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‘O Fiore Mio

Dove sta il segreto di un successo?
“Scegli di fare qualcosa, fallo al massimo livello possibile e comunicalo ancora meglio.”
Forse è la scoperta dell’acqua calda, o forse no.
In ogni caso non sono molte le storie da raccontare come quella di ‘O Fiore mio.
In poco meno di tre anni è incredibile quello che sono riusciti a costruire questi ragazzi.
Merito principalmente di Matteo Tambini e Davide Fiorentini, ma, quando i risultati sono di questo livello, la squadra al completo non è meno importante.
Siamo passati dall’apertura di una pizzeria dai grandi obiettivi, allo sviluppo di un vero e proprio marchio sinonimo di qualità.
L’efficacia grafica è tutta farina del sacco di Monica Zani, illustratrice di enorme bravura, ed è un aspetto da non sottovalutare.
Il resto lo ha fatto la voglia di puntare sempre più in alto e che vede oggi il gruppo ‘O Fiore mio proporsi anche come modello di franchising.
E’ questa voglia che ha portato a migliorare sempre più la riuscita dell’impasto: il salto qualitativo dell’impasto classico rispetto alla nostra precedente visita è straordinario.
Per l’impasto classico di grano tenero è stata utilizzata a lungo la Petra 1 di Mulino Quaglia, ora è sempre più utilizzata la Buratto di Mulino Marino e si sta testando anche un grano tenero bio a filiera marchigiana (zona Conero) del Mulino Mariani.
Gli impasti sono il classico, quello di idrolisi con grano spezzato e l’impasto di enkir.
Nel forno viene utilizzata legna proveniente dai boschi dell’Appennino Tosco – Emiliano (Palazzuolo sul Senio) di carpino, quercia e faggio.
Le lievitazioni e maturazioni sono molto variabili: si passa dalle 48 ore di alcuni impasti (grano tenero macinato a pietra) alle 24 ore per kamut, farro, mais e idrolisi (con grano spezzato).
Il lievito madre sta festeggiando i suoi 4 anni, nato dalla fermentazione naturale di una Pera Ubriaca, una Pesca Regina d’ottobre e 5 giuggiole.
La proposta è divisa oggi sostanzialmente in due grandi settori. Il primo vuole legarsi maggiormente alla tradizione partenopea: nella sezione “come a Napoli”, infatti, sono presenti la classica marinara o margherita, ma anche pizze più rare da trovare al di fuori della Campania, come la Mastunicola, il Calzone di Scarola o la Cosacca. E’ certamente l’interpretazione che ‘O Fiore mio vuole dare di questi “totem” napoletani, perché è inevitabile che il lievito madre utilizzato cambi molto le carte in tavola: la pizza napoletana rimane altra cosa.
C’è poi il settore più personale, l’interpretazione “gourmet” della pizza all’italiana. Qui si raggiungono davvero vette altissime. I pomodorini fiaschetto di Torre Guaceto coltivati da Calemone di Serranova di Carovigno (Br), i pomodorini del piennolo del Vesuvio coltivati da Casa Barone di Massa di Somma (Na), i pomodori coltivati da Terra, Amore e Fantasia di Sabato Abagnale a Sant’Antonio Abate (NA), o ancora verdure che mantengono tutto il loro sapore anche dopo il passaggio in forno: tutto punta lassù, in alto. E gli oli, sempre diversi, da abbinare alle varie pizze.
Non mancano alcuni piatti di pasta fresca dalla cucina, pochi ma eccellenti, giusto per fare il pieno completo di italianità.
‘O fiore mio rappresenta quanto di meglio si possa chiedere oggi da una pizzeria moderna: un bell’ambiente allegro e vivace, personale cortese, ottime birre, dessert di alto livello, un marchio dal forte appeal e, ovviamente, una grande interpretazione di pizza.
Storia di un successo annunciato, appunto.

