Estate tosco-ligure!

L’incontro tra orto e mare

Si può, da un sedano o da un peperone, sentire il rumore del mare? A quanto pare sì. La cena che per una sera, ha unito l’Eco del Mare di Lerici – con Federico Cannarozzo– e il Peposo di Pietrasanta – guidato da Manuel Di Gregorio – ha saputo rendere omaggio a due delle materie più brillanti che contraddistinguono la stagione estiva: il mondo ittico e quello vegetale. Cannarozzo, prima di approdare (quasi letteralmente) nelle cucine di questa magnifica baia raccolta e preziosa nel Golfo del Tigullio, si è fatto le ossa tra mare e terra: da Il Marin di Genova con Marco Visciola, a Condividere con Federico Zanasi, fino alla cucina di San Piero in Bagno da Gianluca Gorini. Il suo arrivo all’Eco del Mare, in un beach club non necessariamente avvezzo al mondo del fine dining, ha sicuramente destato l’occhio ma soprattutto il palato d’interesse per quegli avventori internazionali che qui si trovano a godere di uno scenario che non ci vergogniamo a definire paradisiaco. L’esclusività dell’offerta va senz’altro di pari passo con l’unicità della serata (auspicandone anche altre) che abbiamo vissuto. L’altro co-protagonista è Manuel Di Gregorio, cuciniere della Versilia con il suo Peposo. Come già raccontato nelle nostre precedenti visite, questa è una delle insegne simbolo di quella nouvelle vague – il contesto marino ci viene in aiuto – che ha incarnato una vera e propria ondata di nuova trattoria toscana. Una corrente in grado di consacrare, oltre al mondo della ciccia, anche l’altro versante della cucina regionale: quello vocato da sempre all’agricoltura con la sua dimensione vegetale. Al pesce, dunque, ci pensa Cannarozzo; alle verdure provvede Di Gregorio. Il resto lo mette madre natura, con onde, frinire di cicale, scogliere (e una cospicua dose di umidità) a chiudere il cerchio. Su quest’ultimo si poteva far poco!

L’Eco del Mare e il Peposo, un’accoppiata vincente

L’idea non è quella di un’alternanza di piatti, appartenenti all’uno o all’altro cuoco, bensì una complementarietà tra elementi, in grado di regalare tanto divertimento quanto logica nel costrutto. Piatti assolutamente materici, frutto di aste del pesce rocambolesche e alzatacce mattutine nell’orto per portare in tavola il vegetale prescelto. Nascono così alcune osservazioni su alcuni dei piatti, goduti qui, a filo di bagnasciuga. L’insalata di campo condita con vinaigrette di limone di mare è una partenza bruciante. Così come i 60 metri di scogliera che si inerpicano verso il cielo, il tuffo qui è a bomba sul varietale amplissimo di amari proposti, tanto quanto sulla citrica sapidità del mollusco, impiegato come condimento elettrico e mimetico: simile ad un albedo di limone, assente fisicamente, ma non nel gusto. Il Sedano ripieno toscano, invece, indossa ciabatte e costume. A differenza della versione canonica, fritta e ripassata nella salsa di pomodoro, qui il contatto è con una salsa di muscoli – una densa zuppa su cui intingere l’ortaggio ripieno – che diventa viatico per golose scarpette. Croccantezza preservata, dunque, in favore anche dell’intingolo di mitili con cui è abbinato. Il Minestrone estivo – grazie anche all’ausilio della frutta, come la pesca, e soprattutto all’innesto del cubetto di ghiaccio “il canarino” a base di succo di limone concentrato – celebra la ricchezza vegetale in maniera cristallina. Cotture precise del vegetale, intervallate dal morso appena solleticato del calore per la ricciola cruda proposta in sontuosi cubi. Il tutto rigorosamente servito in zuppiera. Sul fronte del secondo (ma solo in senso di titolo, poiché il risultato è da primato) troviamo il Pagello, salmoriglio e ratatouille –quest’ultima disneyana nella forma, ma qui così concreta nella sua messa in opera. Chi sia il contorno di chi? Non ci avventuriamo. Tanto il filetto, dopo appena due giorni di leggera frollatura e una cottura perfetta, quanto la combo di zucchine/peperoni/pomodori – costruita con logica e gusto – non lasciano spazio a dubbi sulla fattura e la centralità del piatto. Il salmoriglio,  più simile a una tapenade con cappero e finocchio di mare, è piccolo in quantità ma di ragionata forza aromatica: cinge il piatto con la spinta balsamica del finocchio e quella salina del cappero.

Di Gregorio, da Lastra a Signa, fiorentino fino al midollo. Cannarozzo, da Saronno (ci si aspettava ligure, eh!), ma ormai trapiantato qui, parlano oggi dialetti diversi. Eppure, una cena come questa è in grado di testimoniare ancora una volta come una lingua – quella della cucina, nelle sue molteplici espressioni dialettali di prodotto – sia generatrice, al contempo, di godimento e riflessione, di costante reinterpretazione del sentire. Educare alle sfumature, pertanto, come quelle che si osservano da qui, al tramonto, guardando i colori circostanti e ascoltando il suono che fa l’Eco del Mare.

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