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Trattoria dal Cogo

Ritorno alle origini o vera avanguardia?

Lorenzo Cogo è stato, un paio di lustri or sono, riconosciuto da tutti come l’enfant prodige della cucina italiana. Giovanissimo, con poco più di vent’anni sulle spalle e qualche piccola seppur importante esperienza estera, ha aperto il suo locale El coq a Marano Vicentino, affascinando immediatamente i palati di critica e pubblico. Un ragazzo che, con il suo talento e la sua determinazione, ha sempre bruciato le tappe. E anche questa volta crediamo che la sua scelta sia stata di un tempismo quasi disarmante. Ritorno alle origini o vera avanguardia?

Eh, sì, perché Lorenzo ha deciso, all’inizio della pandemia, di progettare il suo nuovo futuro cambiando radicalmente paradigma. Il ritorno alla trattoria di famiglia in cui portare il bagaglio accumulato con l’esperienza diretta nell’alta cucina in questi anni, per offrirlo a pubblico più vasto e con intensità modulata al contesto.

Rivisitando leggermente le preparazioni, che qui, in questa trattoria di provincia, si producono da oltre 30 anni ma andando ancora di più verso quella cucina d’istinto, di improvvisazione e di mercato che è l’anima della grande trattoria italiana.

L’anima della grande trattoria italiana

E allora vi capiterà di assaggiare, come noi, un cuore su purea di pastinaca accompagnato da morchelle fresche, con un fondo di carne e morchelle che vi farà letteralmente sobbalzare sulla sedia. Morchelle che hanno consentito a Lorenzo di preparare crediamo 8 o 10 porzioni al massimo. Perché la materia prima di questa qualità è quasi sempre esigua. Oppure le splendide cozze di Pellestrina in panzanella, carnose e intense; il baccalà, mantecato con tecnica sopraffina; le lumache all’aglio orsino – memorabili – e la coradea di pecora da antologia. Il risotto carota bruciata e caprino, poi, non sfigurerebbe sulle grandi tavole d’Europa. Dulcis in fundo, golosità ed eleganza alberga nei dolci.

La carta dei vini, stringata, si concentra sulle produzioni del circondario, consentendovi comunque di bere bene, a prezzi onesti, e di scovare anche qualche chicca (com’è successo a noi nel corso della nostra visita).

Ma il progetto per la democratizzazione dell’alta cucina di Lorenzo Cogo prevede anche altri risvolti: sebbene Trattoria dal Cogo è e rimarrà la sua casa, questo luogo degli affetti famigliari gli consentirà di mettere in pratica, anche per sé stesso, una rinnovata volontà di benessere e cura per l’individuo. Da qui, infatti, si propagherà un’importante attività di consulenza che, pian piano, lo porterà a misurarsi con realtà di tutta la regione. E ciò non stupisce, data la determinazione e la serenità che si assaporano nei suoi piatti, e in una cucina che è diventata nient’altro se non lo specchio del suo stato d’animo. E dunque da provare senza ombra di dubbio, anche solo per questo.

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La critica e Lorenzo Cogo

Dovendosi fermare a riflettere, e per una volta trovando lo spunto che dà al critico il la per fare autocritica su se stesso, dovendolo fare per forza o per volontà, verrebbero al pettine alcuni nodi trascurati. Peccati in buona fede, errori umani, valutazioni eccessive e così via. Una volta ogni tanto è utile e forse addirittura conveniente rallentare e fare il punto della situazione, anche solo per avere il polso del lavoro svolto e per legittimare di conseguenza il ruolo sociale della critica. Ecco, se questo davvero avvenisse come auspicato, con ogni probabilità ne risulterebbe un certo debito morale nei confronti di Lorenzo Cogo. Lo diciamo da ammiratori della prima ora, da forti sostenitori e attenti osservatori della sua crescita nel corso degli anni. Ma per un qualche strano disegno del destino risulta sempre che Cogo sia un grande cuoco, sia uno chef ormai affermato, che abbia reso la sua cucina riconoscibile e personale, però… c’è sempre un però. Una ricerca eccessiva dell’appunto da fare allo chef vicentino, che al cospetto di altri colleghi tante volte verrebbe risparmiata. 

Alla luce di questo non si prende mai in considerazione la reazione dell’altra parte, che nel caso specifico si prodiga in uno slalom sopraffino e leggerissimo, testardo e convinto, diretto al traguardo senza lasciarsi influenzare da alcun ostacolo. E poi con Lorenzo ci si parla, ci si confronta e lo si ascolta, ma più che ascoltarlo ci si accorge che è lui ad ascoltare il suo interlocutore. Ma allora? Allora crediamo che ci sia un però…

Alta densità gustativa in una cucina totalmente intellettuale

E in effetti ci sentiamo di dire che un però ci sia, eccome. Perché a seguito della nostra ultima visita abbiamo trovato una profondità di pensiero nell’evoluzione del menù proposto che si confà alla mente di un intellettuale puro, in grado di declinare certe sue idee apparentemente stravaganti con una eleganza e una sensibilità toccanti.