sala, Pizzeria 'O Fiore Mio, Faenza, Ravenna
Come a Napoli… Margherita
Pizzeria Margherita, Pizzeria 'O Fiore Mio, Faenza, Ravenna
La Parmigiana
Mozzarella fior di latte, Pomodoro “Terra, Amore e Fantasia”, melanzana arrostita, Parmigiano Reggiano di Montagna 36 mesi, Origano di Pantelleria, basilico fresco
Parmigiana, Pizza, Pizzeria 'O Fiore Mio, Faenza, Ravenna
Pizza Parmigiana, Pizzeria 'O Fiore Mio, Faenza, Ravenna
Pizza parmigiana, Pizzeria 'O Fiore Mio, Faenza, Ravenna
L’olio in abbinamento
olio, Pizzeria 'O Fiore Mio, Faenza, Ravenna
Fiorin Fiorello
Mozzarella fior di latte, fiore di zucca farcito di ricotta, alici adriatiche, cannella grattugiata
Fiorin Fiorello, Pizzeria 'O Fiore Mio, Faenza, Ravenna
Pizza fiori di zucca, Pizzeria 'O Fiore Mio, Faenza, Ravenna
Pizza Fiori di Zucca, Pizzeria 'O Fiore Mio, Faenza, Ravenna
L’olio in abbinamento che non ha bisogno di presentazioni
Valentini, Pizzeria 'O Fiore Mio, Faenza, Ravenna
La crema catalana
Uova, panna fresca, zucchero di canna caramellato: semplice, no?
crema catalana, Pizzeria 'O Fiore Mio, Faenza, Ravenna
BHEÉ – Birrificio La Mata, Solarolo (RA) 4%
Una birra che conoscevamo già e che siamo felici di ritrovare in pizzeria, speriamo presto anche alla spina.
Una birra bianca aromatica ad alta fermentazione, a bassa gradazione, molto fresca.
Buonissima, da berne a litri.
Bhèè, Pizzeria 'O Fiore Mio, Faenza, Ravenna, birra
Pizzeria 'O Fiore Mio, Faenza, Ravenna
Pizzeria 'O Fiore Mio, Faenza, Ravenna
Pizzeria 'O Fiore Mio, Faenza, Ravenna
Pizzeria 'O Fiore Mio, Faenza, Ravenna

La storia del nome di questa Enosteria, che noi abbiamo visitato nella sua veste più famosa, ovvera quella della Pizzeria, risale agli inizi del secolo scorso. Una storia singolare, visto che le osterie, sopratutto quelle rurali e quindi ubicate fuori dalle grandi città, erano la trasformazione quasi naturale delle antiche stazioni di posta che si evolvevano in luoghi di accoglienza e si adeguavano, con la rivoluzione industriale, ad una clientela medio-borghese. Al Lipen invece successe un evento a dir poco singolare. Filippo era il cuoco del Conte Taverna, tenutario della zona, che ricevette questi locali per aprire la propria osteria, appena dopo la fine della prima guerra mondiale, come premio per i suoi servigi al signore. Filipen era il suo soprannome, visto il fisico magro e smilzo, da cui il nome Lipen, che si legge con l’accento sulla E.

Arrivando ai giorni nostri, il locale oggi ha il volto di Corrado Scaglione che ha rilevato l’osteria e aggiunto la pizza all’offerta gastronomica. Oggi il Lipen è da tutti riconosciuto come un luogo di culto per la verace pizza napoletana, della cui associazione di tutela fa parte, al fine di salvaguardare la qualità di questo prodotto eccezionale, tanto famoso quanto inflazionato e mal proposto.

Onore al merito quindi al Lipen, che accanto alle preparazioni di un’osteria di stampo napoletano-italiano, sforna pizze di ottima qualità con una linea che a quelle più rigorosamente tradizionali affianca anche le ultime arrivate di stampo creativo. Un’attenta ricerca sulla selezione delle birre, sia artigianali di birrifici locali che provenienti da tutto il mondo, e un’interessante selezione di vini completano l’offerta di questo luogo che brilla nel panorama gastronomico brianzolo.
Il servizio, spigliato, attento e giovane fa il suo dovere con solerzia e correttezza.

Tutto perfetto quindi? Diciamo che l’impasto, tradizionale, l’abbiamo trovato curato e molto ben realizzato. Meno convincente, invece, ci è parsa la selezione degli ingredienti, che affianca proposte, anche dichiarate in carta, di qualità a condimenti finali non in linea con queste eccellenze. Un’altalenanza che condiziona il gusto dell’insieme, ma che sarà di facile soluzione adottando qualche piccola accortezza in più.

Un plauso quindi a questa Enosteria-Pizzeria, assolutamente superiore alla media della qualità che è possibile trovare nei dintorni.

