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Confronto tra 16 Top Bordeaux

Il Campionato dei Grandi

Come mettere a confronto 16  bottiglie di Bordeaux Premier Cru di diverse etichette  e di diverse annate, per decretarne la migliore? Ho scelto una formula che mi è parsa divertente, quella del Campionato del mondo di calcio usata anche in  Champions League: quattro gironi all’italiana di singole verticali su 4 annate della stessa etichetta e poi la fase ad eliminazione diretta con le prime due in finale. E un ultimo tocco, per rendere il tutto davvero speciale, un divertente confronto del vincitore con un outsider in blind tasting.

I quattro gironi

Appuntamento dall’amico Alessandro Pipero presso il suo ristorante stellato di Roma. Otto partecipanti: oltre a Paolo Lauciani (FIS Roma) a fare da anfitrione, i grandi amici Orazio, Mario, Gianluca, Giorgio, Barbara e Agnese.

L’emozione di stappare queste sedici icone di Bordeaux uscite dalla mia cantina privata era immensa. Per non sbagliare, al cavatappi l’abilissimo Roberto Zitelli che con maestria unica ha salvato un paio di bottiglie dai loro tappi segnati dall’età. Tutte le bottiglie erano perfette.

Chateau Latour

 

Chateau Mouton

 

Chateau Lafite

 

Chateau Haut-Brion

 

La fase finale

I primi due dei quattro gironi.

Il meraviglioso Latour 1966 (voto 97) – vino maschio, con le sue note di tabacco e grafite – così come il grandioso Mouton 1959 (voto 96) – vino integro e perfino austero con note affumicate e di mentolo – non passano le rispettive semifinali. La finale al cardiopalma regala un testa a testa fra i due colossi rimasti a contendersi il titolo: il Latour 2003 – che ha sorpreso tutti per quell’annata mai valorizzata abbastanza e foriera di piacevoli note di tartufo ed anice stellato (voto 98) – e il capolavoro di Pauillac nell’annata 1982 con un Mouton da leggenda (voto 99). Un vino, quest’ultimo, ancora giovane, ricco di tabacco e rabarbaro e, per usare l’espressione molto azzeccata di Paolo Lauciani, “gravido” di cassis, con una potenza incisiva, un finale lunghissimo e un intrigante retrogusto di menta, tabacco e liquirizia.

Chateau Mouton 1982, il vincitore

Tra un campione e l’altro, qualche pausa con calici freschi a base di uno strepitoso Dom Perignon Oenotheque 1995, perfetto esempio di equilibrio degli opposti, e di uno Chassagne-Montrachet di Ramonet 2014 floreale, balsamico, minerale, intenso e teso come una corda di violino.

La sorpresa (anzi, le sorprese)

Come poteva mai finire una serata così, se non cercando di smorzare la tensione accumulata durante la degustazione di questi sedici mostri sacri? Beh, a me piace la provocazione e quindi ho deciso di concludere con una chicca… Un’ ultima bottiglia da servire alla cieca, per rilassarsi e finire in bellezza. Concentrato, intenso e sfaccettato, con un gusto che ha un che di bordolese. La bottiglia “misteriosa” era un Vega Sicillia Unico – Riserva Especial nel blend 1990-1991-1994. Giocare a indovinare a fine serata è stato molto divertente e qualche amico intraprendente è anche arrivato molto vicino a svelare l’ospite misterioso!

Per concludere, l’amico Gianluca ci ha deliziato con una bottiglia degna di una serata d’onore. Un Yquem 1950 semplicemente perfetto, dal tipico naso di buccia di arance amare, zafferano e frutta candita, con una  dolcezza suadente  che invita al sorso  successivo. Quale miglior bicchiere della staffa!

Passione diVino

Tutti i componenti della squadra Passione Gourmet sono appassionati di vino. Alcuni di noi, oltre che cultori, ne sono diventati anche profondi conoscitori. Non solo il vino ci piace, ma è per noi argomento di conversazione, informazione, confronto e riflessione. Abbiamo quindi pensato di arricchire i nostri contenuti con una sezione interamente dedicata al Nettare di Bacco.

