Luca Gargano e i dieci millésimes di Saint-James e Velier
Un “nomade tra le botti“
È la sera del 5 maggio 1860. A Quarto, a Villa Nuovo Paradisetto, a una manciata di metri dal mare che si infrange sugli scogli, un uomo di 57 anni, con una camicia rossa e una folta barba bianca, si addormenta, per un poche ore, su un sofà. Un sonno breve, ma ristoratore, prima di una spericolata impresa. Quest’uomo sa che dovrà svegliarsi nel cuore della notte: lo attendono una lunga traversata e quindi mesi di battaglia. I suoi compagni stanno convergendo tutti lì, in attesa dell’ordine di imbarco. «Qui si fa l’Italia, o si muore!» avrebbe pronunciato, dieci giorni più tardi, in terra siciliana, fra le schioppettate dei moschetti, le urla dei feriti, il nitrire dei cavalli, conducendo – di scontro in scontro – le sue camice rosse sino a Teano. L’ “eroe dei due mondi” l’hanno definito, non senza quel solito briciolo di italica retorica che da sempre infarcisce la nostra storia patria. Di questo mondo – la nostra cara, vecchia Europa – e dell’altro mondo – le giovani e lontane Americhe – “scoperte” peraltro (eh, gli incroci del Fato…) proprio da un genoveseLa genovese è una ricetta tradizionale della cucina napoletana. Un ragù classico della cultura partenopea, che prevede una lunga cottura di cipolle e carne di manzo in parti uguali (oltre al solito battuto di odori e ritagli di salumi nel fondo). La salsa ottenuta viene usata per condire il tipico formato di pasta 'candele' spezzate (o le 'zite' in una... Leggi.
Ebbene, di Giuseppe Garibaldi stiamo scrivendo: il nizzardo dall’inquieta vita e dall’inquieta mente, sempre in viaggio dall’Oriente al Rio della Plata, sempre in difesa di un’utopia tanto alta quanto sfuggente: la libertà. Idealista senza ideologie e cittadino del mondo, Garibaldi avrebbe certo apprezzato che quel luogo di ristoro, ultimo momento di vera pace prima degli ininterrotti mesi di guerra della spedizione dei Mille, sarebbe divenuto, poco più di un secolo e mezzo dopo, la dimora di un altro cittadino del mondo, anche lui idealista senza ideologie, anche lui paladino della libertà del più debole di fronte alla prevaricazione del più forte: il genovese Luca Gargano.
Presidente di Velier Spa (il più importante importatore e distributore italiano di liquori e distillati, ma anche di vini: suoi marchi storici, come lo Champagne Billecart-Salmon, sue le Triple A con il loro stretto disciplinare), Gargano è l’uomo che per primo ha intuito come già a metà degli anni Ottanta stessero mutando – non solo nella Penisola – la percezione e i consumi degli spirits. E come il Rum si sarebbe imposto quale sovrano incontrastato fra i superalcolici. È lo stesso Gargano a raccontare, nella sua bella autobiografia (un entusiastico peana al Rum, ai viaggi, alla vita) Nomade tra le botti (Genova, Edizioni Velier, 2019, pp. 288, 15 euro), come allora sentisse ferma «in un grigiore vecchio, la cultura del bere in Europa. Dopo il Cognac degli anni Sessanta, era il momento dei Whisky e dei single malt, che l’Italia fu il primo Paese a scoprire e consumare. Erano considerati il bere d’eccellenza eppure, con l’acquisto dei produttori da parte delle multinazionali, cominciarono a subire il cambio d’immagine dovuto alle tecniche di marketing di massa, divenendo presto percepiti di livello basso e legati a una generazione precedente. […] Avvertii quindi, a differenza dei tanti che non vedevano un futuro per il mercato del Rum in Europa, che era arrivato il momento del boom del Rum».
