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Esaki

Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo

Se ci fosse ancora bisogno di prove a testimonianza dell’infinita varietà di tipologie della cucina giapponese, tutte interessanti e spesso didatticamente notevoli, ecco quella, significativa, fornita da questo piccolo ristorante del residenziale quartiere di Aoyama.
Le informazioni che lo riguardano sono tutte accomunate dalla generica accezione di “cucina giapponese” e, oltre all’essere tre volte blasonato dalla Michelin, di questo locale poco altro si sapeva.
Ebbene, ci siamo trovati di fronte a una grande cucina tradizionale giapponese, che oseremmo definire casalinga per come i sapori sono presentati con semplicità quasi rustica.
Niente chirurgica efficacia dei maestri di sushi o ieratica progressione della liturgia di una tradizionale cena kaiseki, tanto per intenderci, ma una rassegna genuina e quasi terragna di sapori e ingredienti tipici giapponesi tale da dare la sensazione all’avventore straniero, qui seduto, di essere un autoctono a tutti gli effetti.
Le presentazioni, infatti, sono semplici, essenziali, spogliate da ogni raffinatezza e orpello formale, col chiaro intento di essere rivolte esclusivamente all’esaltazione del gusto, saporite come solo le grandi cucine territoriali sanno essere.
Una salsa al sesamo, un brodo di castagne concentratissimo, il tofu e la zuppa di miso eccezionali, le verdure da coltivazione biologica: sono tutti elementi che compongono un puzzle di notevole intensità gustativa.
Il locale, situato nel piano sottostradale di un edificio molto difficile da individuare, è di spazi ridotti, quasi angusti, come spesso accade nei grandi ristoranti giapponesi ed è caratterizzato da un arredamento minimale.
Una sala principale con quattro-cinque tavoli, una più intima per chi voglia mangiare separatamente e, soprattutto, un servizio commovente per gentilezza, disponibilità, cortesia e tutto quanto possa far sentire a proprio agio un cliente che, nella cultura dei giapponesi, è considerato a tutti gli effetti un ospite.
Dai sorrisi ai convenevoli, fino all’utilizzo di libri e immagini con gli ingredienti dei piatti per supplire all’atavica e strutturale carenza di qualsiasi idioma europeo, tutto viene utilizzato senza parsimonia e con riverente dedizione lasciando stupiti e quasi imbarazzati.
Per un costo, poi, davvero abbordabile, che permette di poter indirizzare qui anche l’ipotetico amico in viaggio in Giappone e a digiuno di nozioni e di specifico interesse per la cultura gastronomica di questo paese, certi che godrà di un’esperienza a tutto tondo soddisfacente.

Mise en place
mise en place, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Crostaceo con salsa giapponese cotto al forno, insalata con salsa di sesamo bianco e con salsa di uva. Ogni elemento preso singolarmente è davvero buono. Magari la combinazione del tutto è un po’ pasticciata.
crostaceo, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Sashimi di striped jack fish, zenzero e wasabi, foglia di pepe. Wasabi grattato al momento. Buonissimo.
sashimi, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Pacific saury, luccio sauro del pacifico (un pesce azzurro), rapa, rafano, salsa di soia. Sapidità spiccate, rustiche.
pacific saucy, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Castagne, panna e latte. Un po’ abbondante. Concentrazione elevatissima. Niente zucchero aggiunto.
castagna panna e latte, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Bighand thornyhead, salsa di soia, dashi, e tofu. La piacevolezza di una grande zuppa di pesce non speziata.
Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo, zuppa
Abalone fritto, pera, sesamo e bieta.
abalone, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Zuppa di miso e riso con patate, foglie di rape, mirin. Veramente ottima.
zuppa di miso, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Fichi, sciroppo di zucchero e fagioli, riso al latte. Che ve lo dico a fare.
fichi, sciroppo di zucchero e fagioli, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Tisana defaticante all’angelica, menta, ginger.
tisana defaticante, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Interno
interno, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Sala privata con tatami
sala privata con tatami, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo
Cucina
cucina, Esaki, chef Shintaro Esaki, Aoyama, Tokyo

