Passione Gourmet Modigliana, “Stella dell'Appennino” - Passione Gourmet

Modigliana, “Stella dell’Appennino”

Vino
Recensito da Passione Gourmet

Il Sangiovese di Romagna

L’attesa per l’appuntamento settembrino con “Stella dell’Appennino” assomiglia vagamente alla paziente bramosia dello spettatore un po’ nerd per la nuova stagione della sua serie preferita. Conosce già tutti i dettagli dei personaggi, dei luoghi, delle storie, eppure ha la certezza che qualcosa di nuovo accadrà: qualche nuovo protagonista entrerà in scena, la storia si arricchirà di eventi e andrà avanti, è consapevole che il passato potrebbe ritornare e svelare dettagli rimasti sopiti che troveranno il momento buono per emergere e sparigliare di nuovo le carte.

Stella dell’Appennino” più che un evento è quello spazio narrativo che 11 produttori di vino sulle colline forlivesi di Modigliana: Casetta dei Frati, Il Pratello, Villa Papiano, Mutiliana, Castelluccio (oggi Ronchi di Castelluccio), Il Teatro, Lu.Va., Fondo San Giuseppe, Menta e Rosmarino, Torre San Martino, e da quest’anno Pian di Stantino, si sono scelti per aggiungere ogni anno qualcosa alla conoscenza del Sangiovese di Romagna. Il loro Sangiovese, ma non solo quello, in questa edizione più che mai. Sono partiti sei anni fa dettagliando le caratteristiche del proprio territorio, fatto di vigne strappate ai boschi e alle pendenze appenniniche, elevate su quelle che oggi sono rocce ma che un tempo erano sabbia e conchiglie di un mare antichissimo. A Modigliana sono stati i primi a proporre il racconto di una delle sottozone del Romagna Sangiovese (11 anni fa ne nascevano 12 e da quest’anno sono diventate 16) puntando tutto sulla qualità e su una comunicazione che si smarcava dal resto della Romagna e da una lettura per marchi, legandosi indissolubilmente al terroir, con sincerità, non contemplando affatto l’artefatto,  l’inutile già detto e già visto mille volte specie da certe parti.

Perciò per far capire i vini di Modigliana, chi li fa continua a chiamare a casa propria chi li vuole conoscere. A toccare con mano la diversità dei suoli di antiche sabbie divenute marne e arenarie, a  respirare il profumo dei boschi, ad ascoltare il rumore dei torrenti che d’inverno si fa ancora vorticoso, a respirare l’aria di un panorama vinicolo che parte dai 400 metri sul livello del mare, e sale.

Nel 2021 il racconto si occupò dello spazio, l’obiettivo era decodificare ancora meglio il territorio per rafforzare l’identità attraverso il dettaglio. Venne perciò presentata la mappa del vigneto nelle tre valli solcate dai torrenti Ibola, Tramazzo e Acerreta che disegnano la sottozona di Modigliana. Tutte e tre si caratterizzano per la presenza di rocce sedimentarie, marne e arenarie, poi però le diverse conformazioni del territorio e dei microclimi sfaccettano i Sangiovesi che vi nascono e maturano.

Il nuovo capitolo di questa stagione del racconto, introduce invece l’elemento tempo, quello degli uomini oltre al meteo. E così dopo la “mappa” è arrivata la “carta”, quella delle ultime 30 annate. Ma gli undici alfieri di Modigliana non hanno parlato solo di sé, hanno allargato il campo e hanno saputo inanellare con generosità e rispetto il racconto di gran parte della Romagna enologica, dal 1990 ad oggi. Il tutto senza voler stilare una banale classifica, ma appunto intonando questa sorta di canone inverso  che mette insieme territorio, sapori, lavoro dell’uomo e della natura sovrapponendo armonicamente tante, coerenti, voci. A condurre questo ulteriore viaggio calici alla mano, oltre un centinaio i partecipanti, è stato il critico Walter Speller, portato ancora una volta a Modigliana da Giorgio Melandri, che evidentemente ama la Romagna e la incita ad essere più sicura di sé e delle proprie qualità.

1992-2004 L’epoca dei visionari e dei sognatori

C’è sempre qualcuno che parte per primo. Non si poteva che iniziare, quindi, con un’etichetta simbolo di Castelluccio, cantina fondata dal regista e produttore e Gian Vittorio Baldi che negli anni Settanta deicise di far nascere Romagna il nuovo grande vino italiano. Un’operazione intellettuale ancor prima che contadina, un’attitudine che su ronchi e dintorni non hanno evidentemente perso. Ed ecco che dal Ronco dei ciliegi (1992) emergono sottobosco autunnale e foglie di tabacco, cuore di ciliegia, ferro e freschezza che sostengono una maturità innegabile ma priva di qualsiasi stanchezza. Il decano dei modiglianesi Emilio Placci firmò nel 2001 il Badia Raustignolo che stappato oggi rapisce per eleganza e una trama finissima di tannini, una nuova immersione nel bosco, funghi e spezie. Ancora di più affascina il Mantignano 2004 sempre del Pratello: frutto, animalità, spezie e balsami, eleganza da sorseggiare a occhi chiusi, magari ripensando che quelle uve, come ricorda lo stesso Placci, furono vendemmiate a novembre, in un’altra era climatica. Fuori da Modigliana altri due vini bandiera di questo primo capitolo: Pietramora 2001 di Fattoria Zerbina (sottozona Marzeno) che dopo 21 anni mostra ancora i muscoli di un tannino grintoso ben sposato al frutto tipico di questa zona maturato su vigne ad alberello, fra le prime piantate in Romagna da Cristina Gemignani. Il Michelangiolo 2001 di Calloonga (sottozona Oriolo, sempre terre faentine) seduce con note di tabacco e ciliegia, un classicone con ancora un po’ di strada davanti.

