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Iyo

Iyo è l’abbreviazione del termine “UKIYO”, traducibile in italiano con “mondo che fluttua”, espressione con la quale veniva metaforicamente invocata qualsiasi forma d’arte della seconda metà del diciassettesimo secolo a Edo, ovvero Tokyo, in cui imperavano gli archetipi di mondo evanescente e bellezza fugace.
Praticamente a metà strada tra Corso Sempione e Chinatown, è il ristorante di punta della famiglia Liu, bravi e concreti ristoratori cinesi a Milano da molti anni che gestiscono con garbo, cura e professionalità questo ristorante che propone una “seria” cucina di stampo prevalentemente nipponico, con alcuni sprazzi di mediterraneità, per una proposta fusion sorprendentemente integrata con le tradizioni nostrane.
Sebbene i Liu si siano fregiati del Ba Asian Mood, un altro fiore all’occhiello nel panorama etnico cittadino -dove si può trovare una cucina cantonese contemporanea molto distante dai tanti ristoranti cinesi vecchi e stantii della città- Iyo resta decisamente il ristorante più importante della famiglia. Un posto sul quale si è investito tanto e che sta avendo un considerevole tornaconto economico, riscuotendo consensi non soltanto da parte del pubblico.
Sempre al completo a cena, quasi sempre anche a pranzo. Un successo da individuare, in primis, nella costante voglia di migliorarsi per raggiungere livelli che, in questo ambito di proposta, sono, anche in una città cosmopolita come Milano, ancora una rarità.
La prima volta che ci mettemmo piede, circa quattro anni fa, il locale era strapieno, ma la cucina ci era apparsa come una fotocopia (con)fusion del ristorante modaiolo giapponese con proposte di sushi e roll abbastanza occidentalizzate, come se ne trovavano a centinaia.
L’evidente evoluzione riscontrata nel corso degli anni è partita da una significativa ristrutturazione dei locali tecnici che hanno visto l’ampliamento della cucina e l’installazione di un angolo dedicato al robatayaki, con braciere a vista, per preparazioni da tradizionale barbecue giapponese. Ma la peculiarità di questo locale sta proprio nella diversa offerta “fusion” che fonde la tradizione asiatica con quella del Bel Paese, risultato dell’azzeccata collaborazione tra Lorenzo Lavezzari (cuoco ai fornelli) e l’esperto Haruo Ichikawa (che officia il banco crudi e coordina i sushi men), tra i quali è avvenuto un prezioso scambio di idee gastro-culturali che hanno dato un impulso qualitativo e distintivo alla cucina.
Un’idea della stessa è riassunta nel piatto “To.Ca.Mi”, concepito a quattro mani e vincitore del premio della critica al “Girotonno 2013”, importante manifestazione che si tiene in tarda primavera a Carloforte. Una preparazione evocativa incentrata sulla preparazione del tonno rosso in tre luoghi: si parte con la purezza del nigiri con wasabi e del tonno scottato in omaggio a Tokyo, città natale di Ichikawa, si passa a Carloforte, uno dei luoghi simbolo della mattanza, con la tartare con agrumi e si chiude con una interpretazione fusion – in omaggio ai gusti cittadini della metropoli lombarda – con la ventresca scottata, anguilla grigliata, salsa teriaki e pasta kataifi croccante. Un breve ma didattico viaggio intorno al pesce più inflazionato del Mondo, in una interpretazione che non ci ha comunque lasciati indifferenti.
I “kobachi”, ossia gli antipastini dello chef, restano le preparazioni che meritano più attenzione rispetto a sushi e sashimi che denotano, comunque, una buona qualità del pescato. Buoni anche i ramen, fatti in casa, e ben eseguiti gli yakitori.
Lascia sorpresi in positivo anche il reparto dolciario, fino a poco tempo fa commissionato in toto al mediatico Ernst Knam ed ora in fase di ulteriore sviluppo, con il pasticcere tedesco che si limita ad una consulenza che supervisiona e migliora le idee degli chef.
Ci piace Iyo, ci piace per la costanza, la professionalità, ma anche perché è uno dei migliori ristoranti giapponesi che ci sono in Milano.

