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Harutaka

La via dello Shokunin

Shokunin è una parola giapponese di difficile traduzione nella nostra lingua. La traduzione proposta è spesso quella di artigiano o di maestro artigiano ma il suo significato va ricercato nelle profondità della cultura nipponica, nella dedizione verso il proprio lavoro tale da renderlo una vera forma d’arte, è quindi una questione non solo di tecnica ma anche di attitudine. Nella sola Tokyo si stima vi siano più di cinquemila ristoranti di sushi ma solo una manciata di questi sono gestiti da veri e propri shokunin e Harutaka Takahashi può rientrare senza alcun dubbio in questo novero. Originario dell’Hokkaido, inizia la sua carriera nel mondo del sushi giovanissimo, all’età di soli diciotto anni, prima in un ristorante nella sua regione natia e poi a Tokyo, presso forse il più famoso maestro di sushi del mondo, Jiro Ono, dove il suo apprendistato dura ben tredici anni. Il passo successivo e l’apertura di un proprio ristorante nel lussuoso quartiere di Ginza, come il suo maestro, che dopo qualche anno viene rilocato nell’attuale sede. L’ambiente, a differenza del rustico Sikiyabashi Jiro, denota il raffinato gusto del suo titolare mostrando appieno la maestria dell’artigianato giapponese in ogni dettaglio, a partire dallo splendido bancone, in legno chiaro, in grado di ospitare fino a dodici commensali.

Alla ricerca del nigiri perfetto

La cena da Harutaka si apre con una serie di Otsumami, piccoli antipasti principalmente a base di pesce, tra cui spicca su tutti lo splendido Shirako, ovvero lattume di merluzzo, servito in salsa ponzu, che rivela una stupefacente consistenza cremosa quasi vellutata unita a un sapore estremamente delicato, per poi passare ad una lunga sequenza di nigiri e concludere con l’immancabile Tamago (piccola frittata al confine tra dolce e salato). La chiave di volta dell’intera esperienza, tuttavia, risiede nella preparazione dello Shari (il riso) il quale è cotto molto al dente con aceto di riso (kome-zu), acido e fresco, così come tramandato dal maestro Jiro Ono, una scelta controtendenza rispetto all’attuale moda che predilige l’utilizzo di aceto di foglie di sakè (aka-zu), più aromatico. Il risultato è un riso dalla forte acidità, unita a una buona sapidità, che dona una pulizia gustativa davvero unica.

I Nigiri sono quindi assemblati personalmente per tutti i commensali dal taisho (il titolare), che con una maestria nei movimenti delle mani davvero formidabile assembla neta (il pesce finemente tagliato) e shari, riuscendo a comprimere quest’ultimo abbastanza perché nessun chicco si stacchi ma al tempo stesso non eccessivamente per permettere al riso di sfaldarsi una volta giunto a contatto con la lingua. Ogni neta si rivela di livello supremo, dimostrando non solo una qualità straordinaria della materia prima ma anche una grande capacità nel trattare tale materia con preparazioni complesse di marinatura e maturazione.

Il servizio è cortese ma l’impressione di una maggiore attenzione per i clienti abituali è senza dubbio presente, anche a causa di una barriera linguistica difficilmente superabile nonostante qualche cameriere e uno dei sous chef parli non più di qualche parola di inglese. L’atmosfera è tuttavia rilassata e meno “monastica” e ingessata rispetto ad altri ristoranti di questo livello in Giappone e non stupisce che Harutaka sia un’opzione molto apprezzata da una clientela varia che spazia da assidui gourmet e famosi chef fino a uomini d’affari e influencer.

La prenotazione è complicata ma non impossibile per gli standard giapponesi, complice anche un prezzo molto elevato e l’apertura fino a tarda sera, permettendo anche alla clientela straniera di godere di uno dei più grandi ristoranti di sushi del pianeta.

IL PIATTO MIGLIORE: Trittico di nigiri di tonno (akami, chutoro e otoro).

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Oslo –Tokyo andata e ritorno

Il nesso tra Norvegia e Giappone? Gastronomicamente parlando mai così eterogenee, eppur mai così vicine, come dimostra Hriminir Ramen, avamposto nipponico nel cuore di Oslo, uno di quei locali melting pot dove due culture s’incontrano creando un sodalizio di sapori. A dirla tutta, il suo fautore  David Quist non vanta chissà quali trascorsi stellati nelle cucine di mezzo mondo, anzi è un microbiologo americano appassionato di cucina che, folgorato sulla via del ramen, ha deciso di apprendere questa antica tradizione da uno dei più celebri mentori in questo campo, Kibomoto San del Ramen Kai di Tokyo.

