costoso. Questa scelta è voluta perché macchine noleggiate o acquistate da terzi sono più recenti, garantendo una maggiore precisione e una minore perdita di vino.
Se l’agricoltura biologica, la riscoperta dell’Erbamat e l’approccio vegano costituiscono i pilastri strategici di Barone Pizzini, il Rosé ne rappresenta la sintesi più alta: non un semplice complemento di gamma, ma un vero manifesto in bottiglia, capace di trasformare la complessità del metodo in autentica eccellenza.
Il Rosé: un racconto in verticale dal 2011
Rosé Franciacorta Extra Brut
Per "extxra brut" si intende un prodotto enologico che contiene meno di 6 g/l di zucchero. Leggi Edizione 2021
Pinot nero 80%, Chardonnay 20%
Vinificazione: Pressatura soffice, macerazione a freddo degli acini interi, fermentazione in vasca inox termocondizionata.
Maturazione: 10 mesi in vasche inox 50% e barrique
Con "barrique" si intende una piccola botte di legno adatta all’affinamento di vino dalla capacità compresa tra i 225 e i 228 litri. Leggi di secondo passaggio 50%
Affinamento in bottiglia sui lieviti: 31 mesi
Dég. Giugno 2025
(Prima annata vegana)
Il colore è luminoso e raffinato mentre all’olfatto si apre du note di rosa canina, piccoli frutti rossi, un accenno di liquirizia nonché una composta trama di note tostate che affiora con l’ossigenazione. Non cerca mai l’ostentazione ma è misurato, delicato. In bocca l’ingresso è ampio ma leggiadro, con una progressione brillante, slanciata, danzante e perentoria sulle papille. La salinità è incisiva, precisa, e sostiene un sorso che rimane integro, luminoso, di una bevibilità sorprendente. Infine, la chiusura è profonda, sfaccettata, con un finale sapido e una dolcezza di agrumi che rimane in persistenza. Di classe e personalità.
92/100
Rosé Franciacorta Extra Brut Edizione 2019
Pinot nero 70%, Chardonnay 30%
Vinificazione: Pressatura soffice, macerazione a freddo degli acini interi, fermentazione in vasca inox termocondizionata.
Maturazione: 10 mesi in vasche inox 50% e barrique di secondo passaggio 50%
Affinamento in bottiglia sui lieviti: 30/40 mesi
Dég. Maggio 2024
Qui tutto è più compatto, denso, fuso. Il profilo aromatico vira verso toni più scuri, austeri: grafite, sottobosco, ribes nero, rovo, cenni affumicati. Il sorso sorprende: nonostante il naso più cupo, la bocca si mostra luminosa, elegante, raffinatissima, dalle movenze armoniose e di scorrevolezza impeccabile.
Ritornano gli agrumi, tornano i piccoli frutti rossi, ma con un tono più maturo, quasi vellutato. Forse il centro bocca è più trasparente, un po’ più arioso rispetto al 2021, ma è proprio questa sua natura a renderlo così spensierato. E di incredibile bevibilità.
91/100
Rosé Franciacorta Extra Brut Edizione 2018
Pinot nero 100%
Vinificazione: Pressatura soffice, macerazione a freddo degli acini interi, fermentazione in vasca inox termocondizionata.
Maturazione: 10 mesi in vasche inox 70% e barrique esauste 30%
Affinamento in bottiglia sui lieviti: 30/40 mesi
Dég. Gennaio 2023
Qui si è optato per uve completamente di Pinot nero poiché le temperature calde di luglio hanno agevolato la maturazione delle uve e la produzione è stata alta e di buona qualità. Il colore è più intenso, accattivante, dai riflessi salmone–ramati. Il naso si fa subito scuro: note rosse profonde, kumquat, una speziatura evidente, un tono maturo ma anche floreale di peonia, assieme al frutto di rovo, la mandorla. Il sorso è più lento, più posato, quasi meditativo, ampio e possiede la setosità del Pinot noir. Non ha l’irrequietezza brillante delle cuvée successive: qui domina una maturità calma, compiuta, più adulta, ma vi è anche una profondità più terrosa che affascina. Rosé serio, introspettivo e di grande classe.