La Stella di Bachetti:Ricotta nel punto, Scarola saltata con peperoncino, olive taggiasche, acciughe di Cetara, provola fresca affumicata, pomodori gialli
pizza, stella, Enosteria Lipen, Canonica al Lambro, Triuggio
La slegata ed eccessivamente creativa marinara con pomodoro giallo, alici marinate, cipollotto al lemongrass
marinara, Enosteria Lipen, Canonica al Lambro, Triuggio
Simonetta: melanzane sott’olio, pomodorini, pecorino, fior di latte, grana
pizza, simonetta, Enosteria Lipen, Canonica al Lambro, Triuggio
pizza, Enosteria Lipen, Canonica al Lambro, Triuggio

Se sulla paternità -nazionale- della pasta aleggia ancora qualche effimero dubbio, lo stesso non sembra potersi dire per la pizza che, secondo alcune fonti, vide la luce nella Napoli della metà del settecento.
Ben trecento anni dopo, precisamente nel 1999, a circa settecento chilometri di distanza, qualcuno ha rivoluzionato il cibo più famoso d’Italia trasformandolo in un prodotto di grande qualità, creatività, innovazione ed opulenza. La nuova frontiera della pizza, a metà strada tra la cucina d’autore e l’universo gastronomico popolare, è partita dall’anonima San Bonifacio, alle porte di Verona grazie a Simone Padoan. A questi il merito di aver conferito un taglio personalissimo ed originale ad uno degli alimenti più inflazionati e convenzionali del pianeta. Se oggi si parla di “pizza gourmet”, è probabilmente grazie a lui.
Vero è che l’accostamento di ingredienti pregiati ad un pasto popolare implica coraggio e determinazione in quanto si sovvertono le regole della normalità: è anche per questo che I Tigli non può essere considerata una semplice pizzeria; non lo è nei prezzi, non lo è per il servizio, né, tantomeno, per il curatissimo ambiente. Il locale di Padoan è decisamente un luogo fuori dagli schemi, qualcosa di raro da trovare, attualmente, e non soltanto in Italia. Bisogna metterci piede, almeno una volta, per avere a portata di mano un adeguato riferimento comparativo sul tema.
Da qualche anno ha cambiato anche look. Dopo il restyling, l’ambiente, anche con gli arredi, in cui dominano legno, pietra e porfido, viene richiamato il macrocosmo della pizza.
Qualcosa purtroppo è mutato anche sotto il versante della proposta. L’offerta resta sempre molto ampia, ma la scomparsa dalla carta dei percorsi degustazione -fondamentale per farsi un’idea della filosofia del locale- è una pecca di non poco conto. Soprattutto alla luce del prezzo finale, decisamente impegnativo. In meno di quattro persone, infatti, la scelta della pizza risulta molto difficile e, considerate le dimensioni impegnative delle stesse, è impresa ardua riuscirsi a focalizzare su 3/4 pizze senza evitare gli sprechi.
Anche il servizio, decisamente di alto livello in passato, in quest’ultima occasione è apparso un po’ svogliato e distaccato. Probabile si è trattato di un caso isolato.
Ottime notizie invece sul versante enoico. Considerata la proposta gourmet, infatti, non poteva mancare una carta dei vini ricercata e per nulla banale (compaiono etichette di vini naturali italici ma sono presenti in carta anche Champagne, Alsazia, Borgogna, Germania e Spagna) che, in effetti, potrebbe risultare più confacente con la proposta rispetto ad un più tradizionale accompagnamento con birra (per la quale non manca, comunque, una ragionata selezione artigianale, di produttori italiani e stranieri). Ma la bellissima sorpresa la riserva il reparto dolciario, sia sul versante tecnico che concettuale. Di fattura tanto notevole da non risultare inferiore al livello delle pizze.