In particolare, attraverso alcune rubriche daremo voce a esperti, produttori, appassionati e sommelier al fine di esplorare la cultura del buon bere da punti di vista assai diversi ma tutti legati all’altra metà del pasto. Vediamo quali…

Parola al Sommelier sarà lo spazio dedicato ai professionisti di sala, che ci condurranno alla scoperta di zone, suggestioni, sapori e, ovviamente, vini, visti con gli occhi di chi i vini li sceglie, li beve, li racconta, li accosta e li serve quotidianamente.

Wine News sarà, invece, appannaggio di esperti commentatori, critici e rappresentanti del mondo del vino che ci racconteranno di degustazioni, eventi, tendenze, e curiosità legati al mondo del vino e all’ecosistema che lo circonda.

Ma il nostro mondo è fatto anche di collezionisti. Con Dream Wines daremo loro modo di raccontarci e trasmetterci le emozioni derivanti dalla condivisione di quei vini che per bontà, rarità, notorietà e singolarità rappresentano un po’ il sogno di ogni bevitore.

Last but not least, con Wine Notes gli autori della nostra redazione potranno raccontarci, attraverso le loro note di degustazione, i vini che hanno assaporato.

L’intera sezione sarà curata da Orazio Vagnozzi, appassionato, cultore, girovago e collezionista.
Guru? Vedremo.

Andrea Grignaffini, Alberto Cauzzi e Orazio Vagnozzi

Il food pairing nell’alta cucina, in collaborazione con Bonaventura Maschio

Eccoci giunti all’ultima puntata di Gente di Spirito, rubrica che ci ha accompagnato a spasso per lo stivale alla ricerca di sommelier o bartender che inseriscono dei cocktail nel percorso di abbinamento al calice del loro ristorante.

Chiusura con il botto: siamo a Milano, in una delle strutture più lussuose della città. Il primo e finora unico Mandarin Oriental aperto in Italia, a due passi dalla Scala e dal cuore del centro cittadino. Siamo andati a trovare Teo Rizzolo, Head Mixologist del Mandarin Bar & Bistrot e di Seta, il prestigioso ristorante dello Chef Antonio Guida, che non necessita di ulteriori presentazioni.

Classe 1982, si diploma al Carlo Porta di Milano nel 2000. Inizia a muoversi in svariati ristoranti ed hotels di Milano, per poi approdare nel 2007 al bancone del Nottingham Forest di Dario Comini, dove resta fino al 2013. Lascia il Nottingham per partecipare all’apertura del 1930, all’inizio del 2013. Poi due anni al Bamboo Bar dell’Armani Hotel, come head bartender. Ora da quasi due anni è head mixologist all’interno del Mandarin Bar & Bistrot, al Mandarin Oriental Milano.

Raccontaci come hai iniziato ad abbinare dei cocktail ai piatti nel tuo ristorante.

Il nostro lavoro vive grazie a un costante flusso creativo. L’idea di abbinare i cocktail ai piatti dello Chef Antonio Guida nasce sicuramente dalla mia curiosità verso il lavoro di uno Chef così talentuoso, e sicuramente dal mio desiderio di imparare il più possibile dal suo processo creativo. Se aggiungiamo anche la spinta ad uscire dagli schemi per regalare esperienze sempre nuove ai nostri ospiti, ecco che la risposta è semplice e arriva quasi in automatico.

Come reagiscono i clienti alla proposta, durante il pranzo o la cena, di uno o più cocktail abbinati?

Ultimamente stiamo riscontrando un interesse sempre maggiore degli ospiti nei confronti della miscelazione, degli ingredienti, della storia e del lavoro che c’è dietro a ogni singolo cocktail. Per questo la maggior parte delle volte sono intrigati dalla possibilità di abbinare un piatto a un cocktail, curiosi della genesi e delle motivazioni dietro gli abbinamenti, ma soprattutto entusiasti del risultato finale.

Qual è secondo te la parte più intrigante ed il rovescio della medaglia del Food Pairing con i cocktail?

