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Il Grano di Pepe

Un’altra Pasqua con Rino Duca

Sta diventando ormai consuetudine questo menù di Pasqua di Rino Duca, assurto per la seconda volta, in due anni, a surrogato delle tavole e degli affetti famigliari. Lui che, peraltro, tra i cuochi emiliani è stato quello che più prontamente ha reagito alle contingenze già lo scorso anno, quando per la prima volta abbiamo avuto modo di lodare la resilienza e il dinamismo di questo colto cuoco palermitano di stanza a Ravarino (MO), presso Il Grano di Pepe.

E il menù di quest’anno ci è sembrato ancor più intelligente e ancor più appropriato, capace com’è stato di risvegliare l’immaginario più profondo delle tavole pasquali, imbandite di elementi tanto simbolici quanto tangibili quali il carciofo, l’uovo, l’agnello e le verdure e i profumi della primavera.

Ma non solo. Perché accanto agli imperativi imposti dalla festa comandata – torta pasqualina, lasagne e arrosti, tra gli altri – convivono qui anche prese di posizione più autoriali, manifestate da piatti quali la seppia, i radicchi e la salsa ostrica e gli asparagi coi gamberi alla Bismarck e il tuorlo marinato.

Trait d’union tra queste due spinte, entrambe presenti e solennemente celebrate, un piatto apparentemente innocuo ma grandissimo sia per i riferimenti coi quali dialoga – Piergiorgio Parini, Gianluca Gorini e Paolo Lopriore, tra gli altri – sia per la perfetta conciliazione di elementi apparentemente antifrastici (Parmigiano e liquirizia) oppure iperbolici (carciofo e liquirizia), in perfetto limine tra l’umami (Parmigiano), l’acido-amaro (liquirizia) e il tannico-amaro (carciofo): solo tre elementi – carciofo, parmigiano e liquirizia, appunto – sospinti in una persistenza incalzante, ardita e piacevolissima nel reiterarsi e nel combinarsi delle rispettive salienze gusto-olfattive.

Molto interessante, in questo senso, anche la lasagnetta al verde (con carciofo, porro, piselli e matcha) rassicurante solo in apparenza ma presto apprezzata per quello che è stata: ovvero un concentrato straordinariamente gustoso e ben profilato di primavera, declinato dall’esemplare, ampollosa croccantezza dei pisellini – non sappiamo se siano quelli del suo orto, Gandò, fatto sta che non è la prima volta che ne celebriamo la bellezza – sia nella scagliosa croccantezza delle foglie del carciofo che l’erbaceo sapore del matcha andava a incalzare, contestualizzando  ulteriormente l’affresco primaverile.

Un compito, questo, che nell’arrosto di agnello e patate al timo è stato assolto dalla concentratissima e molto evocativa salsa after eight (cioccolato e menta), e negli ottimi, burrosissimi asparagi e gamberi alla Bismarck col perfetto umami del tuorlo marinato.

Considerate le sue origini, come già detto, palermitane, con Rino Duca non fatevi mai mancare almeno un assaggio dei suoi dolci: siano essi in barattolo – un’antologica ancorché pacificante cassata al cucchiaio – o gli eccezionali cannoli con pistacchi e ricotta del caseificio di Rosola (MO).

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Comincia la “fase 2” e, con essa, continua il nostro viaggio alla ricerca delle migliori tavole d’Italia. Un viaggio diverso, stavolta, coerentemente con le modalità del presente momento storico. Per orientarci, abbiamo preso la città di Milano come punto di partenza ideale, ne abbiamo adottato il sistema – in particolare quello del nostro spin-off Passione Milano, dove “le visite” sono già incominciate – e abbiamo rivolto il nostro interesse culinario e, con esso, il nostro occhio critico e analitico,  verso quelle coraggiose realtà che hanno deciso di trasformarsi e offrirsi in questa nuova, inedita veste. 