Ebbene la mentalità scientifica di Quist, applicata alla conoscenza della biodiversità e alle tecniche che la cucina nordica ma di riflesso anche quella giapponese offrono, ha fatto sì che l’offerta di Hrimnir Ramen, sia tra le più innovative, in questo campo, mai assaggiate. Tecniche classiche, consacrate alla realizzazione del ramen, incontrano gli ingredienti misconosciuti del grande Nord atlantico, sferzato da vento, altipiani innevati e burrascose correnti marine.

Tra koji, miso e shoyu, trovano spazio cuori di balena fermentati, pickels e nuovi kitmchi sperimentali come quello, sensazionale, realizzato con il cavolo di Bruxelles, nerboruto nel lato fermentato ma delizioso e intrigante al palato, oppure l’insalata di patate giapponese con sesamo e uova affumicate di merluzzo. E poi lui, il protagonista della nostra esperienza: il ramen. Alla prova di assaggio in duplice versione nell’hen shoyu ramen con la tipica chashu, tipica e fondente pancia di maiale brasata con una magistrale scorzonera fermentata e cipollotto. Mentre nel secondo assaggio, quello da knock out umamico, il paitan gyokai shio ramen, il più antico delle declinazioni nel mondo del ramen, dove la sapidità è data da un brodo semplicemente salato (senza ausilio di salsa di soia in questo caso rispetto allo shoyu), ma che lascia spazio alla molteplicità di ingredienti impiegati: l’immancabile pancia di maiale, l’uovo marinato nel caffè di soia, topinambur fermentato, aglio orsino, cavolo nero essiccato, cipollotto e gli ottimi noodles, homemade, of course, dell’Hrminir.

In buona sintesi, possiamo dire che ciascuna delle cucchiaiate del ramen di Hrminir spazia negli 8404 km che separano Oslo da Tokyo che, credeteci, non vi sembreranno poi così distanti.

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Un giovane e abile Sushi Master da Tokyo a New York

New York continua a riservarci sorprese! Dove trovate oggi uno dei migliori e più promettenti sushi omakase della Grande Mela? Semplice, all’interno di un ristorante giapponese appartenente ad una rinomata catena. Entrando, non stupitevi di ritrovarvi un po’ spaesati, perché il bello deve ancora arrivare: perché il vostro posto esclusivo, dei soli nove disponibili, è al bancone, proprio dirimpetto allo chef Shion Uino, in quello che ha tutta l’aria di essere un sottoscala…

Shion Uino è giovane di grandi e belle speranze. Otto anni alla corte di Sushi Saito, probabilmente il miglior sushi master di Tokyo e considerato l’erede naturale di Jiro, si trasferisce un anno fa a New York dove officia tutti i giorni, domenica escluso.

Una sorta di speakeasy del sushi

Qui è dove propone un tripudio di ingredienti giapponesi selezionatissimi in cui si stagliano il calamaro allo yuzu e salsa ponzu concentrata, un granchio da favola e una selezione di ricci notevolissima. Sushi ottimo, certamente, ma che sconta la giovane età del sushi master. La tecnica del sushi è profonda, e necessita certamente un’applicazione e uno studio delle tecniche, ripetitive, decisamente superiore a quanto, seppur datato, ha potuto effettuare questo giovane e baldo apprendista. Strana la frittata dolce finale, di una consistenza nuova e interessante e stupende le favolose – e costose – fragole giapponesi con polvere di zucchero Kokuto di Okinawa, pregiatissimo.

Ma se il buongiorno si vede dal mattino, certamente sentiremo molto parlare di questo giovane ragazzo che ci ha mostrato colpi molto interessanti che, ribadiamo, necessitano ancora di sedimentare, di impregnarsi di ulteriore esperienza e continua applicazione per raggiungere livelli ancora più alti.

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Un laboratorio di materie prime, ingredienti e sapori

Perfino nella notoriamente difficile realtà dei grandi ristoranti giapponesi, Sugalabo spicca per la difficoltà di accedere a uno dei suoi pochi posti a sedere. Da un lato, le serate in cui il “laboratorio” di Yosuke Suga è aperto al pubblico sono poche, perché la maggior parte del suo tempo lo chef lo trascorre girando il Paese per selezionarne gli ingredienti migliori; dall’altro, perché chi è riuscito ad accedervi una volta prenota la prossima visita prima di andar via, di fatto rendendo il posto una specie di club. A rafforzare questa condizione, l’accesso al locale stesso: nascosto da una parete mobile all’interno di una galleria d’arte, senza alcun segno che faccia supporre la presenza di un ristorante.