La parte più intrigante del pairing con i coktail è sicuramente la commistione tra cucina e mixology, e la sorpresa nello scoprire la riuscita di abbinamenti inediti, dopo aver superato il momento più impegnativo, che è quello di far funzionare insieme le diverse temperature, quelle più calde del piatto insieme alle più fredde del drink.
Quanto al minus, ritengo che se il pairing è percepito ancora come un “esperimento” che tarda a decollare del tutto, è anche a causa del pensiero comune che vuole che i cocktail debbano per forza essere tutti molto alcolici, e che quindi una cena con cocktail abbinati “…no, non la reggo!”. L’inverno scorso con lo chef Guida abbiamo organizzato una cena dove a una serie di suoi piatti abbinavo dei cocktail a base di cognac, e sono usciti tutti felici e sulle proprie gambe. Gli scettici che pensano “cocktail = gradazione eccessiva” dovrebbero provare un’esperienza del genere: perché è vero che esiste Sua Maestà il Martini Cocktail, ma la forza dello Spritz – ma ce ne sono molti altri – è che è beverino ed è nato proprio per chi vuol stare leggero (o chi vuol seguire una moda, ma questo è un altro discorso…)

Opposite Cuban Manhattan

La base di partenza di questo cocktail è quella di un classico Cuban Manhattan, rivisto in chiave opposite inserendo nella ricetta degli ingredienti gustativamente “opposti” rispetto a quelli del cocktail classico. Il maraschino si pone a metà strada a fare da trait d’union, come una sorta di attrazione tra i due opposti.

Ricetta – powered by Bonaventura Maschio:

20 ml di Botran Reserva Blanca
20 ml di Botran Reserva 15 anni
10 ml di vermouth dolce all’uso di Torino
10 ml di vermouth secco francese
1 dash di angostura
1 dash di bitter al cioccolato
1 dash di maraschino

Procedimento:

Versare tutti gli ingredienti in un mixing glass precedentemente raffreddato. Aggiungere ghiaccio a cubetti e raffreddare per 30 secondi. Versare in una coppa da cocktail ghiacciata e finire con il profumo di una scorza d’arancia strizzata in superficie.

Questo drink è servito in abbinamento con il piatto “Ostriche con patate, peperoni friggitelli e salsa allo Champagne” dello chef Antonio Guida.

Il food pairing nell’alta cucina, in collaborazione con Bonaventura Maschio

Continuiamo con le nostre monografie di Gente di Spirito, la serie di articoli che dona voce ai sommelier che inseriscono dei cocktail nel loro percorso di abbinamento al calice.

Siamo partiti dalla Campania, da Alfredo Buonanno di Kresios, passando da Regis Ramos Freitas di Undicesimo Vineria, a Treviso. Torniamo ora in Campania, nel cuore della costiera sorrentina, dove si trovano un elegante hotel, una tavola recentemente stellata e un esclusivissimo cocktail bar. Siamo a Sorrento e parliamo di un’unica struttura: l’Hotel Majestic Palace, il suo ristorante Don Geppi e il nuovissimo cocktail bar aperto da qualche mese, Dry Martini (il primo ed unico aperto sul suolo italico).
In questa terza puntata di Gente di Spirito abbiamo fatto due chiacchiere con il General Manager di questa prestigiosa struttura, il vulcanico Lucio D’Orsi, maître, sommelier, barman ma soprattutto grandissimo appassionato di cucina, vini e spirits.

Classe 1979, D’Orsi inizia il suo percorso presso l’alberghiero di Castellammare di Stabia, dove partecipa fin da piccolo a diversi concorsi di miscelazione e bartendering, ottenendo diversi riconoscimenti. Continua i suoi studi in Svizzera, lavorando e studiando in diverse strutture del Cantone Francese.
Tornato in Italia, inizia a lavorare per la catena IHG come primo Barman e poi come Bar Manager. Diventa dopo pochi anni Food & Beverage Manager, dopo aver fatto esperienza anche come Primo Maître. La sua passione e determinazione lo portano a diventare formatore, consulente ed esperto in start up, nonché punto di riferimento nell’ambito del Food & Beverage.
Dal 2010 inizia il suo percorso professionale al Majestic Palace Hotel, dov’è attualmente il General Manager e dove la sua passione per la ristorazione portano all’apertura nel 2014 del Don Geppi Restaurant (stella Michelin dal 2015) e all’apertura, il 30 maggio 2018, del primo Dry Martini by Javier de las Muelas d’Italia.