91/100
Rosé Franciacorta Extra Brut Edizione 2017
Pinot nero 80%, Chardonnay 20%
Vinificazione: Pressatura soffice, macerazione a freddo degli acini interi, fermentazione in vasca inox termocondizionata.
Maturazione: 10 mesi in vasche inox 70% e barrique esauste 30%
Affinamento in bottiglia sui lieviti: 30/40 mesi
Dég. Novembre 2021
Il naso è più introverso, timido, si concede lentamente. Col tempo ritornano le sensazioni delle annate precedenti, ma in forma più discreta, silenziosa. In bocca è forse il più riservato della verticale, il più difficile da leggere: la 2017 fu un’annata durissima, con gelate che portarono via il 50% del raccolto, e questa fragilità si avverte. Eppure, nonostante tutto, il vino mantiene personalità e misura, nonché la cifra stilistica della Barone Pizzini: è elegante, sussurrato, e alla fine ha conquistato molti di noi in degustazione proprio per la sua capacità di essere autentico, rispettoso dell’annata, senza forzature o caricature. Bravi.
90/100

Rosé Franciacorta Extra Brut Edizione 2014
Pinot nero 80%, Chardonnay 20%
Vinificazione: Pressatura soffice, macerazione a freddo degli acini interi, fermentazione in vasca inox termocondizionata.
Maturazione: 6 mesi in vasche inox e barrique
Affinamento in bottiglia sui lieviti: 30/40 mesi
Dég. Luglio 2018
Al naso emergono subito note burrose, ampie, quasi eccessive. Un filo ossidativo, delicato, si affaccia con l’evoluzione. È probabilmente l’annata che ha perso più energia, quella meno luminosa rispetto alle altre. I segni del tempo e dell’annata complessa si avvertono, soprattutto nel naso, che appare più maturo e meno vibrante, coinvolgente, rispetto ai precedenti. Un’annata che h già dato il meglio di sé.
89/100
Rosé Franciacorta Extra Brut Edizione 2011
Pinot Nero 100%
Vinificazione: Pressatura soffice, macerazione a freddo degli acini interi, fermentazione in barrique
Maturazione: 8 mesi in barrique
Affinamento in bottiglia sui lieviti: 128 mesi
Dég. Novembre 2022
Ecco un’annata che riporta indietro nel tempo con una eleganza e un trasporto quasi magnetico. All’olfatto è complesso, sontuoso ma anche ampio e definito nelle sue suggestioni: biscotto, note di torrefazione, agrumi canditi, spezie fini, vaniglia, rosa, sandalo. Tutto è fuso con una precisione impressionante, mentre in bocca è un trionfo di energia, sapore e, di nuovo, classe: è radioso, solare, luminoso, qusi incredibile pensando ai tanti anni sui lieviti. Nessuna ombra di ossidazione, nessun cedimento: solo equilibrio, profondità e una tensione gustativa perfetta . Conun finale che rilancia su aromi di verbena, violetta, peonia, in una chiusura che rimane sospesa e lunghissima. L’interpretazione, ma anche l’annata, più alta dell’intera verticale.
94/100

Il Bagnadore Rosé Riserva 2011 è stato presentato in questa sequenza grazie all’eccezionalità della vendemmia. Il 2011 è ritenuta la migliore annata dal 1994, un giudizio supportato dal Consorzio Franciacorta, che la pone accanto a pochissime altre vendemmie straordinarie degli ultimi 30 anni, come il 1995, il 1997 e il 2005. Le condizioni climatiche furono ideali: una primavera calda seguita da un’estate fresca e piovosa, che garantì un’alternanza di temperature giorno/notte favorevole alla sintesi degli aromi. Questa maturazione lenta ha conferito al vino un grande equilibrio di profumi e un aroma intenso. Comprendendo la possibilità di ottenere una bottiglia straordinaria, è stata presa la decisione di creare il Bagnadore Rosé come Riserva “fuori programma”. L’unica motivazione per la sua presentazione è stata l’eccezionalità del prodotto. Assaggiato a 14 anni dalla vendemmia, il Bagnadore 2011 è ancora in grande forma. Questo dimostra che la vera sfida per Barone Pizzini non è solo produrre un Metodo Classico, ma creare una cultura sul territorio che abbia una prospettiva di vita di decenni. Il vino in partenza deve avere la “benzina” per fare un viaggio così lungo.