Sushi Mizutani, Hachiro Mizutani, Tokyo

Un ristorante giapponese in cui vietano di fare le foto?
Sembra un ossimoro, ma abbiamo sperimentato anche questo nel nostro viaggio.
Impossibile ottenere una deroga da Sensei Hachiro Mizutani.
Eppure il grande Sushi Master dovrebbe essere rodato alle pubbliche relazioni, avendo un palmarès di tutto rispetto (27imo ristorante per l’Asia best 50’s e 3 stelle Michelin).
Allievo prediletto del grande Jiro, oggi leggenda vuole che nominare il Maestro in sua presenza provochi irritazioni cutanee in lui e di riflesso nei suoi avventori.
Quando si parla di grandi interpreti del sushi, quello di Mizutani è un nome obbligato.
Tanti giovani stanno salendo alla ribalta della scena di Tokyo, su tutti Saito e il suo imprenotabile sushi bar (è l’unico della nostra lista in cui non siamo riusciti a ottenere un posto), ma mostri sacri come Jiro Ono e Hachiro Mizutani continuano a restare al top e a dividere la clientela giapponese e internazionale.
Per alcuni Jiro è inarrivabile e, nonostante il particolare trattamento a cui si è sottoposti nel suo ristorante (si cena in non più di 30 minuti), continuano a ritenerlo l’unico vero Maestro di sushi giapponese.
Un’altra fazione vede invece in Mizutani il suo faro: certamente su questo giudizio incide molto il diverso concetto di ristorazione praticato da Hachiro-san. Da Mizutani i tempi sono molto più dilatati a anche lo chef è molto più disponibile a scambiare battute con i suoi clienti (soprattutto con i connazionali): insomma, un ristorante un po’ più classico, dove rilassarsi e passare una bella serata.
Soffermandoci sul solo sushi, è abbastanza chiaro quale abbia incontrato maggiormente la nostra preferenza in questo viaggio (basta vedere le differenze di voto).
Ma di una cosa siamo assolutamente certi dopo queste diverse esperienze: le differenze tra una casa e l’altra possono essere abissali e non solo per la qualità degli ingredienti utilizzati.
Mizutani propone una idea di sushi estremamente tradizionale, probabilmente più in linea con la tradizione millenaria espressa dalla cultura e dalla cucina giapponese, con al suo centro la filosofia Kaiseki, che impone armonia, contrasti lievi, sapori tenui e molto delicati.
Parliamo del riso: quello di Sensei Mizutani è quasi scotto, compatto, farinoso, poco acidificato e di temperatura più fredda rispetto ad altri. Un abisso rispetto a quello di Jiro per esempio, molto più acido e sgranato. Ma anche enormemente diverso da quello di Kyubei, solo per citare l’esempio del suo vicino di palazzo.
Questa caratteristica a qualcuno potrebbe anche piacere, potendo rappresentare un veicolo più neutro ed adeguato alla materia prima che lo sovrasta.
Per noi non è così: abbiamo trovato molto più efficace il riso acido, compatto ma sgranato, capace di emozionare nel suo connubio mistico con il pesce.
Da Mizutani i sapori sono molto più dosati e, a nostro parere, anche l’esperienza ne risente in maniera significativa. Anche l’uso del wasabi è molto più leggero.
Quella che rimane grandissima è la qualità degli ingredienti (abbiamo mangiato qui il migliore otoro – tonno molto grasso – del viaggio). Così come le movenze ipnotizzanti di un grandissimo Maestro, che taglia il pesce e prepara i pezzi sempre e solo in prima persona: questo è sempre uno spettacolo nello spettacolo nei grandi locali sushi giapponesi che qualsiasi catena non potrà mai uguagliare.
Curioso scoprire che in Giappone hanno i nostri stessi problemi: i giovani si abituano al gusto dei fast food di sushi e non conoscono più la vera arte del sushi Master. Il sushi autentico non sanno nemmeno cosa sia e anche questo mestiere va scomparendo per i grandi sacrifici che richiede.
I danni dell’omologazione del gusto evidentemente non hanno confini.
Un buon maestro di sushi osserva le abitudini alimentari dei suoi clienti , rendendo i pezzi più teneri per chi mangia con le dita, più compatti per quelli che usano le bacchette in modo che un pezzo non si sminuzzi una volta immerso nella salsa di soia. Un buon maestro di sushi è completamente dedito al suo cliente e non delegherà mai il suo lavoro a un apprendista.
Mizutani fa parte di questa categoria, quella dei grandissimi.
Se avete una sola cartuccia da sparare, probabilmente è meglio che spostiate la mira nei sotterranei della metropolitana di Ginza, ma se avete voglia di farvi una idea più chiara di quanto variabile possa essere il sushi a Tokyo, questo è l’indirizzo che fa per voi.

