Non mi dispiace immaginare una scena ucronica in cui Hercule Poirot, alla domanda di Daphne Castle — “Gradisce un cocktail, Monsieur Poirot? White Lady, Sidecar, Mainbrace o Between the Sheets?” — risponda con quella sua compunta ironia: “No, se potessi avere un Crème de Cassis o magari uno sciroppo di banana”.
Il Poirot meticoloso, vanitoso, ordinato fino all’ossessione e al tempo stesso sottile psicologo, se anche nutrito da una passione per la mixology, acquisirebbe ai miei occhi una simpatia ancor più vivida: un detective che, oltre a leggere l’animo umano, legge i bicchieri, le proporzioni, le fragranze. Eppure solo nella mia “ucronia alcolica” può accadere che un Between the Sheets trovi cittadinanza in letteratura, sia essa scritta o trasposta sullo schermo.
I natali di questo cocktail restano infatti avvolti da un alone incerto: non esiste fonte definitiva, solo congetture, ipotesi, suggestioni a metà fra la cronaca e il romanzo. C’è chi ne racconta una nascita intima, sussurrata, quasi clandestina; chi invece lo vuole figlio di un’ebbrezza tanto forte da finire letteralmente “tra le lenzuola”. A voi la scelta di quale origine preferire: quella segreta e seducente, o quella più carnale e immediata.
Quel che resta indubbio è che il Between the Sheets, cocktail IBA per definizione, se ben eseguito sa rivelarsi compagno perfetto di entrée di mare — soprattutto le crudité — grazie a un equilibrio calibrato tra dolcezza e acidità.
Ma approcciatelo con rispetto: non è un bicchiere per chiunque. Dietro la sua eleganza si nasconde una forza che merita misura, attenzione, e, perché no, un pizzico di spirito deduttivo.
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