“Pour all ingredients directly into old fashioned glass filled with ice cubes. Stir gently.”
Così è il French Connection, neat and tidy. E così puro ed essenziale nei suoi due soli ingredienti (Cognac e Amaretto secondo la ricetta IBA, che lo annovera tra i suoi contemporary dal 1987 e senza manco una decorazione) da destar fin sospetto. O quasi.
Così il French Connection s’è imposto nell’immaginario collettivo come il cocktail della malavita organizzata nella seconda metà del secolo scorso, quando un’organizzazione in particolare pare fosse molto attiva, tra gli anni ’40 e ’70, nel rifornire gli Stati Uniti di droga in partenza dal porto di Marsiglia.
Va da sé che, anche nelle sue varianti God Father (Scotch e Amaretto) e God Mother (Vodka e Amaretto), sebbene la tesi sia controversa pare che la parte comune sia sempre e comunque una e unica: l’Amaretto. Ciò, ovviamente, va a rinforzare l’immaginario del cocktail come tributo a un’unica, grande organizzazione criminale, stavolta nostrana.
Chiudiamo dunque con una curiosità: French Connection è anche il titolo di un celebre film vincitore di cinque premi Oscar, conosciuto in Italia come “Il braccio violento della legge”, legato proprio al mondo criminale.
In abbinamento, il French Connection darà il meglio durante una partita a poker. Se poi proprio volete mangiare, per restare in tema leggermente malavitoso, per via della bella montata alcolica e speziata del cocktail consiglio audacemente una bella anatra alla pechinese, oppure la versione maremmana della stessa.
Quale? Un bel cinghiale al cioccolato nero; volete la ricetta? C’è da scomodare mia zia.
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