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Giodo

Vino
Recensito da Alberto Cauzzi

Dall’amore per il Sangiovese all’Etna e i suoi vitigni autoctoni

La storia di Giodo inizia con il Sangiovese, il primo grande amore di Carlo Ferrini.

Tra lecci, querce, arbusti di lentisco e ginestre, si giunge in quella Toscana, tra bosco e macchia mediterranea, dove trovano sede le più note aziende di Montalcino. Ed è tra Sant’Angelo in Colle e Sant’Antimo, sinonimo di perfetta esposizione, ideale altitudine e suoli ideali, che dal 2001 il sogno di Ferrini si avvera. Giodo, nel nome un omaggio ai genitori Giovanna e Donatello, nasce da una vita professionale votata al Chianti Classico, una passione che ha condotto l’enologo di fama internazionale e grande appassionato della più nobile Francia del vino ad acquistare un piccolo podere di circa un ettaro, che si è poi esteso in due ettari e mezzo con l’impianto di altre tre parcelle contigue, completato nel 2021 con una cantina di vinificazione e una casa colonica di recente ristrutturazione, in totali 6 ettari di vigna. Un sentimento condiviso con la figlia Bianca, trentenne, coadiuvato da Riccardo Ferrari e Giuseppe Pitzeri, tra vigna e cantina.

La perfetta esposizione sud-est, a 300 metri s.l.m, e il suolo di medio impasto ricco di scheletro sono le ottime basi per mettere a dimora i cloni che più avevano convinto l’enologo negli anni: 8 diversi, di poca resa, scarsa vigoria, con grappoli spargoli e acini di ridotte dimensioni. La pratica dell’inerbimento con leguminose e la concimazione naturale sono garante di una corretta gestione agronomica che in questi due ettari e mezzo di vigne sono dedicate al Brunello, mentre gli appezzamenti più giovani all’IGT Toscana La Quinta. Queste accortezze sono riproposte nel secondo appezzamento individuato qualche anno dopo da Ferrini, dove ad un un’altitudine maggiore, di 400 metri s.l.m., con un suolo sassoso e più profondo, trovano dimora gli stessi cloni.

Dopo il Sangiovese, Carlo Ferrini si innamora anche dell’Etna e dei suoi vitigni autoctoni: il Nerello Mascalese e il Carricante, da cui inizia la storia di Alberelli di Giodo. Queste due espressioni trovano terreno fertile in otto piccoli appezzamenti nella Sicilia di Contrade Rampante e Pietrarizzo, che, sommati, arrivano a poco più di due ettari e mezzo. In questi terreni l’altitudine, l’ideale esposizione a nord, e il terreno nero di pomice del Vulcano concedono struttura unica e una spiccata mineralità.

I quattro vini monovarietali che ne derivano sono lo specchio e l’essenza del territorio di origine da cui provengono e dell’attenta cura in vigna che tanto contraddistingue Ferrini.

La Degustazione

Questo Brunello di Montalcino si rivela di un’innata eleganza: di buona morbidezza, profondo, intrigante ed intenso si compone di uve perfette, che maturano in piccoli legni francesi che terminano l’affinamento in bottiglia, restituendo a Giodo equilibrio e spessore. Su tutte ci ha entusiasmato l’annata 2016, intrigante la 2018 e molto buona, comunque, la 2015. Ma la 2016 ci ha davvero impressionato per eleganza e finezza.

La Quinta Toscana IGT nasce dall’omonima parcella impiantata nel 2018, la quinta appunto, dedicata a uve Sangiovese. Di notevole freschezza, si dimostra di buona beva e dalla buona persistenza aromatica. Sentori di frutti rossi che si alternano a eleganti speziature di vaniglia conducono ad una bocca corposa e di tannino ben integrato. La 2018, ma in particolare la 2020, ci ha impressionato non poco. Un rosso di Montalcino, forse anche un Brunello, travestito da vino apparentemente più semplice, ma che semplice non è affatto.

Al Nerello Mescalese, Alberelli di Giodo, dalla prima annata 2016, dedica una vendemmia manuale e macerazione in vasche d’acciaio aperte a cui segue un affinamento per 12 mesi in piccole botti di legno francese.

Dall’annata 2020, ad Alberelli di Giodo si unisce il Carricante, anch’esso in purezza che, dopo 20 giorni di fermentazione in acciaio, matura per circa 6 mesi con le sue fecce sempre in acciaio e affina per 10 mesi in bottiglia.

Un vino sapido, balsamico, da vigne ad alberello di oltre 70 anni con una porzione oltre i 1.000 metri di altitudine, esprime sentori di mandorla ed eucalpito, con un finale molto lungo e persistente.

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