Difficile, come per la gran parte dei ristoranti in giappone, trovare l’entrata.
Anche qui in un piano di un anonimo palazzo del centro di Ginza
Eccovi l’insegna, non scordatela!
Sushi Mizutani, Hachiro Mizutani, Tokyo
L’ingresso con, sullo sfondo, i trofei…
Sushi Mizutani, Hachiro Mizutani, Tokyo
Una foto si, ma solo sua…
Sushi Mizutani, Hachiro Mizutani, Tokyo

Ginza Ukai-Tei, Giappone, tokyo

Bastano solo un paio di giorni per orientarsi bene a Tokyo. La metropolitana è di un’efficienza disarmante e le indicazioni sono chiare anche per chi parla bene solo le lingue neolatine e non mastica altrettanto correttamente gli ideogrammi. Se poi avete la fortuna di soggiornare a Ginza tutto risulta più facile. Ovvio che un cellulare dotato di navigatore vi consentirà maggiore tranquillità, ma questo quartiere ha un aspetto simile alle moderne città occidentali, con i suoi grattacieli imponenti, i negozi lussuosi, i brand della civiltà consumistica a cui siamo abituati. Per strada la gente è in perenne e ordinato movimento, colpisce l’assenza quasi assoluta di bambini o anziani, ma forse il motivo è che siamo nella zona del business. C’è un silenzio irreale ovunque e il traffico delle automobili, discreto e privo di quella simpatica sinfonia di clacson tipica di Roma o New York, non disturba per nulla. Addirittura i cantieri sembrano lavorare con il silenziatore incorporato: è incredibile per la nostra cultura, ma qui a Tokyo è proprio così.
Girovagare a piedi senza difficoltà è quindi possibile, a meno che non abbiate prenotato un pranzo o una cena presso uno dei tanti leggendari maestri Sushi di Tokyo. Normalmente essi officiano in sconosciuti e anonimi building, senza targhe o insegne riconoscibili dalla quasi totalità della popolazione mondiale: in questi casi la situazione si fa più molto più complessa e dovrete ricorrere a tutta la vostra intelligenza e capacità intuitiva.
Non è così per l’Ukai-Tei di Ginza, uno degli indirizzi più rinomati della città in tema di cucina giapponese versante Teppan-Yaki. Dopo giornate intere a scovare con atteggiamento sospetto questo o quel recapito enigmatico, azione a cui abbiamo sacrificato i preziosi neuroni rimasti, ecco per fortuna un locale facilmente riconoscibile: anzi il suo accesso imponente e sfarzoso ci predispone immediatamente ad una inusuale serenità, anche se la piacevole sensazione dura solo pochi istanti, perché il sospetto che questa volta proprio non ci abbiamo azzeccato con la prenotazione, si tramuta quasi subito in realtà.
L’ambiente è curato, ma pomposo e opprimente. Dopo il portone in stile Las Vegas, osserviamo sbigottiti un arredamento tra il kitsch cinese e i vetusti ristoranti francesi di epoche passate. Per carità, sorrisi e gentilezze a profusione, ma mentre ci conducono nella nostra saletta riservata avvertiamo un sottile turbamento, quella sinistra convinzione di essere le vittime occidentali di turno della serata.
Ci accomodiamo nelle nostre eleganti sedie barocche, davanti a noi si svela in tutta la sua lucentezza metallica il mitico Teppan-Yaki. Propendiamo per un compromesso, scegliendo dal menù il percorso di degustazione chiamato “Lobster&Steak” a quasi 19.000 Yen (oltre 140 Euro). Il nome ci sembra una piccola garanzia che almeno qualche delizia l’assaggeremo, golosamente sfrigolante su quel piano rovente che abbiamo al nostro cospetto. E poco importa se intorno a noi di quel minimalismo giapponese cui siamo oramai devoti seguaci, non c’è neppure l’ombra.
Lo stile Teppan-Yaki non affonda nei secoli la sua tradizione. Fu inventato a Kobe solo nel 1945 da Shigeji Fujioka: il suo motto era “Let people taste truly delicious meat” e appare quindi chiaro che l’intento del buon Shigeji era quello di offrire ai suoi commensali il modo migliore per esaltare la preziosa carne che dalla sua città natale ha mutuato il nome. Negli anni lo stile Teppan-Yaki ha trovato una diffusione notevole, soprattutto negli Stati Uniti. E forse la sua fama ha subito troppe degenerazioni occidentali. Ma quale modo migliore se non quello di andare a Tokyo, in questo famoso ristorante, per scoprire la sua essenza più vera?
Con tutta sincerità non siamo riusciti a toglierci il dubbio: dove risieda il fascino di vedere davanti a sé uno chef che usa il Teppan-Yaki come una banale piastra qualsiasi rimane un mistero.
L’Ukai-Tei di Ginza è un buon ristorante a onor del vero, ma della cucina giapponese, di quello spirito seducente che ci ha folgorato in molti altri posti, non ha proprio nulla. E’ semplicemente un ridondante locale in stile francese per ricchi uomini d’affari e mascherato artatamente con un maquillage orientale, giusto per stupire incauti e sprovveduti turisti.
Un luccicante spettacolo circense insomma, tra l’altro costoso e pretenzioso, molto distante dalle legittime aspirazioni di una vera anima gourmet. Alle foto e alle rispettive didascalie lasciamo il compito di riportare fedelmente il resoconto di una serata andata storta a Tokyo.
Una cronaca a tratti autoironica e divertente, benché al momento dei dessert (e di fronte ad un inquietante Crème Caramel) lo smarrimento abbia preso decisamente il sopravvento sul sorriso.
Se vi capiterà una piccola disavventura come la nostra, nel cuore pulsante di Tokyo e in quella Ginza così scintillante e smagliante, non vi scordate mai che ci sono straordinarie pasticcerie ovunque con cui raddrizzare una serata.
Ah, dimenticavamo: straordinarie pasticcerie giapponesi.