Le nostre aspettative, non lo nascondiamo, erano altissime e per alcuni versi totalmente fondate: la qualità della selezione è straordinaria perfino a queste latitudini, il lavoro di ricerca dello chef è instancabile e non è un caso che in una cena ci si possa imbattere nella patata più straordinaria mai mangiata, in fragole che sono il sogno di ogni gourmet, perfino in un prosciutto crudo prodotto da un piccolo artigiano giapponese capace di rivaleggiare con le migliori espressioni del Parma a cui si ispira.

Così come la tecnica nella realizzazione dei piatti si conferma quella di un maestro, forte di oltre 15 anni di esperienza, che si vedono tutti, al comando di cucine nel gruppo Robuchon.

Le “stazioni” gourmet fino alla epifania, a sorpresa, del doggy bag

Quello che ci ha appassionato meno, in un confronto ravvicinato con altre espressioni di vertice della gastronomia locale, è proprio l’idea di cucina: laddove un grande kaiseki moderno garantisce sempre la leggerezza impeccabile delle singole “stazioni” del suo percorso e del suo insieme, qui, dove si propone una cucina di chiara impronta transalpina, non mancano passaggi dove la grassezza si sente e, a fine pasto, si accusa (anche se l’accorta decisione di proporre dessert di straordinaria freschezza cerca di bilanciare questo problema). Il rischio, in alcuni momenti, è che proprio la valorizzazione di questi straordinari prodotti sia più limitata dalla filosofia della cucina francese rispetto a quanto riesca a fare la cucina nipponica.

Ci sono momenti altissimi, come la Radice di loto con tartufo e brodo di pollo al ginger, non a caso il piatto più giapponese di tutti, a parte la presenza del tartufo forse perfino pleonastica, con un brodo densissimo eppure mai stancante e la radice di loto che è un capolavoro di finezza vegetale; o i formidabili dessert, capaci di valorizzare al meglio prodotti rari e pregiatissimi (la fragola di Nara è paradisiaca; il pomelo Buntan, un agrume di straordinaria freschezza, dal morso appagante con l’abbinamento di acidità e note amare in proporzioni mai provate). Ci sono, però, anche episodi meno felici come nella Patata di Hokkaido, caviale, aglio selvatico, in cui il meraviglioso tubero è meno protagonista del dovuto in un piatto dalla concezione un po’ datata e comunque già vista.

Tutto è inappuntabile sul versante realizzativo (si pensi al feuilletage dell’amuse bouche iniziale o alle straordinarie cotture alla plancia del raro akamutsu), ma ci si chiede se questa fenomenale abbinata di ingredienti e savoir faire non potrebbe arrivare ancora più in alto dando maggior peso all’anima nipponica.

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Continuamo la nostra carrellata sui luoghi che più ci hanno colpito in questo viaggio primaverile a Tokyo…

Tokyo, Passione Gourmet, Roberto Bentivegna

Altra caratteristica di Tokyo: la mediocrità non è contemplata. L’abbiamo visto sulla pizza, ma lo potremmo riproporre per altre decine di prodotti. Si studia, ci si migliora giorno dopo giorno, per cercare di raggiungere livelli di eccellenza. Il caffè ne è un altro esempio: prodotto molto amato dai giapponesi, ma in una modalità estremamente diversa da quella a cui siamo abituati. Tanti gli indirizzi cool del momento a Tokyo: Koffee Mameya o Chatei Hatou su tutti. Niente fretta, niente espresso al volo: prenditi il tuo tempo, spiega che tipo di caffè ti piace, siediti e aspetta la lenta infusione con cui viene preparato. Il caffè è servito molto lungo (deve piacere il genere) ma gli aromi sprigionati sono eccellenti. In foto il caffè di Glitch Coffee 1F 3-16 KANDA-NISHIKICHO CHIYODA-KU.

Tokyo, Passione Gourmet, Sakurai Tea

In un viaggio in Giappone, uno dei must è certamente assistere a una cerimonia del tè. Ma non meno intrigante è quello che viene proposto da Sakurai Tea: una vera e propria degustazione che ha soggetto principe il tè e le sue mille sfumature.