Banco sushi all’opera.
sushi, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Il primo kobachi: capasanta tar tar. Carpaccio di capasanta marinata alla soya con pomodoro e yuzu.
kobachi, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Il To.Ca.Mi.
tocami, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Freschissimo scampo marinato al frutto della passione.
scampo, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Una selezione di gunkan (i sushi bignè):
Iyo style, con salmone all’esterno, uova di quaglia, ikura, erba cipollina, tobiko; zucchina scottata all’esterno, tartare di gambero, tobiko, maionese.
gunkan,Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Qualche nigiri per testare temperature del riso e materia prima. Esame superato.
nigiri, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Interessante la preparazione degli udon. “Yaki soba”: spaghetti di grano saraceno con gamberi e verdure nel quale l’intrigante tocco affumicato del katsuobushi conferisce una bella vivacità.
udon, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Uramaki con tempura di fiore di zucca, tonno e salsa al wasabi, meno interessante del resto.
uramaki, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Correttamente eseguito lo Yakitori, spiedino di pollo alla piastra con salsa teriyaki.
yakitori, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Interessante e fresco il dessert, molto occidentale: gelatina al mango, panna cotta al frutto della passione e persistente cannolo allo yuzu.
dessert, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Una statua all’interno.
statua, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Dettagli.
dettagli, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano
Ingresso.
ingresso, Iyo, chef Haruo Ichikawa, Milano

Metti che la saudade del Giappone non ti lasci in pace un secondo.
E quindi, dopo il tuo ritorno, trascorri ogni santo sabato a cercare invano di risentire quei profumi, intensi e pervasivi. Quell’aria, ora così distante, che è diventata familiare. Quella sensazione di stomaco leggero, non appesantito da grassi, appagato dal gusto e dalla delicatezza eterea di infinite preparazioni golose.
E allora capita che ti fai guidare dall’istinto e non dalla solita classifica di ristoranti etnici costruita da persone che mai hanno messo piede in quel paese.
L’istinto questa volta ha il nome e il volto di un amico a cui, sbagliando, non dai mai retta quando ti consiglia un ristorante. Poi, dopo l’ennesima segnalazione, ti informi, leggi, scorri qua e là e scopri che questa chef donna (già di per se una novità per la cucina del Sol Levante) è stata per anni la sous chef di Nobu. E allora ti fiondi, incrociando le dita, e scopri che anche a Milano si può mangiare un buon sushi.
Creativo, contemporaneo. Come tutti i piatti di questa graziosa e delicata chef. Che però sa il fatto suo quando deve preparare il riso per il sushi o quando deve pensare le proporzioni tra pesce e riso. Oppure quando deve condire e contaminare, con eleganza e tocco femminile. Delicato ma persistente.
E ti lasci affascinare anche da quel piatto di Udon, che mai avresti pensato di trovare così buono e ben fatto a Milano, e da quei ravioli di verdure, delicatamente conditi e piacevoli.
Al momento del dessert ti fai tentare dal solito sorbetto di the verde, ma scorgi anche una novità a queste latitudini. Un gelato al Mochi che ti schiuderà il cuore e ti riporterà in Giappone, di corsa. Evviva!
E ne varrà la pena passare del tempo e faticare per prenotare, perchè i 20 posti scarsi di questa piccola bomboniera sono quasi sempre pieni a pranzo e a cena. Ma tentate, ne vale davvero la pena.

Mise en Place
Yuzu, Chef Yoko Matsuda, Milano
Uno scorcio.
Yuzu, Chef Yoko Matsuda, Milano
Roll con tonno, tobiko, avocado, salmone, daikon e salsa yuzu.
Roll, Yuzu, Chef Yoko Matsuda, Milano
Cono (temaki) con tonno e avocado.
cono, Yuzu, Chef Yoko Matsuda, Milano
Ravioli di verdure in salsa di soia.
ravioli, Yuzu, Chef Yoko Matsuda, Milano
Il fantastico sushi misto, con salse ed abbinamenti (e alcune cotture alla fiamma) interessanti. Notare proporzione tra pesce e riso.
sushi misto, Yuzu, Chef Yoko Matsuda, Milano
sushi misto, Yuzu, Chef Yoko Matsuda, Milano
nigiri, Yuzu, Chef Yoko Matsuda, Milano
Gli ottimi tempura Udon.
Tempura Udon, Yuzu, Chef Yoko Matsuda, Milano
Tempura udon, Yuzu, Chef Yoko Matsuda, Milano
Tonno, sesamo, gambero fritto…
tonno, Yuzu, Chef Yoko Matsuda, Milano
Mochi Gelato, ottimi.
mochi, Yuzu, Chef Yoko Matsuda, Milano
Gelato al the verde.
gelato, Yuzu, Chef Yoko Matsuda, Milano