2008-2013 La conquista dell’identità

Questo quinquennio ha offerto una carrellata di vini che nascevano evidentemente con il piede giusto e nel tempo sono diventati portabandiera delle rispettive cantine e sottozone.  Framonte 2008 di Casetta dei Frati (Modigliana) non ha mai visto il legno eppure i suoi tannini agili grattano piacevolmente il palato mentre frutto e china riempiono il sorso di sapore. Ha vita ancora abbastanza lunga, ma le bottiglie sono appena 500. Salto nel sottostante Faentino con l’Assiolo 2008 di Costa Archi (sottozona Serra), prugne ed erbe una vita ancora davanti. Limbecca 2010 di Paolo Francesconi (che finora non ha mai rivendicato la sottozona Marzeno, ma lascia la degustazione dicendosi convinto a farlo d’ora in poi), concentra frutto e sentori di liquirizia con una punta di dolcezza che ammorbidisce i vini di quelle terre rosse. L’annata 2013 di neve e piogge, con “belle potenzialità aromatiche, mineralità, acidità” come scrive Giorgio Melandri nel “libretto di sala”, schiera iI Probi di Villa Papiano (Modigliana) selvatico e agrumato, al fianco di un Vigna del Generate di Fattoria Nicolucci (Predappio) testimonial di quella vecchia scuola che alle mode non ha mai guardato puntando a diventare direttamente un classico.

2015-2017 La lettura territoriale

Rappresenta il biennio in cui Modigliana è partita alla conquista completa della propria libertà espressiva, unendo la compagine di produttori senza eliminare personalità e differenze avviando quel racconto che ora prosegue. L’Acereta 2015 di Mutiliana si “sfogli” aggiungendo un sentore a ogni sorso: ciliegie e lamponi, ma anche verde del bosco e tabacco. Nel 2016, il Violano de Il Teatro è polpa e autunno ma con lo scatto di agrume che appaga la voglia di freschezza e bevibilità; il Tramazo di Mutiliana è pietra bagnata e spezia, frutto e tannino che giocano senza sovrapporsi mai. I Probi di Villa Paiano confermano la loro identità selvatica e scura, affascinante. Carbonaro 2017 de Lu.Va. scalpita e non trattiene una maggiore potenza anche di tannino, che però non morde a sproposito.

2019-2021 Artigianalità futura

La strada è tracciata: questa Romagna del vino rivendica l’artigianalità come propria dimensione ideale, la trasparenza e la leggibilità dei propri vini come un valore. E i vini crescono di pari passo con le storie di chi li fa, come quella di Pian di Stantino ha a che fare con il riportare alla vita piccole vigne lasciate indietro, abbandonate dagli uomini, ma ancora capaci di fruttificare per volontà della natura. Il Pian 2019 arriva dall’ultima vigna che da oltre vent’anni vive sul confine fra Tredozio e Modigliana, fermenta spontaneamente, macera a lungo per ben tre mesi, profuma di frutti rossi e pepe nero. Il Corallo Nero 2019 dei fratelli Gallegati (Brisighella) amalgama frutto, sapidità, mineralità. Vere e proprie anteprime, ma da vigne di 50 anni recuperate anch’esse, sono i freschi AreaS 2020 di Menta e Rosmarino e Acerreta 2021 di Fondo San Giuseppe, il polposo e piacevole Ronco della Simia 2020 di Castelluccio, che torna dopo 25 anni sul mercato, rinato.

Walter Speller ha definito questi vini romagnoli “post moderni”. Se ha inteso dire che nell’arco del tempo considerato hanno rappresentato una sorta di offensiva all’interpretazione enologica dominante in Romagna, è condivisibile. Le storie personali di questi produttori, come di questi loro vini, testimoniano senza dubbio la volontà di raccontare una Romagna diversa già 30 anni fa senza farsi dettare regole. Il che significa una cosa: che vini eccellenti la Romagna li sta facendo almeno da trent’anni, e che questi tre decenni in sordina sono comunque valsi a cementare un’identità. Significa anche che questa Romagna enologica artigiana è forse già oltre il postmodernismo, perché del moderno non ha più alcuna nostalgia da tempo e ha superato anche le incertezze del post. Può uscire alla luce a testa alta e guardare alla prossima era.  

di Laura Giorgi

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