Foto d’apertura: l’ingresso, facilmente riconoscibile…

La mise en place davanti al Teppan-Yaki: molto classica, almeno in Europa.
mise en place, Ginza Ukai-Tei, tokyo, giappone
Qualcosa d’italiano (e per fortuna…) non poteva mancare.
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Amuse bouche: flan di tartufi…
flan di tartufi, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Uno dei pochi meriti per essere un ristorante filofrancese: la carta dei vini…
vino, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Prima portata: un discreto dentice marinato (ma il Teppan-Yaki?)
dentice marinato, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Incominciano finalmente ad allestire il Teppan-Yaki, siamo fiduciosi. Finora abbiamo fissato il muro davanti a noi.
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Lo chef all’opera sulla seconda portata, ma il Teppan-Yaki è usato come strumento scenografico, anche un fornello da campo sarebbe stato utile per riscaldare un piatto già cucinato.
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Ecco il risultato: lingua di bue grigliata (sì, ma in cucina).
lingua di bue, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Dopo tanto Teppan-Yaki sempre dalla cucina arriva una zuppa di crostacei, giusto per darci tregua… (ma siamo a Parigi?)
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Ci presentano un astice crudo, non sarà che lo cuoceranno al Teppan-Yaki?
astice, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Eh, magari… Ecco che lo chef lo prepara seguendo una tipica ricetta giapponese: la fricassea.
astice crudo, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
astice, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Il risultato: ecco il nostro astice in fricassea. Bienvenue a Tokyò, Monsieur…
astice in fricassea, Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Il primo indizio che forse siamo veramente a Tokyo.
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
La conferma: il Teppan-Yaki funziona davvero e lo usano!
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Ginza Ukai-Tei, Tokyo, Giappone
Ci siamo quasi…
UKA19BP
Siamo commossi: Ukai Prime Beef Siliron al Teppan-Yaki!
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E vai, esageriamo con il Teppan! Riso saltato all’aglio…
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Abbandonato il Teppan-Yaki ecco la sala dove ci saranno serviti i dessert.
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Tra i quattro assaggiati riportiamo solo la foto di quello che ci è sembrato, all’Ukai-Tei, il più vicino possibile alla cultura giapponese: il Crème Caramel.
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Usciamo, c’è Ginza by night…
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Una straordinaria pasticceria giapponese…
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Adesso sì che siamo felici…
UKA26BP

Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo

Il movimento creativo sviluppatosi negli ultimi dieci anni in Giappone ha dato un forte scossone a una gastronomia fortemente legata alle sue tradizioni.
Figure come Yamamoto (Ryugin) o, più recentemente, Takazawa (Aronia de Takazawa) stanno rivoluzionando il modo di fare cucina in Giappone, fondendo le tecniche internazionali con i prodotti e la mentalità del popolo del Sol Levante. L’obiettivo è quello di scardinare alcuni capisaldi per raggiungere nuovi obiettivi: l’essenza stessa della creatività. Alcune cose che noi diamo per scontate non lo erano fino a dieci anni fa in Giappone.
Anche Yoshihiro Narisawa, anno 1969, ha senza dubbio contribuito a questa silente rivoluzione: la creazione di una nuova tradizione culinaria, rispettosa della storia e delle usanze giapponesi ma non ritorta su se stessa.
Narisawa ha girato molto per l’Europa prima di ritornare in patria: Joel Robuchon, Fredy Girardet , ma anche Ezio Santin all’Antica Osteria del Ponte.
Nel 1996, dopo 8 anni in Europa, apre La Napoule a Odawara (un’ora di auto da Tokyo).
Nel 2003 la svolta: si sposta a Tokyo per aprire Les Créations de Narisawa.
In Italia è un nome tutt’altro che sconosciuto: certamente la Best 50 San Pellegrino ha contribuito alla sua fama, ma anche la partecipazione nel 2010 a Cook it Raw mise il suo nome sulla bocca di molti giornalisti e appassionati italiani (il piatto da lui presentato alla cena di Cook it Raw fece gridare al miracolo più di qualcuno).
La formula di Narisawa è chiara: mantenere i principi della cucina Kaiseki (stagionalità, ritualità) e utilizzare ingredienti tipicamente giapponesi applicando però tecniche moderne, il tutto filtrato da una nuova prospettiva che mischia Oriente e Occidente con apparente grande semplicità.
Solo prodotti biologici, niente grossisti ma rapporto diretto con agricoltori e pescatori.
E una maniacalità tipicamente giapponese, che lo porta ad esempio ad avere una vasca sotto il ristorante dove tenere pesci e crostacei vivi consegnati la mattina presto da alcuni pescatori di fiducia.
Al centro della sua filosofia culinaria c’è il tentativo di portare la Natura nel piatto e rilanciare quindi il rapporto dell’umanità con il mondo naturale attraverso il cibo.

“Voglio catturare paesaggi, dipingere una tela che rappresenta la natura. Ogni ingrediente catturato nel mio piatto deve vivere e respirare”.

Motore della continua ricerca di Narisawa è quindi la Natura attraverso cinque temi ben precisi: Terra, Acqua, Fuoco, Carbone e Foresta. Ma anche lo scandire riti e ritmi del calendario giapponese, date che ritmano dei precisi momenti della natura e delle stagioni in un profondo rapporto con le materie prime.