Raccontaci come hai iniziato ad abbinare dei cocktail ai piatti nel tuo ristorante.

La mia “storica” passione per la miscelazione mi ha portato negli anni ad ampliare gli orizzonti anche verso il food pairing, abbinando ai piatti differenti tipologie di cocktails e viceversa. Le prime proposte al Don Geppi sono state pensate in abbinamento a tutta la linea dei nostri dessert, poi pian piano siamo passati ai piatti salati. E’ già da molto tempo che al Don Geppi serviamo cocktail (tanto che molti amici sommelier ci chiedevano consigli in merito…) e negli ultimi mesi il Dry Martini ha fatto il resto. Infatti da giugno, data in cui è entrato in servizio il nuovo cocktail bar, le richieste di pairing da Don Geppi sono aumentante a dismisura…

Come reagiscono i clienti alla proposta, durante il pranzo o la cena, di uno o più cocktail abbinati?

Quando un cliente decide di affidarsi a me per il percorso di abbinamento al calice, sono solito chiedergli se vuole che vengano inseriti anche dei cocktails nel percorso. Forse un po’ per questo nostro essere precursori nel servizio dei cocktail al tavolo, o certamente come già detto anche grazie al blasone del nostro cocktail bar, quasi la totalità dei clienti sono alquanto incuriositi ed accettano di buon grado la mia proposta. 

Qual è secondo te la parte più intrigante ed il rovescio della medaglia del Food Pairing con i cocktail?

La parte più stimolante è indubbiamente la ricerca dell’equilibrio perfetto tra il drink ed il piatto abbinato: considerando l’elevato numero di ingredienti presenti in ciascun cocktail, le possibilità sono innumerevoli rispetto al vino, ma di contro sono molte le possibilità di sbagliare… insomma, è senza dubbio una sfida affascinante. Il rovescio della medaglia è quello arcinoto: il timore di alcuni clienti di bere spririts anche durante il pasto, rischiando quindi di portare il tasso alcolemico ben oltre il consentito.

Da Vinci

Questo cocktail viene abbinato al piatto per le sue innumerevoli caratteristiche: la prima è la presenza delle bollicine, che permettono di riequilibrare il palato dopo aver mangiato una frittura. In seconda battuta l’amaro che, con le sue sfumature, va ad esaltare le erbette presenti all’interno delle alici. Infine importante la presenza del lampone, che con le sua acidità, pungenza e dolcezza iniziale fa da legante a tutti gli ingredienti del cocktail, che trovano nella sapidità del piatto il massimo equilibrio per il palato.

Ricetta – powered by Bonaventura Maschio:

1 cl di Galliano
1,5 cl di Sciroppo di lamponi
2,5 cl di Vermouth rosso
2 cl di Amaro Pratum
10 cl di Ca’ Bertaldo Brut

Procedimento:

Inserire tutti gli ingredienti -eccetto Ca’ Bertaldo Brut- in uno shaker, quindi agitare e versare il tutto in double strain in una bottiglina da sake. Versare Ca’ Bertaldo Brut in un calice da vino con ghiaccio cristallino, una foglia di basilico e mezza fetta di pompelmo rosa. Al momento del servizio al tavolo, versare il contenuto della bottiglina direttamente nel bicchiere.

Questo drink è servito in abbinamento con il piatto “Alici in porchetta con maionese alla curcuma e lische croccanti” dello chef Mario Affinita.

 

Il food pairing nell’alta cucina, in collaborazione con Bonaventura Maschio

Seconda monografia di Gente di Spirito, la nostra serie di articoli che dà voce ai sommelier che inseriscono dei cocktail nel loro percorso di abbinamento al calice.