Le capacità metamorfiche del cuoco contemporaneo

Rino Duca è uno spirito mobile, dinamico. Come tale, non sembra essersi fatto intimidire dal cambiamento ma anzi l’ha assecondato, prendendolo come un’occasione per pensare, ripensare e, soprattutto, ripensarsi. Quel che sappiamo, ad ora, è difatti che Il Grano di Pepe non riaprirà i suoi battenti ma che lo chef continuerà a destreggiarsi tra l’asporto e la consegna a domicilio, mentre è in programma l’apertura del suo orto, a Gandò, dove accoglierà gli ospiti en plein air nelle sere d’estate.

Da questo assunto è conseguito un menu sia nuovo che famigliare al Grano di Pepe, rivisitante alcuni dei capisaldi sia dello street food che della domenica palermitana, come il timballo di anelletti: versione semplificata ma altrettanto rimarchevole del luculliano timballo gattopardiano dei tempi che furono. Tanti altri, poi, i manicaretti che riportano alla memoria frammenti di una memoria condivisa: quella di un’estate italiana o, meglio, palermitana, davanti al mare, solitamente di Mondello. Questo “sapore” – genuino, domestico, si direbbe quasi “materno” – attraversa ciascuna delle preparazioni del menu che ci troviamo dinnanzi.

Come le arancine, dove a colpire è la squisita, genuina deflagrazione, del ragù prima e dei pisellini poi, tanto dolci da costituire una piccola madeleine per tutti coloro che li hanno assaggiati, almeno una volta, ancora caldi di sole appena presi dall’orto.

“Orto” che è un concetto che ricorre, s’è detto, oltre che quale prosieguo, estensione estiva del ristorante, anche in altre preparazioni come nel pesto alla menta e finocchietto selvatico a sdrammatizzare la coratella d’agnello di cui è farcito l’ottimo bagel: perché Rino Duca si trova molto a suo agio anche in fatto di panificazione.

Medesima sensibilità alberga poi nel tonno alla palermitana spolverato di pangrattato, sale di capperi, origano, asparagi e pesche noci, mentre quasi sobbalziamo sulla sedia per la fedeltà con cui gli spaghetti al nero di seppia e olio al mandarino tardivo di Ciaculli ricordano l’originale: né più né meno che uno dei suoi piatti segnature.

A questo proposito, però, è d’uopo una postilla: trattandosi di un piatto parzialmente da cuocere, e combinare, a casa propria, sarebbe apprezzata, da parte dello chef, una nota scritta con le istruzioni di cottura: gli spaghetti hanno infatti una cottura più lunga di quanto non sarebbe lecito aspettarsi e l’olio al mandarino rischia di essere, se usato tutto, effettivamente prevaricante.

A chiosa di questo viaggio nella memoria popolare – e individuale – della Palermo di strada, gli ottimi cannoli con cui lo chef si è imposto, e a ragione, nell’immaginario bolognese come uno degli interpreti più ricercati.

Ebbene, siamo fortunati: qualunque sarà il futuro della ristorazione contemporanea sappiamo per certo di poter contare sull’entusiasmo, sulla fantasia e, non ultime, sulle capacità metamorfiche di questo cosmopolita cuoco palermitano.

La cucina caleidoscopica di Rino Duca

Nel cuore della terra del Lambrusco Il Grano di Pepe è il ristorante che non ti aspetti. Un’enclave siciliana in cui va in onda l’one man show di Rino Duca. Difficile non restarne conquistati: eclettico, esuberante, Duca è un cuoco ma, soprattutto, un uomo che sprizza entusiasmo, gioia di vivere e passione per il proprio lavoro, e che diventa di una simpatia trascinante quando racconta la sua cucina, i suoi piatti o qualcuno dei suoi viaggi, dai quali impara e porta con sé sempre qualcosa di nuovo.

Il ristorante è piccolo, raccolto – parliamo di una ventina di coperti – e non potrebbe essere diversamente perché in cucina a parte un aiutante che svolge mansioni essenzialmente “manuali”, Duca è da solo. Ciononostante lo si può vedere spesso anche in sala a seguire personalmente i tavoli e a monitorare il grado di soddisfazione della clientela. Peraltro, anche in sala non c’è un gran viavai ma solo una graziosa, gentile e ancora poco smaliziata ragazza.

