La rivoluzione silenziosa della Garnacha di montagna
Recentemente ho partecipato presso il ristorante Nobuya di Milano a una degustazione di vini a base di Granacha (Garnacha in Spagna o Granache in Francia), prodotti dall’azienda spagnola Comando G, presentati tutti in degustazione verticale di due fino a quattro annate. Si tratta di etichette di cui forse solo i collezionisti hanno sentito parlare —Las Iruelas, Tumba del Rey Moro, Las Umbrías, El Tamboril, Rumbo al Norte —molto ricercate e difficili da trovare, vendute per lo più in allocazione. Ma parliamo prima dell’azienda. Ci sono progetti che nascono per caso e altri che nascono come atti di fede.

Comando G, fondato nel 2008 da Daniel Landi e Fernando García, appartiene a questa seconda categoria. Non è soltanto una cantina, ma una dichiarazione d’amore per un vitigno, per un territorio e per un modo diverso di intendere il vino in Spagna. La G del nome è un manifesto: Garnacha, Gredos, granito. Tre parole che riassumono l’essenza di un sogno. Garnacha, l’uva che per decenni è stata considerata “povera”, buona solo per vini di massa; Gredos, la catena montuosa che separa Madrid da Ávila e Toledo, fatta di valli, boschi e altitudini vertiginose; granito, la pietra che plasma questi suoli e regala ai vini una tensione minerale unica. Ma “Comando G” è anche un gioco di parole, un riferimento ironico all’omonimo cartone animato degli anni ’70 — una squadra di eroi che difendeva la Terra. E in un certo senso, Landi e García hanno davvero difeso una terra: quella dei vecchi vigneti abbandonati, dell’España vacía, della memoria contadina dimenticata.

Cresciuti entrambi nella zona di Méntrida, hanno vissuto l’epoca in cui la Garnacha era motivo di vergogna: uva pagata pochissimo, venduta alle cooperative, mai imbottigliata. “Come puoi credere nelle tue varietà locali se ti fanno sentire un perdente?”, si chiede Landi. La risposta è arrivata dopo un lungo viaggio di formazione: gli studi all’Universidad Politécnica de Madrid, le notti passate ad assaggiare vini e ascoltare musica, i viaggi in furgone attraverso l’Europa. In Borgogna, la rivelazione: il vino come “paesaggio in bottiglia”, come espressione di un luogo e non come esercizio tecnico. Tornati in Spagna, decisero di dedicarsi alle vecchie vigne di Garnacha di alta quota, coltivate a mano, spesso su pendii impervi tra i 900 e i 1.200 metri, dove la vite cresce lenta e il tempo sembra dilatarsi. I primi anni furono un atto di fede.

I loro vini — chiari, vibranti, essenziali — apparivano in controtendenza rispetto allo stile dominante in Spagna, che premiava concentrazione e potenza. “Questo è un rosato, non un rosso”, si sentivano dire. Eppure, all’estero, quelle bottiglie dalla trasparenza quasi borgognona conquistarono critici e sommelier. Il loro successo non si misura solo in punteggi o premi, ma nell’impatto culturale: Comando G ha ridefinito la percezione della Garnacha, rivelandone il volto più elegante, aereo e territoriale. Ha ispirato una nuova generazione di viticoltori a riscoprire vecchie vigne e a credere nella finezza, nella trasparenza, nel rispetto del paesaggio. Il loro approccio biodinamico, il lavoro manuale, l’aratura con il cavallo e la potatura dolce (una tecnica relativamente nuova perseguita dalla società di consulenza italiana Simonit & Sirch) testimoniano una visione etica prima ancora che estetica: il vino come relazione, non come prodotto.

Oggi Landi e García guidano un team di una ventina di persone e lavorano poco più di sedici ettari, trattati come giardini. “Le cose che ami sono le cose in cui investi tempo”, dicono spesso. Ed è proprio questo tempo, questo rispetto per la lentezza, che ritroviamo nei loro vini: profili luminosi, tannini cesellati, acidità pura, una sapidità che viene dal granito e una grazia che appartiene più alla montagna che alla cantina.

Comando G non è un fenomeno enologico, ma una rivoluzione silenziosa, un gesto di resistenza culturale, la dimostrazione che anche la Spagna può parlare la lingua della finezza. Ed è da questa consapevolezza — più che da una ricetta — che nascono le loro Garnacha: vini che non urlano, ma sussurrano la verità di un luogo. Dalle alture scoscese della Sierra de Gredos arrivano grappoli coltivati in biodinamica, lavorati ancora con il cavallo, per non ferire i suoli di granito e sabbia. Nessuna chimica, solo mani, zappe e rispetto per la terra. Una delle caratteristiche più distintive di Comando G è che la loro gamma è strutturata come una piramide di qualità, con una filosofia alla “borgognona”, ma con accento castigliano, che va da vini più base fino a singoli cru molto speciali: vini di pueblos, parajes, parcelas, cioè di villaggio, contrada e singola parcella.

A cominciare da La Bruja, il primo vino prodotto da Dani Landi e Fernando García, nel 2008, capace di far cambiare idea chi non credeva che la Garnacha spagnola potesse essere raffinata, fresca ed elegante, un buon modo per avvicinarsi a questo stile – e poi Rozas, Navalgordo e Villanueva da considerare alla stregua di village, a cui seguono La Breña, Vigna la Mora e Minoigogil, vini di contrada (Parajes), per arrivare ai vini provenienti da singole parcelle (Parcelas), Tumba del Rey Moro, Las Umbrias, El Tamboril e Las Iruelas per culminare al Rumbo al Norte.



