Passione Gourmet Il Corton-Charlemagne di Louis Latour - Passione Gourmet

Il Corton-Charlemagne di Louis Latour

Vino
Recensito da Gianluca Montinaro

La Maison Louis Latour

Ventiquattro sono i Grand Cru rossi nella Borgogna della Côte d’Or. Appena sette (non contando l’unicum dell’appellation Musigny in versione blanc e lo Charlemagne, appellation che nei fatti nessuno rivendica più) i Grand Cru bianchi, concentrati in due aree: la collina di Corton e i filari di Montrachet con le sue quattro vigne “satelliti”: Chevalier, Bâtard, Bienvenues-Bâtard e Criots-Bâtard.

Un’evidente disparità le cui motivazioni affondano, in buona parte, nelle complesse vicende di questi luoghi ove comunità monastiche e claustrali hanno preso a coltivare la vite sin dai tempi della caduta dell’Impero romano. Una storia più che millenaria che si intreccia con quella di sovrani e imperatori, di principi e duchi, in un misto di mito e agiografia.

Ed è proprio sulla collina di Corton, altura che segna il passaggio dalla Côte des Nuits alla Côte de Beaune, e che divide fra loro i paesi di Aloxe-Corton, Pernand-Vergelesses e Ladoix-Serrigny, che si dipanano fatti leggendari legati al settimo imperatore romano – Otone –, a Carlo Magno e agli Ottoni di Sassonia. Chi fra essi abbia per davvero dato inizio alla coltura della vite su questi pendii non è noto (anche perché realisticamente non fu nessuno di questi) ma è certo che, intorno all’anno Mille, qui si coltivavano uve a bacca rossa e, in quantità minore, uve a bacca bianca. Lo Chardonnay si è poi, nel corso dei secoli, affermato nei confronti dell’asprigno Aligoté, del più “evanescente” Pinot Blanc e di altri vitigni minori ora difficilmente identificabili, se non per ipotesi. La “colonizzazione” operata dallo Chardonnay su queste terre ha avuto il suo maggior impulso con l’arrivo (1870 circa) della fillossera: i vigneti della collina di Corton ne furono devastati e in tanti, al momento del reimpianto delle barbatelle, optarono per lo Chardonnay che qui regalava vini più espressivi e più morbidi rispetto ad altre uve.

Fra coloro che, all’epoca, con lungimiranza, fecero questa scelta ci fu anche la famiglia Latour. Il nome di questa “dinastia del vino” era già ben noto in queste terre. Nel 1737 i Latour figuravano come proprietari di alcuni vigneti in Côte de Beaune, nonché di una affermata fabbrica di botti (tonnellerie). Nel 1797, in seguito alla Rivoluzione che tante terre di proprietà nobiliare aveva requisito e messo all’asta, Jean Latour (1746-1811) e suo figlio Louis (1784-1844), fondarono la loro maison. Il successo arrise al giovane Louis che presto iniziò a vendere i suoi vini non solo in Europa ma addirittura a esportarli negli Stati Uniti e in Oriente, diventando anche il fornitore di principi e reali. Il figlio di Louis – Louis anche lui (1835-1902) – vedendo che gli affari andavano a gonfie vele affiancò, alla fabbrica di botti e al vino fatto dai vigneti di proprietà, anche un’attività di négoce (1867), aprendo il suo ufficio al n. 18 di rue des Tonneliers, a Beaune, dove a tutt’oggi ha ancora sede la Maison Louis Latour. Ma il colpo di fortuna arriva quando, nel 1891, Louis riesce ad acquisire lo château e l’annessa cuverie dalla nobile famiglia Grancey, ad Aloxe-Corton. Assieme alle due costruzioni acquisisce la proprietà di ben trentatré ettari sulla collina di Corton, divenendone il primo proprietario per estensione (record che tuttora la maison detiene con orgoglio). Nello stesso magico anno nasce il suo primo Corton-Charlemagne: ancora oggi la firma di Louis campeggia sull’etichetta di questo soave, preziosissimo nettare.