Venire a mangiare qui è un po’ come andare a mangiare a casa dello chef. Ma ne vale la pena: è un tipo originale Rino Duca, così come la sua cucina che è frutto delle esperienze del suo vissuto e del suo talento, caratterizzato dalla predilezione di toni sapidi piuttosto marcati che rimandano alla sua Palermo, che cita in un eccellente e fragrante versione di pane e panelle, nello sfincione, nel tonno in versione cittadina e nel cannolo finale.

Una cucina d’autore profondamente siciliana e, pertanto, aperta a mille contaminazioni

In mezzo, tanti rimandi alla cucina orientale con un largo uso di ingredienti quali shiso, togarashi e miso. D’altra parte, quella siciliana è la cucina più orientale d’Italia. E così, stupisce per nettezza di sapori un piatto di Melanzana scottata, tofu, olio all’origano e dashi di pomodoro. Il pomodoro sostituisce l’alga kombu e le foglie di basilico sostituiscono le scaglie di pesce katsuobushi. Il piatto riecheggia nella pulizia e nella purezza della cucina kaiseki, di cui restituisce l’umami all’ennesima potenza.

Una cucina che ha il grande pregio di non essere riconducibile a un chiaro filone, di non scimmiottare, di non seguire le mode. Una cucina senza piccione e senza maialino. Che a volte complica per semplificare.
Come nel Riso di Porticello: riso e circa 15 salse e condimenti a base di pesce tra cui teste di gambero, nero di seppia, polpa di granchio, acqua di cozze e via andare… un caos multicolore che si riduce all’unità di riso e mare.

Il Grano di Pepe si conferma un approdo sicuro per chi voglia sfuggire dalla banalità.

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L’insularità è una forma esistenziale

Poco importa che essa conduca a nord o sud dell’equatore; un cuore isolano, se naviga in continente, farà sempre ritorno alla sua isola.
Alcuni cuori, poi, lo sono così visceralmente, così intimamente che solo a guardarli si sente l’odore che spira dai flutti e, nelle belle giornate, lo sciabordio lento delle acque chiare onde intravedere quel mondo iridato fatto di pesci e di rocce sommerse.
Un’insularità più di terra che di mare, però, è quella di Rino Duca che, come tutti i veri isolani, non sembra intenzionato a scendere a patti coi lustrini e coi fuochi fatui della contemporaneità a cui preferisce le lucciole in amore del mar di Sicilia e, da qualche tempo, l’aurora boreale delle isole Orcadi.
Una luce che brilla a Il Grano di Pepe nel nuovo menu dedicato alla Scozia; un diario di viaggio che è anche un’altalena di durezze e di dolcezze, anche interiori, cui fa da contraltare un bel repertorio di whisky in più che plausibile abbinamento.

Le affinità elettive tra piatti e single malt

A cominciare dall’incipit, un highball a base di whisky e ginger beer fermentata della casa col fragrante benvenuto del suo pane e panelle e dello sfincione, «per ricordarmi da dove vengo». Cartoline à rebours della sua Sicilia, queste, a cui segue lo scampo scozzese con battuto di pecora cornigliese cruda servita su una vaporosa riduzione di stout: un boccone stavolta perfettamente Scottish, che rima naturalmente con le note dolci e iodate di alghe e il graffio della torba del Lagavulin Islay di 16 anni.
Ecco quindi la volta del piatto nazionale, l’haggis, un insaccato realizzato con la pecora di Ettore Rio di cui Rino mescola cuore, polmone, fegato e rognone con l’avena e che “insacca” simbolicamente in una patata cotta nel sale. Indicibilmente delicato, il suo haggis diventa vibrante col tornito sorso dell’Ardbeg Uigeadail.

In termini di abbinamento, tuttavia, la acme si raggiunge con l’eiglefin di baccalà su vellutata spumosa di porri; un idillio di contrasti in combinazione con le virtù placanti del Bowmore 12 anni che lo stesso Rino definisce «un whisky sotto le mentite spoglie di un cognac.»

Colpo di scena, quindi, con la McCacio, una quattro formaggi in lattina a scimmiottare le storpiature subite nel mondo anglosassone dalla cucina italiana. Soave, qui, l’idillio con le note agrumate e di camomilla del single malt Auchentoshan 10 anni.
Irresistibile benché più canonica la polpa d’agnello cotta nell’alloro con purè di patate.