“L’uomo non dovrebbe limitarsi a consumare un piatto, ma dovrebbe assorbire la vita stessa racchiusa in quello che viene proposto. Nel mio Paese c’è l’abitudine di sentire il passaggio del tempo che cambia dal colore e dall’aspetto dei fiori e dei prati, dal cinguettio degli uccelli, dal soffio del vento, dalle fasi lunari, e lasciandosi trasportare, contemplare la gioia delle quattro stagioni. Stando immersi nella natura, se ne può cogliere la nascita, il pieno rigoglio e i suoi lasciti. Ogni momento ha la sua bellezza, e a questa bellezza è legato un senso di malinconia. I giapponesi ritengono che in tutte le cose ci sia una divinità, e che si debba proteggere lo spirito di questi elementi che ci danno gli ingredienti. Inoltre questo paesaggio naturale, che è stato ucciso dall’uomo stesso, rivive un’altra volta in ogni piatto”.

La rappresentazione scenica ricorre in tutto il pasto, tanto che alle volte sembra quasi privilegiata rispetto al gusto. Lo stesso dicasi per i giochi visivi, vedi il ricorrente utilizzo della carbonizzazione nell’esplorazione del concetto di monocromia e del richiamo all’ancestralità della cucina.
Qui risiede il problema principale: è fuori discussione la bravura extra-ordinaria del cuoco, ma alle volte Narisawa sembra bearsi e curarsi troppo del suo pensiero tralasciando il sostanziale, cioè il risultato gustativo del piatto, non sempre convincente. Leggerezza e finezza sono caratteristiche che gli appartengono, ma alcune portate non hanno la complessità gustativa di altre e scivolano via senza lasciare il segno. Discutibili anche le reiterazioni stilistiche (vedi il carbone).
Il locale è bello, dal gusto occidentale e decisamente diverso dagli standard giapponesi.
Servizio di gran livello, anche per quanto riguarda il capitolo “beverage”: un sake riserva personale 1981 non è cosa che si assaggia tutti i giorni. I camerieri parlano tutti inglese ed è una comodità non da poco.
Anche per le prenotazioni la strada è decisamente in discesa rispetto ad altri grandi di Tokyo: si può prenotare direttamente dal sito internet scegliendo data e ora di arrivo. Non ci sono doppi turni ma le prenotazioni vengono prese a orari diversi per evitare di sovraccaricare la cucina.
Una tappa certamente consigliabile e un cuoco da seguire nel suo percorso di maturazione evidentemente ancora in divenire.

L’esterno del locale, per una volta a Tokyo un indirizzo semplice da trovare
Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Mise en place.
Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
La cucina a vista.
Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Pane della foresta 2010 e muschio: l’impasto, ancora crudo e misto a yuzu e pepe, viene posto in un contenitore riscaldato a 300 gradi e la cottura viene fatta al tavolo. Dieci minuti dopo viene sformato e presentato con burro ricoperto di polvere di olive e spinaci.
L’impasto crudo che lievita al calore della candela.
Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
L’impasto viene messo nel contenitore per la cottura.
pane della foresta, impasto, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Il risultato: il pane.
pane, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Il muschio.
muschio, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Essenza della foresta e scenario di Satoyama: erbe giapponesi crude e in tempura, foglie, radici, un terreno di muschio fatto con tè verde, acetosella e carbone. A lato un piccolo cilindro di legno contenente acqua di sorgente infusa con legno di quercia.
essenza della foresta, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Sumi: cipolle grigliate ricoperte di polvere carbonizzata al porro e fritte.
sumi, cipolle grigliate, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Okinawa: brodo di serpente di mare, melone, dumpling di patata e maiale.
Okinawa, brodo di serpente, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Il serpente di mare, fatto giustamente vedere solo a piatto finito…
serpente di mare, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Melanzane: la melanzana viene cotta in 3 modi (purea, fritto e arrosto), pinoli, olive nere, fiori, parmigiano, funghi shitake. Il tutto avvolto in un gel di acqua di pomodoro.
melanzane, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
“Ash 2009” Scena della riva del mare: calamaro con cenere di paprika e limone.
Il calamaro viene cotto alla griglia su un mix di legno di ciliegio e di carbone e servito con una salsa di peperoni. La cenere viene servita come una polvere congelata all’azoto liquido. L’effetto “fumo da griller” assicurato. Un grandissimo piatto, il top della serata perché a una forte componente scenica e una notevole costruzione del piatto, corrisponde una grande complessità gustativa. La pulizia lasciata dall’acidità della finta cenere è straordinaria.
La cenere.
cenere, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Il piatto fumante.
piatto fumante, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
E dissolta la nebbia…