Quattro annate di Corton-Charlemagne

Nel corso di una degustazione, tenutasi presso la bella sede milanese di Sarzi Amadè (distributore esclusivo per l’Italia della Maison Louis Latour), guidata da Alessandro Sarzi Amadè, si sono potute assaggiare, apprezzandone consonanze e differenze, le ultime quattro annate – 2018, 2019, 2020 e 2021 – del Corton-Charlemagne signé par Louis Latour. Innanzi tutto bisogna specificare che le uve arrivano tutte da terreni di proprietà, quelli acquisiti dalla famiglia Grancey. E che le vigne (età media trent’anni) – che si estendono su quasi undici ettari (dei 72 complessivi dell’appellation) – ricadono tutte nel comune di Aloxe-Corton, nella zona più calda della collina: quella con esposizione Sud, Sud-Est (la collina di Corton è un unicum in Borgogna, essendo la sola zona ove si possono rintracciare vigneti che guardano a Ovest e addirittura, a ridosso di Pernand-Vergelesses, a Nord-Ovest). Anche l’altitudine è perfetta: le vigne partono da metà pendio e salgono sino a lambire il bosco che sovrasta l’altura. Il suolo presenta un primo strato superficiale di terreno argillo-calcareo ma, rispetto al resto della collina, qui lo spessore è assai fine, facendo presto spazio a roccia madre costituita da marne calcaree e da calcari fini e sciolti: una terra – quindi – povero ma di estrema potenza minerale.

Le vigne sono condotte non solo senza uso di insetticidi e diserbanti, ma con estrema attenzione alla salvaguardia ambientale, utilizzando addirittura le api come indicatori di benessere della vita di piante e animali. La vendemmia e il triage delle uve avvengono a mano. E le fermentazioni alcoliche e malolattiche si svolgono in barrique nuove (tutt’oggi costruite dalla tonnellerie di proprietà), ove il vino sosta dagli otto ai dieci mesi prima di essere imbottigliato. Le quattro annate di Corton-Charlemagne si sono svelate in modo inusitato, come “incrociandosi” per similitudini e diversità. Tranne che per il colore – in tutti e quattro i bicchieri di un magnifico giallo paglierino, di limpidezza cristallina e di consistenza media – il vino si è poi mostrato sì sempre su una medesima impronta stilistica ma declinata in modo di volta in volta differente, tanto che l’annata 2021 è parsa assai vicina alla 2019, mentre la 2020 è sembrata sorella della 2018.

La degustazione

A predominare, nella più giovane, intensi e complessi aromi di affascinante frutta esotica (la banana appena matura, l’ananas, la papaya) assieme ad accenni di pesca bianca e di agrumi, affiancati da fiori bianchi, da qualche tocco erbaceo (verbena) e da una sorprendente mineralità assimilabile alla polvere da sparo. La 2020 è invece apparsa vestendo panni gourmand: la frutta ha virato con intensità sulla polpa bianca, i fiori sono divenuti molto più vari e i tocchi erbacei e minerali si sono fusi a sensazioni di miele, di spezia, di burro e sin di brioche. Su una complessa eleganza di nuovo fresca e viva è tornata invece la 2019 che ha messo in primo piano l’agrume dolce, la pierre à fusil, una certa balsamicità (verbena, acacia) e finissimi tocchi di mandorla, di nocciola e di vaniglia. La 2018 è sembrata invece già in evoluzione, in fase di abbandono della prima gioventù: il terziario è apparso più marcato, con frutta matura, fiori in parte già secchi e note di spezia evidenti, ma con una finissima mineralità ad ‘alleggerire’ il naso. Tutte sensazioni che hanno poi trovato pieno riscontro in bocca.

Sono state ancora la 2021 e la 2019 a “giocare” sulla freschezza e sull’agilità, lasciando alla 2020 e alla 2018 l’espressione della morbidezza, della struttura e quasi della concentrazione. Le prime due sono apparse vibranti, con l’acidità e la superba mineralità (salina e soave al contempo) ad inseguirsi in un sorso di lunghezza infinita, di rarefatta intensità, di enorme persistenza e di eccellenza senza eguali, che ha trovato poi, nella struttura polialcolica, la sua morbida e “gustosa” conclusione. La 2020 e la 2018 si sono mosse invece “al contrario”, con i polialcoli a dirigere il sorso in modo pieno e rotondo. E con la freschezza e la mineralità a sorreggere una struttura di grande imponenza (e addirittura forse un po’ troppo concentrata nel caso della 2018). Ma, a sfuggire la pesantezza, ecco i continui ritorni delle sensazioni minerali, che “salando il palato”, invogliano al bicchiere successivo. Anche in queste due annate la persistenza, l’intensità e la finezza si muovono a livelli siderali, disegnando un corpo netto ma ben slanciato e assai armonico.

1 Commenti.

  • Sante Barbati14 Settembre 2023

    Interessante articolo. Esaustivo e preciso.

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