Un gourmet in viaggio di piacere in Giappone può recarsi in questo anfratto della stazione della metropolitana di Ginza per un solo motivo: il mitico Sukiyabashi Jiro è proprio qui, sul fondo nella foto d’apertura.
Noi, però, indefessi, siamo riusciti a trovarne un altro.
Il dirimpettaio del Gran Maestro del sushi è Bird Land, uno dei mille e più yakitori di Tokyo, con una peculiarità: la Michelin lo premia con una stella.
Ristorante specializzato in spiedini di pollo.
Solo pollo in tutte le varianti possibili.
La curiosità è tanta, non solo di sushi e manzo Kobe si vive.
Seduti all’amato bancone (è uno degli aspetti più belli di un viaggio nel Sol Levante godersi a tutto tondo l’ars coquinaria), ammiriamo una splendida brace dove lo chef con un paio di aiutanti adagia e volta con precisione decine di spiedini.
Gli animali utilizzati, di razza okukuji, provengono da una fattoria biologica di Ibaraki.
La materia prima utilizzata è di buon livello, ma il nostro percorso è un susseguirsi altalenante di sapori, non un crescendo.
Si parte forte con il petto al wasabi che, in gran quantità, sovrasta la carne, pur succulenta.Il palato viene annichilito. Peccato.
Poi fegato, pelle del collo (croccante e saporita), ventriglio, salsicce, sovraccoscia teriyaki al coriandolo, coscia con porri.
Il tutto intervallato, senza un apparente filo logico gustativo, da ginkgo nuts, funghi shiitake e uova con riso.
Di parti nobili, quindi, ne avrete ben poche, le interiora la faranno da padrone, ma, a questo prezzo, è lecito pretendere di più.

Avrete la sensazione di gustare cibo di strada, come ne potrete trovare in millanta luoghi della capitale, senza una particolare spinta gustativa od emozionale, ad un costo decisamente superiore.

Non è un’esperienza esaltante, onestamente, anche se può essere un piacevole diversivo del vostro tour gastronomico; l’importante è non approcciarsi con grandi aspettative, bensì con animo disincantato, per un piacevole gioco culinario nell’universo del frequentemente bistrattato pollo.

Chef all’opera.
chef, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Appetizer: ventriglio in gelatina, peperoncini verdi, pelle laccata, funghi.
appetizer, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Secondo appetizer: patè di fegatini.
patetico di fegatini, appetizer, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Petto con wasabi (decisamente coprente).
petto con wasabi, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Fegatini.
fegatini, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Pelle del collo.
pelle del collo, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Ventrigli.
ventrigli, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Gingko (consistenza simile ai nostri fagioli, leggermente amarognolo).
gingko, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Polpette.
polpette, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Pollo teriyaki con coriandolo, perfettamente cotto.
pollo teriayaki, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Funghi shiitake.
funghi shiitake, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Coscia e porri.
coscia e porri, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Uovo a mo’ di frittata con riso.
uova, frittata, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Meloni.
meloni, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone
Mise en place.
mise en place, Yakitori Bird Land, Tokyo, Giappone