Perennemente in viaggio, come Garibaldi, a Gargano si devono scoperte eccezionali (come le perse bottiglie di Saint-James 1885 e le dimenticate botti di Caroni degli inizi degli anni Ottanta, giusto per dirne due, per tutto il resto si rimanda all’appena citato volume) che hanno mutato alle fondamenta il consumo e l’idea stessa del Rum, da povero e reietto distillato di canna da zucchero a espressione di incomparabile finezza.
Ma non si pensi che a passare una giornata con Gargano, fra i bianchi divani e i freschi giardini di Villa Nuovo Paradisetto, ci si riduca – come i noiosi specialisti, che sanno tutto su nulla – a parlare “solo” di Rum. In realtà il caraibico spirit è un pretesto, una lente, attraverso cui Gargano riflette sul mondo e sugli uomini. Sulla storie e sulle vicende che ci intrecciano, che ci legano al passato e ci gettano nell’avvenire. Così ragionamenti e ricordi si inseguono fra il lascito coloniale del passato e la società turbocapitalista nella quale siamo immersi. Fra le brutalità perpetrata dai mercanti di schiavi e la moderna violenza, assai più subdola, del nuovo ordine mondialista, improntato a un falso politically correct che distrugge le differenze e annebbia le menti. Fra la fondamentale libertà di pensiero e di scelta, a cui ogni individuo ha diritto, e le autoritarie disposizioni (che puzzano tanto di totalitarismo) emanate da “grandi manovratori” che si fanno scudo di – presunte (?) – emergenze, «in nome di un rischio che non è possibile precisare» (Giorgio Agamben).
Ma tutto questo ha a che fare con il Rum? Sì, lo ha, perché a che fare con la vita: dei «coltivatori negri» («negro è una parola bellissima», dice Gargano, che da sempre – idealista senza ideologie – si batte contro ogni forma di razzismo, «e farebbero bene coloro che non la usano a ricordare la “negritudine”, il movimento letterario, culturale e politico animato da scrittori e intellettuali africani e afroamericani che nel XX secolo ha contribuito ad affrancare la gente di colore dal complesso di inferiorità imposto dai colonizzatori»), dei distillatori, degli imbottigliatori, degli importatori, dei distributori, dei consumatori. E con l’anima di culture differenti dalla nostra, intrise di rispetto verso le persone e l’ambiente, votate al lavoro, capaci di gioire di un sorriso, e di condividere con l’altro – lo straniero, che non è più straniero ma amico – quello (poco o tanto non ha importanza) che si ha.
Un concentrato di umanità è il Rum, per Luca Gargano. E lo è non solo perché pragmaticamente «il sogno di ogni distillatore è rubare l’anima alla materia». Ma perché più di ogni altro spirit ci pone a contatto, e in armonia – grazie a quello che Gargano definisce «palato subconscio» –, con un mondo “altro” (il Nuovo mondo) rispetto al nostro.
I dieci millésimes di Saint-James
Fucina perenne di nuovi progetti e nuove idee, in “fase di realizzazione” (come Nomad: due container che dal 2023 viaggeranno nei Caraibi trasportando un alambicco “nomade” del tipo Double Retort Pot Still, che farà visita alle diverse distillerie, spostandosi dall’una all’altra per creare dei Rum unici, tutti lavorati nei luoghi stessi delle distillerie, a partire dalle loro materie prime specifiche), o già in essere (come la commercializzazione del Rum guadalupense Papa Rouyo, etichetta di recente nascita che ha l’assoluta particolarità di essere prodotta con le eccezionali canne da zucchero locali delle varietà Jaune, Rouge e Matos, coltivate su terreni assai vocati – una sorta di cru – e distillate, da puro succo di canna con metodo discontinuo in due passaggi, dagli stessi coltivatori invece che dalle distillerie di proprietà dei béké, ovvero gli attuali discendenti dei coloni bianchi), Luca Gargano ha appena presentato la serie dei dieci millésimes di Saint-James.
