Piccola bussola per non perdersi tra bio, biodinamico e affini
C’è del torbido nel bicchiere, ma anche nella testa.
Un giorno scopri un vino che profuma di erba tagliata, di terra umida, di qualcosa che ti sembra… vivo. Non sai bene cos’è, ma ti piace. Ti dicono che è un “naturale”. Lo cerchi di nuovo, ne provi altri, e a volte ti sembrano geniali, altre volte imbevibili. Nel frattempo leggi che quello era anche biologico. O forse biodinamico. O tutte e tre le cose insieme. Oppure nessuna.
Benvenuti nel magico mondo del vino cosiddetto naturale, dove il sapore è sincero, ma la terminologia è un incubo semantico.
Un’etichetta sempre più affollata
Negli ultimi anni, infatti, il termine vino naturale è diventato onnipresente. Lo si trova nelle carte dei vini dei ristoranti più alla moda, nelle fiere dedicate, sugli scaffali delle enoteche di quartiere. È una definizione affascinante, che evoca autenticità, ritorno alla natura, semplicità. Ma cosa significa davvero? E perché oggi è così popolare?
Spoiler: vino naturale non significa niente. O quasi
Partiamo da una verità scomoda: il vino naturale non ha una definizione legale, né un disciplinare ufficiale. Non è una categoria riconosciuta dal diritto europeo, e questo lo rende al tempo stesso affascinante e controverso.
Esistono manifesti e associazioni, ma ogni produttore, ogni enotecario e ogni appassionato lo interpreta a modo suo. Chi lo fa per convinzione ti dirà che è un vino “senza chimica”, “senza trucchi”, “fatto come una volta”. Ma se chiedi cosa c’è davvero dentro, le risposte si sfumano, si sovrappongono e talvolta si contraddicono.

Biologico ≠ Naturale. Biodinamico ≠ Naturale. Naturale ≠ Biologico
Facciamo ordine, almeno un po’.
- Biologico: regolato da normative europee precise (Reg. CE 203/2012) in vigna sono vietati pesticidi, erbicidi e fertilizzanti chimici di sintesi. Ammessi rame e zolfo, ma entro certi limiti. Ma in cantina? Lieviti selezionati, filtrazioni spinte e abbondante solforosa sono ancora ammessi. Ogni ingrediente utilizzato deve essere certificato biologico
Il biologico è quindi una garanzia minima. È controllato, ma non è sinonimo di artigianalità. Può essere un buon punto di partenza, certo, ma non ci si deve fermare all’etichetta. E nemmeno illudersi che sia un marchio di qualità assoluta.
- Biodinamico: la biodinamica è un approccio agricolo ideato da Rudolf Steiner negli anni ’20, basato su osservazioni astronomiche e tradizioni contadine. La vigna è vista come un organismo vivente in relazione con terra, luna e pianeti. Vietati i prodotti chimici di sintesi a favore di preparati naturali come cornoletame e decotti. In cantina, pochissimi solfiti (60-70 mg/l), nessun lievito selezionato. Non è una scienza esatta, ma è praticata con successo da molti produttori. Le certificazioni biodinamiche più note sono Demeter (la più diffusa e rigida), Biodyvin (più flessibile, solo per il vino), Respect Biodyn, SIVCBD e altri consorzi locali.
C’è chi la considera stregoneria, chi un’evoluzione del biologico, chi semplicemente un metodo empirico efficace. Fatto sta che i risultati dipendono da chi la applica. E anche qui, non mancano i casi di abusi o approssimazioni.
- Naturale: la categoria più fluida e controversa. Nessuna norma ufficiale, solo linee guida condivise tra produttori etici:
- Uve da agricoltura biologica o biodinamica
- Nessun prodotto chimico in vigna e in cantina
- Fermentazioni con lieviti indigeni
- Solfiti ridotti al minimo (sotto i 30 mg/l, spesso meno)
- Vietate chiarificazioni e filtrazioni invasive
Il risultato? Vini “vivi”, artigianali, ma anche imprevedibili, variabili, a volte difettosi. Non è raro trovare bottiglie instabili, con rifermentazioni inopportune, acidità volatile fuori controllo o sentori che confondono più che incuriosire.
Il vino naturale è un territorio bellissimo, ma è anche un terreno scivoloso. Richiede competenza, coerenza, tempo. E quando queste mancano, il rischio è di scambiare per “rustico” ciò che è semplicemente mal fatto.