Il benvenuto: pizza al trancio. Soffice e croccante, con un pomodoro dalle note dolci ed un grande olio in abbondanza.
pizza al trancio, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
La nostra ardua scelta è ricaduta sulla Blu di cappasanta alla camomilla… fior di latte, grill di asparagi bianchi, carpaccio di asparagi verdi, maionese al corallo e chips di prosciutto.
pizza, blu di capsanta, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Una lievitazione da manuale, impasto leggerissimo che, purtoppo per noi, assume un livello impegnativo con l’elemento grasso della maionese. Bello visivamente l’effetto scenico della cappasanta che, dopo un tempo imprecisato di marinatura nel cavolo blu, assume quel colore bizzarro. Camomilla non pervenuta. Nel complesso, comunque, un abbinamento centrato.
pizza, blu di capasanta, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Focaccia con tartare di asparagi crudi, carne limousine e salsa tartara.
focaccia con tartare, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Da vicino.
focaccia con tartare e asparagi, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Un bel prodotto tedesco ma naturalizzato italiano.
birrra, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Il capitolo dolci merita molta attenzione.
Dalla selezione “il pane diventa dolce” si gioca sempre col tema lievitazione e si resta estasiati dalla semplicità del “Pan – Biscotto”… con mele caramellate e gelato alla mandorla” in cui predomina la fragranza delle cialde e la cremosità di una mandorla persistentissima.
il pane diventa dolce, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Dal reparto “i nostri dolci” scegliamo la “Zuppa di Agrumi”… Sorbetto gelato al Cynar, carciofi, pompelmo rosa e arancia e la musica non cambia. Una cifra tecnica e stilistica che ci lascia sorpresi in positivo, per concentrazione di ingredienti ed equilibrio di tonalità dolci e amare.
zupap di agrumi, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Tavolo.
tavolo, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
Maestro all’opera.
I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona
L’ingresso nascosto.
ingresso, I Tigli, Chef Simone Padoan, San Bonifacio, Verona

Se nel segmento della ristorazione “alta” Roma ha visto, nell’ultimo lustro, un discreto numero di locali aggiungersi di anno in anno al panorama cittadino, dobbiamo invece constatare come nell’Urbe i grandi nomi della pizza siano più o meno gli stessi da parecchio tempo.
Non che i soliti noti ci abbiano stancato, ma certo ci piacerebbe che nuovi pizzaioli andassero ad allargare il campo delle alternative.
Giancarlo Casa è, ormai, dalla fine dello scorso millennio, uno dei nomi di riferimento della scena della Capitale, e La Gatta Mangiona è il suo quartier generale.
Dimenticate covi gourmet di nuova generazione, minimalismi ed interni di casearia definizione cromatica: l’ambiente è quello di una qualunque pizzeria, sovraffollato di tavoli e di gente e gonfio dello strepito delle tavolate. Dobbiamo però precisare che, malgrado l’affollamento, la gestione dei forni ha del miracoloso se è vero che le attese, con la cortese collaborazione degli imperdibili fritti, fra i migliori di Roma, e di una carta dei vini di insolito interesse per una pizzeria, difficilmente varcano la soglia del fastidio.
La carta, chilometrica, contempla tanto un gran numero di pizze, antipasti, primi e sfizi quanto una selezione non così minima di alternative per chi non desidera lanciarsi a pesce sul carboidrato: oltre ad essa è però di fondamentale importanza, prima di ordinare, dare un’occhiata alla lavagna delle pizze e dei fritti del giorno, giacché qualche bella sorpresa è sempre in agguato, come la buona pizza Aromatica (in apertura).
Lo stile della pizza non è napoletano, e non è in fondo neppure romano: il cornicione è in equilibrio fra sofficità e croccantezza, ben lievitato e con una leggera tendenza alla biscottatura che penalizza gli esemplari meno riusciti in cottura. Pregevoli le materie prime utilizzate, non assolute ma in assoluta compatibilità con la richiesta di circa dieci euro per una pizza, certamente giustificati per il livello dell’impasto e degli ingredienti.

Due esemplari dei fritti (ma sarà meglio abbondare, in particolare con i supplì): fiore di zucca fritto e calzoncello con caciocavallo, peperoni e capperi.
pizza fritta, La Gatta Mangiona, Roma
Patate e pancetta al pepe nero con fiordilatte.
patate e pancetta, La Gatta Mangiona, Roma
Fiori.
fiori, La Gatta Mangiona, Roma
Margherita. Di cottura poco felice.
margherita, La Gatta Mangiona, Roma
Crema al Mascarpone con passito di Pantelleria ed amaretti.
Crema al mascarpone, La Gatta Mangiona, Roma
Dalla cantina.
cantina, La Gatta Mangiona, Roma

