Leon Barral

IL NOSTRO GIUDIZIO

Il fascino dell’imperfezione…

I vini del Domaine Barral sono come un purosangue che non ha ancora subito la doma. Scorbutici, scalcianti, imperfetti ma per questo tremendamente affascinanti. Didier Barral, ultima generazione al comando, è un integralista e un purista della cosiddetta vinificazione naturale. Lieviti indigeni, fermentazione spontanea, nessuna aggiunta di solforosa. Ne conseguono vini con una forte componente ossidativa, non filtrati e pertanto con presenza di notevole residuo, insomma un vino che, alla vista, si rimanderebbe indietro. Senza aprirlo e senza assaggiarlo rimarrebbe solo un’impressione superficiale, che impedirebbe di scoprirne la parte più interessante.

Ma chi conosce bene i  suoi vini  e li ama alla follia va oltre, dentro le profondità di questo vin de table del 2003, annata tremenda ai limiti del possibile, che ci ha regalato una bevuta sorprendente, favolosa, quasi magica. È un blend di terret blanc e gris, roussanne e viognier, provenienti da vigne con un’età media di 80 anni. Vigne vecchie, quindi, le cui radici assorbono l’essenza di un terreno prevalentemente e particolarmente ricco di scisto, foriero di spigolosa profondità e di una densa, riconoscibile nota di conchiglie. Ad esaltare il legame più intimo fra terreno – o forse meglio dire territorio – e viti, vi è la scelta di una vinificazione che si compone di pressatura soffice e lenta con raspi e bucce, fermentazione in cemento per mezzo di lieviti indigeni e un leggero passaggio in barrique usate affinché si svolga la fermentazione malolattica, per poi sostare circa un anno sulle fecce.

Il risultato? Semplicemente fantastico. Un vino torbido, con importante residuo. In bocca, ancor oggi, è fresco e vivo, persistente, capace di ammutolire con la sua profondità. Il colore ambrato tradisce lo stile di lavorazione e sospinge verso la scoperta del profumo e dell’assaggio.  Semplicemente spiazzante: gli agrumi, finanche l’eleganza del bergamotto, rimbalzano con veemenza sui sentori di pietra bagnata – di conchiglie, appunto – con l’eco di una leggera nota verde di mallo di mandorla, in lontananza. Un vino fresco, vivo, decisamente spesso ma al contempo goloso. Un vino che non si farà certo dimenticare facilmente.

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Alberto Cauzzi

Imprenditore della New Economy con il pallino dell’enogastronomia, gira il mondo a caccia del miglior ristorante di alta cucina, non ancora trovato. Al vino è approdato apparentemente per caso, provenendo da una famiglia di astemi. Scoprì in seguito che un suo bis-nonno era un ottimo produttore di vino, nebbiolo in Valsesia, ed anche un discreto consumatore. E' stato il vice direttore della guida ristorante de L'Espresso per gli anni 2023 e 2024. E’ stato l’ideatore ed è il presidente del progetto Passione Gourmet. Le sue passioni: l’avanguardia misurata in cucina e i grandi vini di Borgogna.

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