Milano, 2 ottobre 2025
Per due giorni la città si è trasformata in un crocevia gastronomico globale. Chef da ogni angolo del pianeta, giacche bianche e scarpe consunte, finanche alcuni in smoking, si sono dati appuntamento sotto i lampioni milanesi per uno degli eventi più chiacchierati dell’anno: i The Best Chef Awards.
Ma cos’è The Best Chef Award? Come si legge dal sito ufficiale “is a vibrant, world community of passionate food lovers. A project dedicated to celebrating the many talented chefs“. Quindi non la solita classifica, ma una lista di grandi chef di tutto il mondo, votati da addetti ai lavori.
A dire il vero una classifica c’è, ma riguarda soltanto i 3 chef più votati. Sul gradino più alto del podio, per il secondo anno consecutivo, svetta Rasmus Munk, il visionario danese di Alchemist, che ha deciso che cucinare, da solo, non è più sufficiente. Tra scienza, teatralità, tecnologia e provocazione, ha ideato un’esperienza olistica capace di scuotere i sensi ancor prima di indurre a concentrare l’attenzione sulla cucina.
A seguirlo, Ana Roš, coraggiosa ambasciatrice della Slovenia, e Himanshu Saini che, a Dubai, ha dato vita a uno straordinario avamposto gastronomico di un’India reinventata, oggi annoverato tra i migliori al mondo.
Intorno al podio, una pioggia di premi speciali: la World Central Kitchen di José Andrés per l’umanità, il nostro Massimo Bottura come visionario, Pía Salazar per la pasticceria, Jason Liu per la creatività, Quique Dacosta per l’arte nel piatto (e ci mancherebbe!).
Ma c’è ancora tanta Italia, con due sorprese: Andrea Aprea scelto per il “premio “Best Milan Award” e, soprattutto, Diego Rossi, premiato per il The Best Origins & Future Award.
Numerosi i nomi italiani presenti nelle tre categorie del sistema a “coltelli”. Al vertice, con tre coltelli, spiccano — oltre a Massimo Bottura — Mauro Uliassi, Massimiliano Alajmo, Enrico Crippa, Riccardo Camanini, Norbert Niederkofler, Michelangelo Mammoliti, Michele Lazzarini, Jessica Rosval, il duo Pellegrino/Potì e Stefano Baiocco.
Subito dietro, si distingue una solida pattuglia a due coltelli: Niko Romito (la cui posizione rappresenta una nota palesemente stonata), Antonino Cannavacciuolo, Carlo Cracco, Gennaro Esposito, Heinz Beck, Antonia Klugmann, Gianluca Gorini, Alberto Gipponi, Matias Perdomo, lo stesso Aprea e molti altri. Tra questi spicca il maestro Franco Pepe, unico pizzaiolo in classifica: una presenza che testimonia come la pizza sia ormai una delle più potenti forze trainanti della nostra identità gastronomica ed economica. È paradossale, tuttavia, che all’estero venga celebrata nei ranking dell’alta cucina — al pari del sushi — mentre in Italia la si consideri ancora troppo spesso un dato scontato.
Con un coltello, tanti nomi interessanti e in crescita, a conferma di una scena viva ma frammentata.
Eppure, dietro le luci, si è sentito qualche brontolio: alcune assenze pesanti al vertice, premi assegnati a posti “remoti” e la sensazione che, giocando in casa, l’Italia potesse spingersi più in alto. Non scandalo, ma un immancabile mormorio diffuso tra addetti ai lavori e appassionati.
Knives out: come funziona l’assegnazione dei “coltellI”?
Dal 2024 i Best Chef Awards hanno abbandonato la classifica numerata: niente più 1°, 2°, 3°… ma tre livelli di riconoscimento, simbolizzati da uno, due o tre coltelli.
- 3 coltelli vanno a chi ottiene almeno l’80% del punteggio massimo: l’élite globale – quest’anno 126 chef;
- 2 coltelli a chi supera il 40% – 236 chef nel 2025;
- 1 coltello premia chi oltrepassa il 20% – 421 chef complessivi.
Il voto arriva da 972 tra chef e professionisti di 64 paesi. Non è una gara a chi è “più alto”, ma una fotografia più ampia e, sulla carta, democratica della cucina mondiale. Non tutti l’hanno digerita: c’è chi rimpiange la competizione serrata della vecchia classifica. Ma questo nuovo sistema vuole raccontare meglio la situazione del settore fotografandolo come un mosaico globale di cucine, culture e idee.




