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Elzeviro Culinario: la Carbonara

C’è chi per l’origine della carbonara scende giù giù fino a tirare in ballo Apicio. E chi invece fa notare di questo piatto non esservi traccia alcuna in ricettari antecedenti la Seconda guerra mondiale. Il periodo bellico, nel quale l’arte d’arrangiarsi assurge a regola. Si veda, emblematica, del ’42, una raccolta di ricette dove diverse preparazioni tradizionali vengono riformulate per adattarle alle scarsità del momento: vi si suggerisce ad esempio di “imbrogliare” del riso cotto al dente con “uova battute assieme ad abbondante formaggio grattato” “facendolo gradire anche senza grassi, in giorni di particolare penuria di essi” e ancora “vi si potranno unire pezzettini di prosciutto soffritti nel proprio grasso”.

Se ci soffermiamo poi sulla presenza di uno dei tanti gruppi di ospiti, in quei tragici anni non proprio invitati (…periodicamente e da tempo immemorabile qui arriva a farci compagnia gente da fuori, e data una certa nostra chiara fama non mancano d’entrare anche in cucina), salta all’occhio l’usanza dei militari americani d’abbinare il bacon e le uova. E se allora da una nostra antica memoria storica (formaggio/uova – dei carbonari appenninici, o quant’altri), condita con l’arte di ibridare, fosse emersa una sintesi tra l’idea del bacon/uova e l’idea della cacio/pepe? Ci può stare, no? Contenti tutti e che buono!

Ora, riteniate o meno il ragionamento di cui sopra esaustivo e dirimente, pongo a seguire altra alta questione. Siamo a Roma (dove se no?): è meglio la carbonara di Pipero al Rex o è meglio quella di Roscioli a Via dei Giubbonari?

Eccellenti entrambe? Non vi sbagliate. Ma io che le due ho provato di recente nel confronto esprimo (salvo per la sola pasta in sé, dove dico vince Roscioli: più gustosa e cotta ancora più a punto) una preferenza per la prima.
Da Pipero: perfetta cremosità ovosa, pressoché nulla deriva liquida (ci sta invece in quell’altra, per scelta?, leggera guazza), aspetto gagliardo esente da pallore, miglior bilanciamento tra quantità di pasta e quantità di guanciale (per entrambi ottimo, e in ben dimensionati tocchetti fuori croccanti dentro morbidi).
Sempre Pipero: più coniugata presenza d’uova (e mica le son d’autore! nello chef la forza!) e di formaggio. Da Pipero pecorino e anche parmigiano prima grattugiati e poi messi a sbattere con l’ova, indi a scagliette giù dalla vetta pasta. Da Roscioli a copiosa pioggia pecorina vitale pungente saporosa assai, al giusto su quantità sì vasta e bbuona (…già scodellata ai fisici: è questa, di fatto, una Teoria del Tutto!) capace di mandar ko mica soltanto i jap, e l’ho veduto, ma capace parimenti quasi stendere un utilizzatore italico aduso al primo piatto nazionale. (…E dunque, per inciso, poter oggi ripensare liberi da ideologia al “Marinetti vs pasta” anni ‘30? …e questo nonostante il poetabeta venisse beccato in seguito e immortalato italianissimo esempio scofanarsi pastasciutta?).

Siamo così arrivati all’ultimissima nota del conteggio: …sul pepe e sul formaggio il match è pari. Ma al mio cartellino vince alla fine ai punti Monosilio con Pipero.
W l’it avola!