Pesce Palla, Hagi: Fugu fritto, servito con sale e sudachi (simile a un lime).
pesce palla, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Scampo, Baia di Odawara: scampo rovinato da una inappropriata salsa al pomodoro troppo coprente. Un piatto sbagliato.
scampo, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo
Tilefish, Funghi Matsutake, essenza di tartaruga: tecnicamente un grande piatto, c’è poco da dire di fronte a una cottura come questa. Molto sottile nelle sue sfumature gustative, piatto molto più “giapponese” di tutti gli altri.
essenza di tartaruga, Les Créations de Narisawa, Yoshihiro Narisawa, Tokyo

Ostrica roccia: germoglio di ciliegio affumicato, ostrica fritta, acetosella e salsa di cipolla dolce di kyoto. La salsa, esageratamente dolce, sposta il piatto in una sola direzione coprendo gli altri ingredienti.



“Sumi 2009” Hida beef: la carne Wagyu è presentata coperta da polvere di carbone (ottenuta con i porri).
I porri vengono prima immersi in acqua salata per 30 minuti, asciugati e poi grigliati su carbone bincho-tan fino a completa carbonizzazione. Quindi vengono disidrati e frullati per ottenere la polvere.
La cottura avviene con la tecnica dell’“arroser”, versando in continuazione olio/burro caldo sul pezzo: la carne viene scottata rapidamente, avendo cura di mantenere la temperatura interna al di sotto di 60° C. Quindi si scalda il burro e l’olio d’oliva a 80° C e si cuoce la carne nel burro-olio fino a quando il centro della carne raggiunge i 54° C.
Viene servita con un Jus di vino rosso, salsa di pane fermentato all’aglio e una granita di sake da intervallare tra un boccone e l’altro.
Un piatto notevole che in bocca si rivela classicissimo.
Prima del taglio.

Il piatto servito.

Sakekasu, Kuzumochi, fragola
Il sakekasu sono le fecce lasciate dalla produzione del Sake.
Servito con Mochi di Kuzuko (radice giapponese) e sorbetto di fragola.

Castagna: crema di castagne giapponesi, gelato di rum e uvetta, gel di warabimochi (una radice).

Lo scenografico carrello della piccola pasticceria.


Macarons: notevoli.

Piccola pasticceria, più interessante dei dessert stessi.



Il Potus.