La chiusura, in questo angolo di Emilia che è già Scozia, è poi ad libitum. Rino arriva infatti con una zuppiera debordante di gelato alla crema in ricordo della trasgressione più peccaminosa della sua infanzia: il cornetto al whisky. In abbinamento un Laphroaig Quarter Cask, il quale, per via della maggiore esposizione al legno, infonde le papille di un calore torrefatto ripulendole con un provvidenziale grip tannico.
Per i più motivati, il sipario con gli whisky più torbati al mondo, gli Octomore di Bruichladdich, pionieristica distilleria di Islay, è d’uopo.

La galleria fotografica:

Eravamo venuti due anni fa in questo ristorante, e ci aveva molto colpito la capacità di Rino Duca di esprimere con la propria cucina un pensiero preciso, la sua curiosità, la sua evidente voglia di crescita: avevamo intuito insomma fosse una cucina autoriale, con ottime possibilità evolutive.
Dobbiamo dire con franchezza che la maturazione è andata oltre ogni più rosea aspettativa.
La linea è stata demarcata con grande convinzione: Rino Duca ha trovato con precisione il settore in cui muoversi, e lo sta interpretando in maniera entusiasmante.

Memoria, ricordo, storie: i suoi sono piatti che parlano, che raccontano episodi, emozioni, sensazioni.
La Sicilia, le sue atmosfere, i suoi odori.
Le inevitabili contaminazioni emiliano-romagnole di un cuoco che ha mosso i suoi passi verso la pianura padana.
La ricerca delle radici e la necessità di raccontare sé stesso ai clienti attraverso i propri piatti.
Piatti come la Melanzana alla parmigiana o il Timballo del Gattopardo parlano di tutto questo, e ci hanno portato alla memoria la cucina di un altro grande interprete siciliano, Pino Cuttaia, che in egual modo riesce a concentrare in pochi ingredienti interi episodi di vita.

Chi c’è stato lo sa: la Sicilia è un luogo che ti rimane addosso. E quella di Rino Duca è una cucina assolutamente siciliana, quindi coerentemente aperta a mille contaminazioni.
Una cucina di forte impronta classica, ma assolutamente moderna per leggerezza e gusto estetico: il gusto vince sopra ogni cosa, ma le vie per raggiungerlo sono quelle del rispetto degli ingredienti, delle cotture al vapore, del corretto uso delle materie grasse.
La cucina siciliana popolare, quella domestica, di tutti i giorni, portata a un livello superiore: una missione difficilissima, ambiziosa ma incredibilmente stimolante.
Rino Duca, superati gli “anta”, dimostra che non è mai troppo tardi per inseguire un sogno e per mostrare il proprio talento al mondo. Il confine tra ottimo interprete e autore a noi sembra superato.
Ora viene il bello, ora viene il difficile.
Il locale completamente rinnovato, la carta vini ampliata (con un ovvio occhio di riguardo per Sicilia ed Emilia Romagna), un servizio sempre più attento e cordiale, completano un quadro felicissimo che lascia presagire buone vibrazioni per il futuro.
Segnatevi questa meta: Ravarino, il Grano di Pepe… poi fateci sapere.