Le due “contendenti”: la Carbonara di Roscioli…
ELZEVIRO CULINARIO, LA CARBONARA
…e quella di Pipero.
Pipero, Elzeviro, La Carbonara

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Stazione di Posta è la nuova creatura fortemente voluta da Alessandro Pipero e Pino Cau a Roma nei locali che ospitavano l’ex mattatoio nel cuore di Testaccio.
Il locale molto bello, ampio, con tanto vetro, arredato in maniera intelligentemente informale e con davanti un bel prato verde, ben si presta ad assecondare una proposta che è piuttosto articolata.
Si parte dal Cocktail Bar, davvero eccellente (il barman è bravissimo); a pranzo è previsto un menù alleggerito (anche nei prezzi).
E poi c’è la formula della domenica che prevede piatti della tradizione, con menu a 12, 20 e 25 Euro e animazione gratuita per i bambini. E così, ecco una valida alternativa alla classica gita fuori porta per le famiglie. E, d’altra parte, pur stando in piena città qui pare proprio di stare in una cascina di campagna.
Sono, inoltre, sempre disponibili piatti vegani, vegetariani e per celiaci. Insomma, l’offerta è di ampio respiro e anche molto curata nella qualità complessiva.
Quindi, last but not least, c’è il ristorante serale, quello dichiaratamente gourmet che noi, ovviamente, non potevamo non provare.
Ai fornelli si è scelto di puntare su un giovane emergente, Marco Martini, una vita con Antonello Colonna, prima a Labico e poi come executive chef dell’Open al Palazzo delle Esposizioni.
La carta è nuova solo in parte, nel senso che Martini ha deciso di riproporre in questa nuova avventura alcuni classici dell’Open come baccalà e panna acida, ajo e ojo di mare, ravioli al vapore con brodo di patate arrosto. Scelta legittima per carità, ma forse non proprio felicissima.
Da un cuoco giovane e capace che per la prima volta ha l’opportunità di dare il proprio nome e cognome alla cucina, ci si aspetterebbe qualcosa di nuovo più che la riproposizione di piatti ormai noti. E anche un pizzico di originalità in più.
A cominciare dall’amuse bouche. Quelle uova ripiene di carbonara, sono certo golosissime e presentate in maniera divertente – adagiate in un nido – ma sono pur sempre state uno degli appetizer feticcio di Massimiliano Alajmo alle Calandre fino a qualche anno fa.
Insomma, l’impressione è che in questa fase si voglia rischiare molto poco.
Tutto questo, comunque, non suoni come una bocciatura. Stazione di Posta resta una novità interessante, un posto bello, in cui si sta bene e in cui si mangia (e si beve) bene.
C’è tanta passione e grande professionalità a tutti i livelli, a partire dal personale di sala. C’è la capacità di coniugare tecnica e godibilità e di realizzare una moderna cucina di territorio.
In altre parole, la stoffa c’è ed è di ottima qualità. Ci aspettiamo dal sarto un abito dal taglio più innovativo.
Caro Martini, mai come in questo caso… ad Majora.

Ovetto con la carbonara dentro.
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Da una parte pelle soffiata di baccalà e salsa di ceci, dall’altra cotenna di maiale con mela e panna acida.
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Gamberi gobbetti crudi marinati al worcester.
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Animelle chinotto e carote, piatto marcatamente dolce, animelle non tenerissime.
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Una bella versione di calamaro alla griglia, con centrifuga di peperone, gelatina di limone e tentacoli fritti.
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Continua a non entusiasmarci l’ajo e ojo di mare, piatto che ricordiamo all’Open con gli spaghetti adagiati su una bisque di gallinella. Qui la versione è lievemente modificata e l’elemento marino è dato da cozze e vongole ridotte in polvere.
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Direttamente dall’Open ecco anche i ravioli al vapore pollo e brodo di patate arrosto: questo è un grande piatto. Mangi dei ravioli in brodo e in bocca senti un pollo arrosto.
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Non un gran piatto, invece, a nostro avviso le capesante all’arrabbiata. Tanta paprika, la texture della capasanta e poco altro.
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Una buona anatra laccata.
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Galletto alla diavola con il suo fegatino.
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Banana split.
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Zuppa inglese, l’Alchermes è nella pellicola di copertura.
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