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Da Kanda non si viene per caso, situato fuori dalle rotte turistiche e lungo una piccola stradina in un contesto prettamente residenziale. Indispensabile è l’utilizzo di un taxi, senza il quale il rischio di perdersi è altissimo.
La Michelin da alcuni anni pone questo minuscolo ristorante (crediamo non più di 10 mq.) al vertice assoluto della capitale, in compagnia di altre 13 perle, e senza esitazione procediamo al laborioso meccanismo di prenotazione, facendo leva sull’affidabile concierge del nostro albergo alcuni mesi prima della visita programmata.
Ad accogliervi sarà Kanda-san in persona che, invero, con nostra grande sorpresa, affronta, seppur con qualche esitazione, una piacevole conversazione in inglese.
L’ambiente intimo, così raccolto, dà la possibilità di interagire anche con gli altri ospiti, meravigliati della nostra presenza al bancone.
Si stappano bottiglie importanti di fianco a noi, la carta dei vini è finalmente degna di questo nome, così come i suoi ricarichi.
A differenza di molti suoi colleghi, anche più illustri, lo chef vanta numerosi viaggi all’estero e amicizie europee (ci dirà che ha stretto rapporti con Alfonso Iaccarino e che Pinchiorri, quando è a Tokyo, è sovente gradito ospite per deliziarsi con la sua “milanese”), anche se la cultura occidentale non ha permeato la sua cucina, rimasta rigidamente osservante dei dettami della cultura gastronomica giapponese.
La dicitura “kaiseki”, come abbiamo visto in altre recensioni, identifica l’espressione culinaria più raffinata di questo Paese, una fusione di cibo e natura, gusto ed estetica. Kyoto senza alcun dubbio rappresenta la culla di questo rito gastronomico che si officia quotidianamente nelle splendide ryokan, locande tradizionali espressioni massime dell’ospitalità nipponica. E a Tokyo, patria del sushi, è certamente più raro imbattersi nella vera cucina kaiseki, anche se le eccezioni non mancano.
Kanda, ça va sans dire, è una di queste.
Certo, il diktat non scritto che impone il solo utilizzo di verdure e pesce qui non è seguito alla lettera, ma ciò che più conta è il rispetto della estrema qualità e stagionalità delle materie prime.
L’impronta di Kanda-san è fine, leggera, quasi impercettibile, le preparazioni che giungono al nostro tavolo hanno, però, un minimo comune denominatore: la persistenza. A volte giunge inaspettata, altre invece no, come quando viene servito l’ennesimo brodo, caldo o freddo che sia, sempre perfetto, soave ma così intenso.
Kanda-san segue il mantra della estrema freschezza degli ingredienti e così, quale manifesto del suo pensiero, ci vengono portati in visione due guizzanti Ayu che di lì a qualche minuto faranno la loro comparsa nel piatto perfettamente grigliati e affumicati.
La sequenza delle portate alterna caldi e freddi, affumicati, dolci e salati, in un turbinio di sensazioni. Il palato non è mai seduto, sempre stimolato, fatto vibrare.
Che meraviglia quei capellini di soia in brodo freddo, ghiacciato, acidulato. Straordinario l’abalone con funghi ed alghe.
Purtroppo la chiusura dolce è sottotono. La tradizione vuole che si termini con la frutta, fortunatamente di livello eccelso, o più raramente con il gelato.
Non temete, però, la spesa, seppur elevata, è ampiamente ricompensata dalla gioia di sedervi ad uno dei sette posti al bancone e godere di un kaiseki d’autore.

Fico con gelatina di sesamo. Esplosione di dolcezza e note tostate.
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Abalone, funghi, alghe. Materia prima pura e accostamento di sapori fantastico.
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Fat fish con…
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…a latere, wasabi e marmellata salata di prugna.
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Polpetta di pesce, mais e funghi in brodo, di raffinatissima persistenza.
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Oshizushi. Abbastanza raro trovarlo sulle tavole giapponesi. È sushi pressato con un blocco di legno, in questa versione con horse mackarel, foglie di sansho e spremuta di lime. Compatto e concentrato. Le foglie di sansho altro non sono che le foglie della pianta del meglio noto pepe di Sichuan.
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Ayu mostrati vivi e vegeti nella loro dimora..
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…e cotti alla brace e leggermente affumicati, pochi secondi dopo. È l’emblema di ciò che la freschezza degli ingredienti rappresenta per i giapponesi.
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Servito nel modo caratteristico, “in piedi”. L’Ayu è un pesce di fiume molto pregiato e particolarmente dolce. Viene mangiato intero.
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Bonito con peperoncini verdi…
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…soia e mostarda.
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Verdura il cui succo, violaceo, è naturale. Turgida e “carnosa”.
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La versione giapponese della “milanese” con insalatina condita in modo fantastico, acidula e fresca. Materia prima, neanche a dirlo, stratosferica.
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Brodo con pesce (particolarmente grasso), polpetta di pesce e sesamo, funghi e verdure. Meraviglioso. Leggermente acidulato, di una persistenza e freschezza inaudite.
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Spaghettini di soia in brodo, freddi, quasi gelati, con erba cipollina. Si gioca con i contrasti di temperature. Il palato viene resettato, ma la profondità di gusto è allineata alle portate precedenti.
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…si risale di temperatura con il tè nero.
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Gelatina di anguria.
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Gelato al tè e caffè.
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Ingresso esterno.
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Ingresso interno.
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