Si tratta di un progetto unico che riannoda, e per certi versi “sigilla”, diversi fili. È lo stesso Gargano a ricordare come il suo amore per il Rum sia «nato dalla mia prima visita ai Caraibi, nel 1975, quando andai in Martinica in veste di giovanissimo product manager, responsabile proprio del Rum Saint-James. Nel mio cuore, il Saint-James e la Martinica sono quindi il seme ancestrale da cui è nato tutto il resto. Proprio in quegli anni, in Martinica, ho conosciuto Jean-Claude Benoit, divenuto in seguito direttore della distilleria Saint-James, che con la sua cultura, così vasta e completa, è stato anche uno dei miei primi maestri e ispiratori. Ed è stato proprio Benoit la persona che, dopo anni di impegno, nel 1996 ha portato a compimento la AOC della Martinica: l’unica AOC fuori dal territorio europeo! Dal 1996, solo i Rum che dimostrano di essere stati prodotti secondo il disciplinare possono ottenere la dicitura Martinique AOC e il relativo logo in etichetta, assicurando così la qualità unica che deriva dall’attenzione a ciascuna tappa della produzione».
Il progetto di questa selezione «nasce – ricorda Gargano – quando ho saputo che Jean-Claude Benoit aveva deciso di andare in pensione, dopo molti anni di lavoro passati condividendo con me visioni e idee affini, entrambi protesi al mantenimento dell’autenticità, della qualità, dell’originalità del Rum. Nel 2021 si sono incontrate quindi queste due coincidenze: da una parte l’idea di fare un omaggio alla carriera e alla filosofia di Jean-Claude Benoit, dall’altra il fatto che proprio nel 2021 cade il venticinquesimo anniversario dell’AOC Martinique. In questi ultimi anni avevo pian piano realizzato dei co-bottling con molte delle principali distillerie di Rum. Ma ne mancava una: proprio la Saint-James, con la quale nessuno ha mai realizzato un imbottigliamento indipendente. Il Rum Saint-James è infatti sempre rimasto fedele (se non per per qualche edizione speciale in caraffa) alla sua celebre bottiglia carré, che ritroviamo identica a partire dal Saint-James 1885 sino a ora».
Tirata in soli 280 esemplari, la serie presenta le dieci annate più rappresentative dei venticinque anni dell’AOC in un co-bottling sélection exclusive unico e irripetibile. I millesimi (selezionati da Benoit per le loro caratteristiche organolettiche tra lo stock delle botti Saint-James), nell’ordine 1998; 2000; 2002; 2004; 2006; 2008; 2010; 2012; 2014; 2015, “raccontano” la filosofia del Rum della celebre distilleria, mostrandone lo spirito e l’evoluzione. Proposti nella gradazione a 47%, sono frutto di distillazione discontinua di puro succo di canna, con invecchiamento tropicale (le botti sono lasciate invecchiare nel luogo di distillazione, con una part des anges fra le otto e le dieci volte superiore rispetto a un invecchiamento su suolo continentale) e ben mostrano come nella progressione all’indietro dei millesimi mutino gli esteri (ovvero gli oli essenziali della materia) e come cambino le percezioni dei congeners (l’insieme delle sostanze volatili presenti oltre l’alcol).
Così, per esempio, nel 2015, dal bel colore brillante, è ancora percepibile tutta la soavità legata alla qualità della materia prima, unitamente ad ampie sensazioni di spezie e frutti dolci. Nel 2002, invece, il colore del Rum si accende di tonalità più scure e le sensazioni virano sull’evoluzione: le accentuate note speziate si fondono con quelle legnose, virando poi su un mondo di frutta a guscio (noce, nocciola) di grande fascino. Il 1998, infine, svela un marcato ventaglio di frutta secca che si allunga su dolci note di torrefazione di moka e di cioccolato, con un legno che pare trasfigurarsi in noce moscata.