La degustazione ha riguardato, insieme ad altri, i seguenti vini di Comando G: Las Iruelas 2020, 2019, 2018, 2017 e 2016; Tumba del Rey Moro 2021 e 2018; Las Umbrias 2021 e 2018; El Tamboril 2019 e 2018 e Rumbo al Norte 2019, 2018 e 2017. Praticamente tutti i vini assaggiati si sono distinti per eleganza e finezza. Tutti dal colore molto chiaro, un rosso rubino pallido, quasi sempre brillante (nonostante si tratti di vini non filtrati). All’assaggio si conferma un po’ quello che ho appreso nei miei viaggi nella Sierra del Gredos: la Garnacha, nelle annate più fresche (singolarmente a partire dal 2014 quelle pari) tende, con lo stile di vinificazione di Comando G, improntato a lunghe macerazioni e uso prevalente di botti grandi, ad esprimersi al meglio, con vini rossi tesi, eleganti, freschi e verticali mentre in quelle più calde come soprattutto con la 2017 e 2019 si avverte un maggiore volume e con esso una certa rusticità e una minore freschezza e tensione gustativa, pur mantenendo energia e facilità di beva. Tra i vini degustati, tutti buonissimi, sono stato impressionato dai vini dell’annata 2018 e da uno della 2021.

Iruelas 2018
1,1 ettari per circa 1800 bottiglie prodotte. La parcella si trova nel villaggio di El Tiemblo. Lunga macerazione e riposo di almeno un anno in botte grande. Dal colore chiaro il vino al naso offre delicate note floreali accompagnate da sentori ematici, di fragola, pepe nero e cannella. Buon equilibrio e grande eleganza in bocca, con acidità in evidenza e sapidità ad allungare un sorso dal lungo finale. (92/100)
Tumba del Rey Moro 2021
0,7 ettari con 1700 bottiglie prodotte. La parcella si trova nel comune di Villanueva de Ávila. Lunga macerazione e riposo di almeno un anno in botte grande. Qui ho preferito la 2021 che mi ha colpito prima per la sua austerità. Dal naso inizialmente poco espressivo ha bisogno di stare nel bicchiere per aprirsi. È il classico vino che vale la pena di scaraffare. Quando cominciano a sentirsi le prime note floreali, di piccoli frutti rossi, pepe nero e tocchi erbacei, il vino comincia ad aprirsi. In bocca predomina il frutto. Il contrasto tra solidi tannini e acidità vibrante rende la beva facile e deliziosa. La sapidità e una leggera nota verde chiamano il sorso successivo. Finale lungo e molto piacevole. (92/100)
Las Umbrias 2018
0,5 ettari con circa 1200 bottiglie prodotte. La parcella si trova nel villaggio di Rozas de Puerto Real a circa 1000 metri, caratterizzato da un suolo drenante di granito sabbioso con elementi argillosi che aggiungono struttura. Lunga macerazione e riposo di almeno un anno in botte grande. Un vino dal colore chiarissimo e brillante, praticamente trasparente che al naso esprime note floreali di rosa, fruttate di piccoli frutti rossi e agrumate di mandarino. Il pensiero vola verso certi vini a base di Granache di Châteauneuf-du-Pape. Etereo, aromatico e di grande finezza, tensione gustativa e sapidità ha un finale lunghissimo. Da bere a secchiate se non fosse così raro e, temo, costoso. (94/100)
El Tamboril 2018
0,5 ettari con solo circa 600 bottiglie prodotte. La parcella si trova nel villaggio di Navatalgordo, caratterizzato da un suolo di granito rosa e bianco e sabbia con tanto quarzo, a oltre 1200 metri di altezza, la parcella più alta. Lunga macerazione e riposo di almeno un anno in botte grande. Con un naso di piccoli frutti rossi, note di violetta e di sassi schiacciati, in bocca il vino è leggero, fresco e di grande bevibilità. Un vino con una acidità fresca, tannini marcati e un finale salino che invita a ripetere il sorso. (93/100)
Rumbo al Norte 2018

0,3 ettari con circa 1000 bottiglie prodotte. La parcella si trova a Villanueva de Avila a circa 1200 metri, con suoli granitici sabbiosi con abbondante presenza di limo. Lunga macerazione e uso di botti piccole usate. Premesso che anche i vini delle annate 2017 e 2019 erano eccellenti, la 2018 si mostra chiarissima e brillante, forse la più sottile, tesa, verticale e leggermente più austera rispetto alle altre due annate degustate, con una finezza e setosità dei tannini che ricorda tanto le zone più calcaree della Borgogna. Vino etereo, con note aromatiche al naso di lampone e ciliegia matura, spezie dolci e un velo affumicato. In bocca è pieno di energia con tannini setosi, grande freschezza e finale lunghissimo con retrogusto salino. (96/100)

Non ho potuto non sbirciare le valutazioni che Parker ha dato ai vini che ho appena commentato: da 98 a 100! Per quanto le valutazioni mi sembrino un tantino generose, sicuramente chi li ha degustati li ha trovati entusiasmanti.
I vini di Comando G sono distribuiti da Triple A.










