Tavola vera
Come ha fatto Diego Rossi a rendere Trippa uno dei locali più desiderati (ultimamente quasi irraggiungibili, vista la difficoltà di prenotazione) non solo di Milano, ma forse addirittura di tutta Italia? Da qualche anno uno degli sport preferiti di critici gastronomici e gourmet appassionati è indagare i motivi del successo di questa vivace trattoria in Porta Romana. Non una trattoria sui generis, una trattoria vera e verace con le tovagliette di carta, i tovaglioli a quadri, il servizio in maniche di camicia e le porzioni abbondanti. I disfattisti ci vedono un segno del tramonto del ‘fine dining’. I maliziosi mettono in primo piano l’efficace strategia di comunicazione e il conto, tra i 50 e i 60 euro, così morigerato per la piazza milanese da porre degli interrogativi sulla sostenibilità economica dell’impresa. I più attenti ci vedono la sublimazione della cultura gastronomica popolare italiana, variamente interpretata da un cuoco che ha cultura, competenze e capacità da ‘alta cucina’. Un campione della bistronomie, in pratica, aperta però in questo caso solo agli usi e ai costumi regionali nostrani e non a quelli dei mondi più lontani come la primigenia versione parigina.
Cucina di fuoco e di gesto
Partiamo dai fatti: i piatti di Rossi sono, almeno apparentemente, semplici. La sua è una cucina di fuoco e di gesto. I cavalli di battaglia, come il Vitello tonnato e le Tagliatelle al burro e parmigiano, fondano il loro successo sulla selezione accuratissima delle materie prime e su alcuni accorgimenti tecnici nella preparazione dei piatti, in particolare nelle texture dei condimenti, che modificano (e migliorano) la ricetta classica. Il quinto quarto, come prevedibile visto il nome del locale, ha un ruolo non marginale nel menù. La Trippa fritta, per esempio, altro punto fermo, è pulita alla perfezione così da risultare quasi neutra sotto il profilo aromatico ed è avvolta in una sottile panatura di farina che ne dissimula la naturale consistenza elastica e spugnosa. In aggiunta al menù, c’è sempre una proposta del giorno, recitata a voce. Spesso è proprio qui che si trovano i piatti di maggiore interesse. E’ il caso di due pietanze in cui le tradizioni regionali si incrociano: il Lampredotto (toscano) condito alla amatriciana (laziale) e la PajataLa pagliata (in italiano) è il termine con il quale si identifica l'intestino tenue del vitellino da latte o del bue, che viene utilizzato soprattutto per la preparazione del sugo per un tipico piatto di pasta, i rigatoni con la pajata. Si usa il secondo tratto dell'intestino tenue, denominato "digiuno". La ricetta tradizionale prevede che l'intestino venga lavato, ma non... Leggi (laziale) preparata come una cassœula (lombarda). In entrambi si conferma la tendenza a comporre piatti di gola, immediati e appaganti. Il Diego Rossi di tutti i giorni piace: piace ai gastro-turisti, piace ai viveur milanesi, piace alla critica gastronomica. Ma resta un punto di domanda: esiste un altro Diego Rossi, capace, quando sollecitato, di premere sul pedale dell’acceleratore e raggiungere velocità superiori? Una risposta ce la offre Ferran Adrià, che dopo un pranzo a fine febbraio 2025, ha affermato sicuro: “Chi è che dice che questa è una trattoria..?! Questo è un grande ristorante creativo”.
L’esperienza da Trippa non si esaurisce con la cucina, da qualche anno infatti la cantina è cresciuta in qualità e varietà di etichette, con una carta vini curata da Radi Razaghi bravo a scoprire e consigliare sia gradi etichette sia produttori emergenti.
IL PIATTO MIGLIORE: la Pajata come una cassœula.
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