Una selva di nomi: naturali, artigianali, “vini veri”
Ed è qui che entra in gioco la confusione: c’è chi li chiama naturali, chi preferisce artigianali, chi addirittura li definisce vini veri. Ogni termine aggiunge una sfumatura:
- Naturali promette immediatezza e purezza, ma rischia di suggerire una perfezione “senza artifici” che non esiste.
- Artigianali sottolinea il lavoro manuale, il piccolo produttore, la differenza rispetto all’industria del vino convenzionale.
- Vini veri evoca sincerità, un legame diretto con la terra, un vino che non ha bisogno di maschere.
Sono tutte etichette che affascinano, ma che alla fine rivelano più un desiderio di autenticità che una categoria tecnica.
L’etichetta mente bene
Il problema è che ci fidiamo delle etichette. E le etichette, quando va bene, dicono poco; quando va male, confondono.
Un vino naturale può non riportare nessuna certificazione, e un certificato bio può essere scolpito da interventi pesanti che ne rendono il gusto standardizzato. Nel dubbio, ci affidiamo all’estetica: etichette disegnate a mano, bottiglie torbide, tappi a corona. Ma non basta l’apparenza: dietro un’etichetta minimale può esserci un grande vino… o una grande delusione.

Moda o coraggio?
Bere naturale oggi è sicuramente una moda: cavalca la sensibilità contemporanea verso il biologico, la sostenibilità ambientale, la ricerca di autenticità. È il vino dei festival urbani, delle etichette colorate, degli appassionati che amano sentirsi parte di una comunità alternativa.
Allo stesso tempo è anche un gesto di coraggio: per chi lo produce significa rinunciare a strumenti che garantirebbero stabilità e costanza, accettare margini di errore, affrontare mercati ancora diffidenti. Non è la via più facile: richiede lavoro manuale, rischi economici e soprattutto una forte convinzione etica. È, in molti casi, una scelta di vita: fare vino naturale vuol dire convivere con l’incertezza delle annate, con gli effetti del cambiamento climatico, con ciò che la natura concede o nega, senza ricorrere a trucchetti di cantina o scorciatoie in vigna. È accettare che non tutto sia sotto controllo, e che proprio in questa vulnerabilità stia la forza del vino che arriverà nel bicchiere.
Più che un bel racconto, è un percorso fatto di sacrifici, difficoltà e decisioni quotidiane che mettono alla prova la coerenza di chi sceglie questa filosofia produttiva.
Pregi e difetti
Cosa lo rende “migliore”? I sostenitori parlano di vini più espressivi, capaci di restituire identità territoriale e personalità unica. Per molti bevitori è un’esperienza più emozionante, più viva, quasi una forma di resistenza culturale.
Ma ci sono anche i limiti: bottiglie instabili, difetti olfattivi e gustativi, prezzi più alti, mancanza di coerenza fra produttori. E soprattutto, il pericolo che il termine “naturale” diventi una bandiera usata in modo superficiale, confondendo il consumatore.

La verità? È nei gesti, non nelle parole.
Un vino è naturale non perché lo dice l’etichetta, ma perché chi lo fa ha compiuto scelte precise: rischiare, sporcarsi le mani, aspettare, lasciare che la fermentazione faccia il suo corso senza correggerla a ogni passo.
“Naturale” non è una categoria: è un’idea, una tensione verso l’autenticità. Ma non basta dichiararlo: bisogna farlo bene, e soprattutto comunicarlo meglio.
Perché adesso?
La popolarità attuale si spiega con l’incontro di più fattori: la crescente attenzione all’ambiente, il bisogno di distinguersi da un’offerta di massa omologata, la ricerca di esperienze autentiche e narrative coinvolgenti. Il vino naturale offre non solo un prodotto, ma anche una storia da bere, un racconto da condividere, un senso di appartenenza.
Quindi, cos’è il vino naturale?
Il vino naturale non è soltanto un fenomeno commerciale: è un linguaggio culturale che sta cambiando il modo in cui pensiamo e beviamo il vino. È insieme moda e coraggio, idealismo e marketing, autenticità e talvolta illusione.
Soprattutto, è un invito: a guardare dentro un bicchiere non solo aromi e tannini, ma anche idee, valori e scelte di vita.
E questo, per noi, è solo l’inizio. In questa rubrica, Senza Filtri, racconteremo vini e vignaioli e le loro storie, per esplorare un mondo affascinante e a volte torbido con occhio critico e cuore aperto. Perché “naturale” forse non è una certezza — ma è una domanda bellissima, e vale la pena inseguirla, sorso dopo sorso.