Sushi Mizutani, Hachiro Mizutani, Tokyo

Un ristorante giapponese in cui vietano di fare le foto?
Sembra un ossimoro, ma abbiamo sperimentato anche questo nel nostro viaggio.
Impossibile ottenere una deroga da Sensei Hachiro Mizutani.
Eppure il grande Sushi Master dovrebbe essere rodato alle pubbliche relazioni, avendo un palmarès di tutto rispetto (27imo ristorante per l’Asia best 50’s e 3 stelle Michelin).
Allievo prediletto del grande Jiro, oggi leggenda vuole che nominare il Maestro in sua presenza provochi irritazioni cutanee in lui e di riflesso nei suoi avventori.
Quando si parla di grandi interpreti del sushi, quello di Mizutani è un nome obbligato.
Tanti giovani stanno salendo alla ribalta della scena di Tokyo, su tutti Saito e il suo imprenotabile sushi bar (è l’unico della nostra lista in cui non siamo riusciti a ottenere un posto), ma mostri sacri come Jiro Ono e Hachiro Mizutani continuano a restare al top e a dividere la clientela giapponese e internazionale.
Per alcuni Jiro è inarrivabile e, nonostante il particolare trattamento a cui si è sottoposti nel suo ristorante (si cena in non più di 30 minuti), continuano a ritenerlo l’unico vero Maestro di sushi giapponese.
Un’altra fazione vede invece in Mizutani il suo faro: certamente su questo giudizio incide molto il diverso concetto di ristorazione praticato da Hachiro-san. Da Mizutani i tempi sono molto più dilatati a anche lo chef è molto più disponibile a scambiare battute con i suoi clienti (soprattutto con i connazionali): insomma, un ristorante un po’ più classico, dove rilassarsi e passare una bella serata.
Soffermandoci sul solo sushi, è abbastanza chiaro quale abbia incontrato maggiormente la nostra preferenza in questo viaggio (basta vedere le differenze di voto).
Ma di una cosa siamo assolutamente certi dopo queste diverse esperienze: le differenze tra una casa e l’altra possono essere abissali e non solo per la qualità degli ingredienti utilizzati.
Mizutani propone una idea di sushi estremamente tradizionale, probabilmente più in linea con la tradizione millenaria espressa dalla cultura e dalla cucina giapponese, con al suo centro la filosofia Kaiseki, che impone armonia, contrasti lievi, sapori tenui e molto delicati.
Parliamo del riso: quello di Sensei Mizutani è quasi scotto, compatto, farinoso, poco acidificato e di temperatura più fredda rispetto ad altri. Un abisso rispetto a quello di Jiro per esempio, molto più acido e sgranato. Ma anche enormemente diverso da quello di Kyubei, solo per citare l’esempio del suo vicino di palazzo.
Questa caratteristica a qualcuno potrebbe anche piacere, potendo rappresentare un veicolo più neutro ed adeguato alla materia prima che lo sovrasta.
Per noi non è così: abbiamo trovato molto più efficace il riso acido, compatto ma sgranato, capace di emozionare nel suo connubio mistico con il pesce.
Da Mizutani i sapori sono molto più dosati e, a nostro parere, anche l’esperienza ne risente in maniera significativa. Anche l’uso del wasabi è molto più leggero.
Quella che rimane grandissima è la qualità degli ingredienti (abbiamo mangiato qui il migliore otoro – tonno molto grasso – del viaggio). Così come le movenze ipnotizzanti di un grandissimo Maestro, che taglia il pesce e prepara i pezzi sempre e solo in prima persona: questo è sempre uno spettacolo nello spettacolo nei grandi locali sushi giapponesi che qualsiasi catena non potrà mai uguagliare.
Curioso scoprire che in Giappone hanno i nostri stessi problemi: i giovani si abituano al gusto dei fast food di sushi e non conoscono più la vera arte del sushi Master. Il sushi autentico non sanno nemmeno cosa sia e anche questo mestiere va scomparendo per i grandi sacrifici che richiede.
I danni dell’omologazione del gusto evidentemente non hanno confini.
Un buon maestro di sushi osserva le abitudini alimentari dei suoi clienti , rendendo i pezzi più teneri per chi mangia con le dita, più compatti per quelli che usano le bacchette in modo che un pezzo non si sminuzzi una volta immerso nella salsa di soia. Un buon maestro di sushi è completamente dedito al suo cliente e non delegherà mai il suo lavoro a un apprendista.
Mizutani fa parte di questa categoria, quella dei grandissimi.
Se avete una sola cartuccia da sparare, probabilmente è meglio che spostiate la mira nei sotterranei della metropolitana di Ginza, ma se avete voglia di farvi una idea più chiara di quanto variabile possa essere il sushi a Tokyo, questo è l’indirizzo che fa per voi.