Dopo essere andati in Campania da Alfredo Buonanno di Kresios, puntiamo i navigatori decisamente più a nord, verso il cuore del triveneto: per questo secondo episodio abbiamo intervistato uno dei sommelier che più ci ha fatto divertire al tavolo negli ultimi anni, con un pairing davvero eccezionale per qualità e riuscita: stiamo parlando di Regis Ramos Freitas, il vulcanico sommelier di Undicesimo Vineria, il ristorante trevigiano di Francesco Brutto.

Il suo primo contatto professionale con il mondo del cibo è stato nelle osterie trevigiane, prima come cameriere e poi come gestore, per ben 7 anni, di una storica insegna in centro. Nello stesso periodo – il 2005 – si diploma sommelier e studia teatro, attività ritenuta per lui fondamentale per la propria formazione come uomo di sala.
Nell’ottobre del 2014, dopo l’estate passata come sommelier al ristorante Venissa, apre insieme a Francesco Brutto Undicesimo Vineria… e poi tanti, ripetuti assaggi e degustazioni!

Regis, raccontaci come hai iniziato ad abbinare dei cocktail ai piatti nel tuo ristorante.

L’idea di un cocktail in abbinamento nasce dalla necessità, per me fondamentale, di servire al cliente una bevanda che si accordi perfettamente con il piatto. Cerco sempre soluzioni nel mondo del vino, ma a volte i piatti di Francesco mi portano verso altre suggestioni, altri ricordi, e mi conducono verso differenti registri. Così è successo in primis con il piatto dei tortellini di tamarindo fermentato, doppia panna ed angostura al quale una volta finita l’annata 2014 del rosato di Massa Vecchia (il primo abbinamento a quel piatto) ho creato un altro abbinamento, il miscelato di vermouth e rose.

Come reagiscono i clienti alla proposta, durante il pranzo o la cena, di uno o più cocktail abbinati?

Certamente all’inizio molti sono spiazzati, visto anche che l’abbinamento al calice che propongo è alquanto ampio. Ma man mano che si procede tendono a lasciarsi andare, a fidarsi. Me ne accorgo spesso anche dal modo con il quale il cliente tiene in mano il cocktail: una volta superato lo scetticismo iniziale sono molto più rilassati, arrivando a vedere il drink come una specie di pausa nel percorso.

Qual è secondo te la parte più intrigante ed il rovescio della medaglia del Food Pairing con i cocktail?

Credo che servire un cocktail in abbinamento ad un piatto, quando il pairing è ben riuscito, abbia un valore che riesce ad andare oltre la “semplice” armonia tra il piatto e la bevanda, poiché inserendo una novità si rende il percorso più sfaccettato e divertente. La difficoltà in questo tipo di abbinamento è il grado alcolico, che spesso è maggiore rispetto al calice di vino e quindi bisogna prestare attenzione a non eccedere.

La Islay che non c’è

Il cocktail descritto è un’evoluzione di un drink già proposto in passato da Regis, qui pensato per l’abbinamento ad un dessert di Francesco. La versione originale prevedeva un whisky delle Islay con un marcato sentore di torba e di iodio, che in questa veste vengono messi da parte in favore dei toni più caldi e morbidi di un whiskey irlandese e del mezcal.
Da qui nasce il nome “La Islay che non c’è“, richiamando in maniera scherzosa l’isola di Peter Pan.

Ricetta – powered by Bonaventura Maschio:
6 cl di Whiskey Kinahan’s L.L. Small Batch
1,5 cl di Sciroppo di tamarindo Erba
1 cl di Mezcal Miel de Terra reposado

Procedimento:

“Avvinare” la coppetta da cocktail con il mezcal, quindi riempirla di ghiaccio. Mentre la coppetta si raffredda, shakerare energicamente e con tanto ghiaccio il whiskey e lo sciroppo di tamarindo.
Una volta raffreddata a dovere la coppetta buttare il ghiaccio, e versarvi il contenuto dello shaker filtrandolo con uno strainer.

Il drink è servito in abbinamento a un dessert dello chef Francesco Brutto, “Orzo tostato, cicoria, funghi, garusoli e cacao“.