pizza, Pizzeria 50 Kalò di Ciro Salvo, Napoli

Onore al merito.
Il “movimento pizza napoletana” ha un prima e un dopo.
Uno spartiacque tra la fama limitata all’area partenopea e quella che ha valicato i confini regionali e nazionali.
Il principale artefice di questa ribalta ha un nome e cognome: Maurizio Cortese.
Lo si deve a lui se i pizzaioli napoletani, un tempo “solo” bravissimi artigiani rinchiusi nelle loro fucine, hanno iniziato a calcare i palcoscenici delle più importanti manifestazioni gastronomiche del Paese; lo si deve a lui se molti di loro sono divenuti accorsati imprenditori estendendo il loro raggio d’azione nelle più ricche regioni d’Italia, invero con alterne fortune e, in alcuni casi, scarsa riconoscenza.
Lo si deve a lui se Ciro Salvo, indiscusso fenomeno dell’impasto, è approdato in una delle più belle piazze napoletane dopo aver ritagliato con fatica un piccolo spazio nell’Olimpo dei lieviti in un bar adibito a pizzeria in quel di Torre Annunziata.
La bravura dei pizzaioli non dipende da Cortese, ci mancherebbe, ma un ambasciatore di tale portata mediatica la pizza napoletana non lo aveva ancora avuto.
Onore al merito quindi, soprattutto per aver creduto in Ciro Salvo, guru del 50 Kalò, una delle massime espressioni contemporanee della Pizza, rigorosamente con la P maiuscola.
Sedersi a questi tavoli e inebriarsi degli odori e dei sapori ancestrali delle farine, del pomodoro, del basilico e di quell’incredibile olio è il percorso più breve (ed economico) per raggiungere l’acme della felicità olfattiva e palatale.
La marinara è quanto di più buono ci sia mai capitato di mangiare in una pizzeria. La perfezione della semplicità. Un impasto superlativo ad altissima idratazione lavorato con farine a basso tenore proteico, alveolato, leggero come una piuma ed incredibilmente digeribile, impreziosito da prodotti che molti ristoranti stellati non accolgono nelle loro cucine.
E poi la margherita, oseremmo dire la migliore della Campania e quindi del mondo intero. Strepitosa per equilibrio tra ingredienti, profumo e consistenza.
Le papille ringraziano.
Lasciatevi tentare dalla classe della marinara con scarole o dalla potenza della pizza dell’Alleanza con il conciato romano e la cipolla ramata di Montoro a far la parte del leone.
A corollario di questa esperienza apicale un’accorta carta delle birre ed i buoni dolci di una nota pasticceria cittadina.
Non temete l’inevitabile fila che vedrete dinanzi all’ingresso, né il costo (giustificatissimo dalla qualità) leggermente più elevato della media cittadina.
Ogni attesa e spesa sarà ampiamente ripagata.

Particolare della Marinara con scarole, olive taggiasche, capperi di Salina e pomodorino del piennolo (foto in apertura). Strepitosa. Non ci sono altri aggettivi.
Pizza marinara con verdure, Pizzeria 50 Kalò di Ciro Salvo, Napoli
La Marinara. La pizza più semplice, pochi ingredienti, di eccelsa qualità, ed impasto super. Poi quell’olio de Le Peracciole e l’aglio della Valle dell’Ufita fanno la differenza.
Marinara classica, Pizzeria 50 Kalò di Ciro Salvo, Napoli
La Margherita. La Cima Coppi.
Margherita, Pizzeria 50 Kalò di Ciro Salvo, Napoli
Margherita con ‘nduja di Spilinga. Piccante il giusto
Margherita con 'nduja, Pizzeria 50 Kalò di Ciro Salvo, Napoli
Pizza dell’Alleanza. Conciato romano de Le Campestre, cipolla ramata di Montoro, fiordilatte di Agerola e lardo di Colonnata. Una bomba per concentrazione di sapori. Indubbiamente per palati (e stomaci) allenati.
Pizza dell'Alleanza, Pizzeria 50 Kalò di Ciro Salvo, Napoli
Calzone con mozzarella, ricotta e cicoli. Gonfio e ben fritto.
Pizza fritta, Pizzeria 50 Kalò di Ciro Salvo, Napoli
Calzone… l’interno.
Pizza fritta, dettagli, Pizzeria 50 Kalò di Ciro Salvo, Napoli