Degustare il prezioso tea Gyokuro preparato nel modo migliore possibile è una delle esperienze che vi consigliamo caldamente di fare. Sakurai Tea 5-6-23 Chome, Minato-Ku, Minamiaoyama.

Tokyo, sushi, mercato del pesce

Una delle richieste che ci viene spesso fatta è quella di consigliare un locale a Tokyo dove mangiare sushi non spendendo molto e senza prenotare con largo anticipo: praticamente come chiedere dove trovare un unicorno. Spazziamo il campo da ogni dubbio: i grandi Sushi-ya sono molto costosi e difficilissimi da prenotare, anche perché servono al bancone non più di 10 persone a servizio. Detto questo, a Tokyo il livello del sushi è mediamente alto, quindi anche in locali molto più abbordabili si può fare una buona esperienza, certamente superiore a quella che potrete provare in qualunque indirizzo in Italia. Le differenze con i grandi sushi-ya ci sono e sono molte (qualità del pesce, temperatura del riso, equilibrio), ma fortunatamente sono considerevoli anche le differenze di prezzo. Un esempio? Esattamente davanti all’ingresso del mercato del pesce di Tsukiji, abbiamo provato il sushi di Sei. Risultato davvero soddisfacente, per una spesa attorno ai 30 euro a persona. La nostra era una colazione, ma questo è dettaglio poco significativo.. Sei Chuo-ku, Tsukiji, 5 Chome -2-1.

Tokyo, Ohitsuzen, riso

Altra ottima soluzione per il pranzo è quella di provare l’Ohitsuzen, un particolare pasto tipico giapponese. L’Ohitsu è il recipiente in legno per conservare il riso in modo ottimale: vi verrà portato in tavola colmo di riso al vapore e sormontato da uno splendido pesce (noi vi consigliamo di scegliere l’anguilla). A latere, pasta di miso, wasabi, crackers giapponesi, gelatina di zucchero di canna, tororo (patata di montagna grattugiata), zuppa di miso.

Anguilla, Ohitsuzen, riso

Il primo modo per gustare il pasto è quello di assaggiare riso e pesce da soli. Il secondo modo si chiama ochazuke e consiste nell’inserire i vari complementi a piacere e un po’ di japanese brown tea (misto di tè verde e riso integrale tostato che si chiama genmaicha.). Infine il terzo modo consiste nell’aggiungere il tororo. Da Ohitsuzen Tanbo siamo certi godrete alla grande, per l’atmosfera tipica de locale e per la grande qualità delle preparazioni.

Ohitsuzen Tanbo:  49-5 #B1F, Jingumae, Shibuya, Tokyo.

Tokyo, Passione Gourmet, Roberto Bentivegna

Come detto, molti dei ristoranti a Tokyo sono monotematici: c’è chi fa solo udon, chi solo tempura, chi ancora solo soba. Per scovare i migliori (a parte leggere noi ovviamente!) vi consigliamo di sbirciare il sito giapponese www.tabelog.com  e vedere quali sono i migliori locali che fanno il piatto che volete assaggiare. Dopo di che armatevi di pazienza, perché nei locali di alta classifica troverete inevitabilmente delle code più o meno lunghe.

Tokyo, Passione Gourmet, Roberto Bentivegna

Noi abbiamo cercato quale fosse il miglior locale che serve Tonkatsu, la cotoletta di maiale giapponese. Quella di Narikura è attualmente (aprile 2018) la numero 1. Durante la coda vi chiederanno (anche se la comunicazione non sarà agevolissima) quale taglio volete mangiare e quale razza di maiale (vi consigliamo la pluripremiata Tokio-X).

Tokyo, Passione Gourmet, Roberto Bentivegna

Mettete in conto almeno un’oretta di attesa, ma ben ripagata.

Tokyo, Park Hyatt, bar

Non certo per la qualità dei cocktail o del food, ma per la vista mozzafiato, mettete nel vostro programma il bar del Park Hyatt per sentirsi un’oretta Bill Murray in Lost in Translation (magari la vostra Scarlett la troverete lì).

Tokyo, Sugalabo, Passione Gourmet

Dal bagno del ristorante Sugalabo si può vedere la sala mentre sbrigate le vostre pratiche idriche. Perversioni nipponiche.

Tokyo, Passione Gourmet, Roberto Bentivegna

Intrusi?

Tokyo, Passione Gourmet, Roberto Bentivegna

Intrusi?

Tokyo, Passione Gourmet, Roberto Bentivegna

Tokyo di notte