Il Bloody Brunch del Locarno

Say “brunch” again…

Ci sono hotel che ospitano e hotel che accolgono. Il Locarno appartiene alla seconda categoria. Dal 1925 non ha mai chiuso: attraversa quasi un secolo di Roma, dai ruggenti anni del cinema alle stagioni più recenti. Le superfici in ottone, i velluti, gli inserti Art Déco e Liberty compongono un’estetica naturale. Non stupisce che Wes Anderson lo scelga ogni volta che arriva in città: qui le simmetrie ambienti e arredi sembrano già uno storyboard per una prossima sceneggiatura. Il brunch e l’offerta ristorativa in sé, qui non ha volutamente un perimetro. Non esiste una sala dedicata: si mangia nel salotto, nel dehors interno, accanto al bar, nel giardino. Il servizio segue il cliente, non il contrario. Questa libertà operativa racconta un’idea precisa di ospitalità dove l’essere di passaggio lascia il posto alla fermata. Ricavando così quelli che spesso che gli anglosassoni definiscono “indulging moments”. Il format è chiaro: Bloody Brunch. La proposta parte dal cocktail: il Bloody Mary diventa una piattaforma di varianti tematiche. La versione provata si chiama è Focu Meu (vodka, bloody mix, ’nduja, finocchietto selvatico). Piccante, aromatico, materico: la parte grassa della ’nduja viene domata dalla componente vegetale del finocchietto. Precisione, con un taglio regionale (quasi in salsa calabro-mediterranea) per un cocktail ascritto a registri internazionali. Si percepiscono mani e creatività ben congeniate nella carta dei drink stilata dal bar manager Nicholas Pinna, tra i veterani dietro la barre in pieno stile art decò di questo hotel.

Le portate del Bloody Brunch

La cucina lavora sulla riconoscibilità intervenendo dove serve. Il Big Kahuna Burger, omaggio dichiarato a Pulp Fiction, è pop ma costruito con metodo: carne succosa, cheddar e quell’ananas grigliato che introduce acida dolcezza controllata, a fare le veci del consueto pickels declinato qui in chiave esotica. Il bun di pan brioche, nella sua verve burrosa pareggia con sugosità della carne e contrappunto dolce del frutto, schivando così stucchevoli derive, in primis di astringenza.
Le Eggs Benedict con tartare di filetto e porcini è uno tra i piatti, riconoscibile nella dicitura ma nuovo nell’esecuzione ed impiego di ingrediente, svoltando su un taglio decisamente più gastronomico. Uovo poché, pan brioche arrostito, e scelta del filetto per ridurre al minimo: masticazione e grassezza del taglio. Ripareggiato, correttamente con la canonica salsa olandese che qui forse, avrebbe richiesto una leggera morbidezza maggiore, così da poter nappare in proporzione il tutto. Il boccone resta armonico con una progressione corretta tra le diverse nuance di morbidezza coinvolte tra pane-uovo- carne-porcino.
Sul dolce il French toast è diretto e goloso incentrato sulla crosta caramellata in pairing con frutti rossi e immancabile sciroppo d’acero. Il Five Dollars Milkshake è giocoso esercizio, ispirato anche qui a Pulp Fiction con la triade cinematografica corretta di vaniglia, gelato e amarene.

Il brunch del Locarno non spinge sul ritmo né sull’effetto novità. Punta piuttosto a qualcosa che oggi è raro: la permanenza. Si può entrare per un Bloody Mary e fermarsi per un burger, aprire il laptop e continuare a restare. Non essendoci una sala preconfigurata per questo rito, tutto l’hotel diviene luogo in cui indulgere. L’urgenza di liberare il tavolo non si presenta.

Pertanto in un panorama romano dove il brunch spesso rincorre il volume e la velocità, il Locarno lavora sulla continuità. Non cerca di stupire: preferisce funzionare. Detta alla Samuel L. Jackson: “The cornerstone of any nutritious breakfast” o brunch!

La galleria fotografica:

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