Panelle (per ricordarmi da dove vengo).
Pane e panelle: un grande classico come biglietto da visita, piatto del popolo per il popolo, che richiama il mercato, le grida dei venditori, la grande cucina di strada siciliana.
pane e panelle, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
pane e panelle, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Ottimo il pane, in particolare lo sfincione.
sfincione, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
pane, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Cronaca di un’estate.
Un piatto che è racconto, la storia di un episodio tragico vissuto con gli occhi di un allora adolescente Rino Duca, ancora nella “sua” Palermo.
1983: l’assassinio del giudice Chinnici; il cartoccio sul piatto riproduce la prima pagina dell’Ora di quel fatidico 30 luglio, rintracciata con non poca fatica alla Biblioteca di Palermo e riprodotta con il nero di seppia su carta di riso. All’interno pesce grigliato (fantastiche le sarde) e a lato una macchia di nero di seppia a richiamare il sangue che ha macchiato la Sicilia in quel momento storico.
Il nero di seppia a richiamare anche l’inchiostro dei giornali in cui veniva avvolta la spesa nei mercati di Ballarò.
Cipollotto a fette, finocchietto selvatico e finocchio marino completano un piatto intenso visivamente, ma prima ancora buonissimo.
chinnici, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
chinnici, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Tartara di gamberi di Mazara con succo di pepe Timut, piccola catalana ed estrazione di teste.
Ingrediente, ingrediente, ingrediente. E la firma dell’autore sull’angolino, con il pepe timut ad allungare il piatto in bocca.
tartara di gamberi, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Involtini di sciabola alla palermitana e zuppa fredda di olive verdi.
La protagonista, sorprendentemente, è l’oliva. Ottimo piatto di forte impostazione tradizionale.
involtini di sciabola, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
involtini di sciabola, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Melanzana alla parmigiana.
Melanzane cotte al vapore. Sopra, un velo di provola delle Madonie affumicata (all’alloro) e una grattata di parmigiano reggiano, quasi a sottolineare una ambiguità identitaria.
Un capolavoro, perché riesce a reinterpretare un classico domestico senza far rimpiangere il piatto della “mamma”. Il gusto, ma anche la leggerezza. E la valorizzazione di un grandissimo formaggio siciliano. Solo un cuoco con un grande palato può portare in tavola un piatto così.
parmigiana, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
parmigiana, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Zuppa di pesce.
zuppa di pesce, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
zuppa di pesce, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Palermo – Marsiglia andata e ritorno.
La zuppa è di pesci di scoglio e pesce azzurro (alici, sarde e sgombro), a rinsaldare quel legame con le barche di Porticciolo (piccolo borgo di pescatori vicino Palermo) e le zuppe per il cous cous alla trapanese. La salsa all’aglio, a ricordare la rouille provenzale. Il caciocavallo allo zafferano, immagine di Palermo. Il pane.
Un filo sottile tra la soupe de poisson de roche di Marsiglia e la zuppa di pesce della costa occidentale siciliana: il mare a dividere e a racchiudere un mondo intero.
Pausa rinfrescante: acqua, ghiaccio, anice. Nel più puro spirito palermitano.
Anice, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
anice, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Riso alla mandorla, polvere di capperi e gambero crudo.
Per quanto interessante, forse il piatto meno riuscito in termini di concentrazione dei sapori. Ma effettivamente concentrare troppo il gusto della mandorla potrebbe risultare molto pericoloso.
Riso alla mandorla, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Spaghetti Cavalieri al nero di seppia ed essenza di mandarino.
Un grande classico ormai di questo ristorante, immancabile.
spaghetti al nero di seppia, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Il timballo dei Gattopardo.
Altro grandissimo piatto, che riporta agli interminabili pranzi delle famiglie siciliane, alla immancabile pasta al forno, all’abbondanza e alla gioia.
I fantastici anelletti (formato di pasta da riscoprire), la carne, i piselli, l’uovo e a ricoprire una fonduta di piacentinu ennese. Piatto totale e totalizzante. Un ritratto del Sud in pochi centimetri quadrati.
il timballo del gattopardo, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Tonno al ricordo di Palermo.
Anche questo un classico, in carta da sempre. Buonissimo.
Tonno, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Predessert: come una Weiss.
Gioca ancora sui ricordi d’infanzia questo riuscitissimo predessert: la classica insalata di agrumi, olio e sale che ogni mamma siciliana prepara al proprio figlio.
Succo di arancia, olio, sale, pepe, spuma di limone al sale e una grattata di limone verdello sopra.
Ma il pensiero di chi vi scrive non può che andare a uno dei tanto chioschi del centro di Catania…
Predessert, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Cannolo della tradizione e sorbetto alla pesca.
Perfetto, anche nella scelta intelligente di usare una buonissima ricotta locale (quella della Azienda Caretti di San Giovanni in Persiceto) invece di fare viaggiare un prodotto così delicato e deperibile.
Cannolo, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Cassata.
Basta l’immagine.
Cassata, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Piccola pasticceria.
piccola pasticceria, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
Una grande espressione della nuova Sicilia.
vino, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
vino, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena
vino, Il Grano di Pepe, Chef Rino Duca, Ravarino, Modena