Difficile, come per la gran parte dei ristoranti in giappone, trovare l’entrata.
Anche qui in un piano di un anonimo palazzo del centro di Ginza
Eccovi l’insegna, non scordatela!
Sushi Mizutani, Hachiro Mizutani, Tokyo
L’ingresso con, sullo sfondo, i trofei…
Sushi Mizutani, Hachiro Mizutani, Tokyo
Una foto si, ma solo sua…
Sushi Mizutani, Hachiro Mizutani, Tokyo

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Shinji Kanesaka è, probabilmente, il Sushi Master più giovane di Tokyo.
Ciò nonostante, nel corso della nostra cena, con il suo secondo Sanpei san, ha dimostrato non solo una grandissima maturità e manualità nello sfilettare e servire una meravigliosa materia prima, ma anche di essere affabile e partecipativo (a differenza di alcuni suoi colleghi di fama mondiale) con noi, unici gaijin seduti al bancone.
Qui, come in tutti i migliori sushi bar, non avrete la possibilità di selezionare ciò che più vi aggrada (non esiste un menu), ma semplicemente, all’atto della prenotazione, comunicare per quale dei due omakase (20.000 e 30.000 yen) optate.
Nessuna paura, state pur certi che Shinji san comprerà quanto di meglio lo Tsukiji avrà da offrire la mattina della vostra visita.
Il percorso inizia con alcune preparazioni di sashimi e di pesce cucinato, di straordinaria qualità.
Il tonno in Giappone ha un’aura di sacralità, i migliori esemplari vengono acquistati per decine di migliaia di euro, ed ogni sua parte viene utilizzata, dando vita a molteplici preparazioni.
L’essenza della cucina di pesce giapponese è data dalla semplicità delle ricette e dalla perfezione del gesto. Pochissimi ingredienti, a volte solo un paio, sublimano talvolta in divini bocconi. Esempio fulgido è la guancia di tonno leggermente cotta nella soia, consistenza e sapore da andar fuori di testa.
La gioia può essere anche un semplice pesce amabilmente grigliato, o dei gamberetti crudi di eterea consistenza.
Poi c’è il sushi.
Dopo aver visitato alcuni tra i massimi esponenti del genere è davvero difficile dire, con assoluta certezza, quale sia il migliore.
Tutti si contraddistinguono per l’utilizzo di una materia prima stratosferica; le differenze principali risiedono nel taglio (la manualità è tutto) del pesce e nella qualità e condimento del riso.
Kanesaka ama servire il riso tiepido, per esaltare i profumi, e ben sgranato, così da distinguere ogni singolo chicco, seppur mirabilmente reso compatto in un armonico insieme. Il riso è condito, ma non troppo, l’aceto si sente, ma anche no.
Non avrete bisogno di intingere il boccone nella soia, il master prima di servirlo lo avrà già lucidato con un paio di pennellate.
Anche il wasabi, lontano anni luce da quanto ci propinano i “giappo” nostrani, grattugiato al momento, fa bella mostra di sé tra il riso ed il pesce, gentilmente dosato. Si incunea nelle narici per poi svanire in un attimo. Fa parte del gioco.
Impugnate le bacchette, cingete la polpettina e portatela alla bocca. Chiudete gli occhi ed assaporate. Tante le sensazioni che si susseguono al palato. Ciò che meraviglia è l’armonia tra i vari elementi.
È anche questione di proporzioni, ed allora la copertura ittica è ben bilanciata e non sovrasta il riso, e viceversa.
Sedete al bancone, mi raccomando, godere della gestualità di chi prepara dinanzi a voi vale il costo del biglietto.
È come una danza, la cura della sfilettatura, l’abilità con cui il riso viene maneggiato strabilia.
L’anguilla di mare laccata unagi e tamago a completare un pasto di grande spessore.
Conto di conseguenza, con il solo totale scritto a matita su un mini foglietto. Non aspettatevi la ricevuta, perché qui in Giappone è la prassi.

Mise en place
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Gamberetti e ricci di mare
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Bonito marinato nella soia con insalatina
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Guancia di tonno nella soia. Spaziale
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Zuppa di vongole
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Particolare
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Soto fish
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Yellowtail
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Tonno (Akami maguro)
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Tonno (O-toro). Burroso ed intenso. Difficile da descrivere la bontà della parte più pregiata del tonno
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Horse mackarel
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Capasanta
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Tekamaki. Roll di alga nori ripieno di riso e tonno (chu-toro). Alga croccante, da gustare come un panino, con le mani. Di grande bontà
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Sea eel (Unagi) e tamago
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Ingresso del palazzo
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Sottoscala
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Sala e bancone
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