Ogni piatto si basa su un costrutto gustativo e su uno texturale. In questo modo l’attenzione del commensale viene calamitata sulle note dissonanti del piatto, attratta e imprigionata dalla tensione emozionale che ogni fase della masticazione fa scaturire. Si aggiungono a questo un approccio estetico che già di per sé potrebbe saziare e un ritmo cadenzato con mirabile dinamismo che non lascia libertà alla fantasia di emigrare. Il cervello è pieno di input, gonfio di suggestioni che rincorrono memorie, confuso da dolcezze che si toccano con note piccanti, acide, consistenze turgide, liquide, fumose ed eteree. Ogni piatto è un’esperienza a sé, involucro di una storia che nasce da una riflessione, rispettoso della cultura non solo del luogo che abita ma del mondo intero dal quale proviene. Non c’è scampo durante la degustazione di uscire dal recinto emozionale disegnato dallo chef. Non c’è scampo di astenersi dal voler approfondire e mettersi alla prova per vedere quanto le sfumature gustative di ogni passaggio possano far esplorare leghe abissali. Non c’è scampo quando alla fine della cena ci si emoziona di aver potuto prendere parte all’esposizione di un artista che di professione fa il cuoco. E se proprio bisogna aggiungere un però al capolavoro andato in scena potremmo dire che i margini di miglioramento di questo grande chef in forma smagliante ci sono e ci sembrano ancora molto ampi.

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Un talento nitido e profondo che sta raggiungendo una grande maturità, a Vicenza

Lorenzo Cogo è stato uno degli enfant prodige dell’alta cucina contemporanea italiana, e non solo. Dopo aver collezionato un’esperienza e un pedigree di grandissima profondità e caratura ha aperto, giovanissimo, il suo regno-ristorante in quel di Marano Vicentino. E la critica si è subito divisa tra adulatori – a dire il vero non molti – del talentuoso giovane chef e detrattori, che gli imputavano una cucina troppo impersonale, ancora schiava dei suoi stage, troppo internazionale, un po’ spavalda e irriverente, come il suo carattere.

Noi, a dire il vero, siamo sempre stati più tra i primi, anche se non disdegnavamo appunti di fioretto al cuoco Lorenzo, a cui imputavamo ancora l’irruenza della giovane età negli impiattamenti, nel numero di ingredienti usati e una sorta di impersonale e troppo variegata nota di stilistica. Bene, oggi, seppur rimasto giovane, Lorenzo ha raggiunto, a nostro avviso, una maturità stilistica e contenutistica che lo rende certamente uno dei più limpidi protagonisti dell’alta cucina contemporanea del nostro paese.

Cogo è passato attraverso strade impervie che maturano e che asciugano. Ha ora imparato a gestire numeri e una realtà poliedrica come il Caffè Garibaldi di Vicenza, una realtà storica decaduta da tempo a cui Lorenzo ha dovuto ridare lustro, ricostruendo dalle macerie. E con tutto il talento, l’energia, la sua giovane età è riuscito in una impresa a dir poco titanica. Questo percorso irto e faticoso l’ha decisamente maturato e forgiato.

Audacia, classe e capacità

Oggi, a El Coq, dove ci si può dedicare finalmente con maggiore energia, Lorenzo esprime una cucina del tutto personale, priva di punti di riferimento, golosa, precisa e puntuale gustativamente, originale e pragmatica. Se dovessimo trovare qualche spunto, lieve, qualche riferimento potremmo dire che è una cucina molto “cracchiana” nel suo insieme, con alcuni spunti di assemblaggio di ingredienti ed equilibri gustativi che ci hanno riportato a qualche cena dal mitico Carlo Cracco, peraltro suo conterraneo.

Il Tagliolino di ciliegia, spaghetto di mare, anguria e ibisco o Limone di mare, mais, caviale, o ancora Granchio reale, salsa chili, gazpacho alla mandorla e olive sono capolavori stilistici e gustativi che richiamano equilibri alquanto precari, che solo un genio e un palato straordinario possono far virare in capolavori dei potenziali fallimenti quali potrebbero essere sulla carta.

Lorenzo Cogo è questo, la sua cucina è qui di fronte al vostro cospetto. Se uniamo anche una bellissima sala con vista su piazza dei Signori a Vicenza e un servizio capitanato da un giovanissimo maitre sommelier davvero molto bravo e preparato il gioco e fatto! Un grande ristorante, un grande cuoco, una grande cucina … a Vicenza.

La Galleria fotografica:

L’evoluzione è il processo tramite il quale, tenendo conto del mutare della realtà e delle esigenze sociali, avvengono uno o più cambiamenti, genericamente cadenzati tra loro, sempre su di un piano orizzontale, disposti uno dopo l’altro sull’asse immaginaria della vita.
A Marano Vicentino c’è un ristorante chiamato El Coq dove questo concetto assume forme tangibili. Lorenzo Cogo, chef patron del locale, accompagna gli ospiti in un percorso di crescita personale che si manifesta nella sua completezza, dall’arredo della sala alle porcellane, dalla scelta degli ingredienti alle tecniche utilizzate per trattarli.
Nel corso degli anni abbiamo assistito ad un processo di rinnovamento costante, ad un inarrestabile meccanismo evolutivo. In principio era un’asettica stanza bianca, posizionata al centro di un borgo rurale, all’interno della quale ci si approcciava ad una cucina sperimentale, influenzata dal lungo girovagare del cuciniere suo artefice. Poi, via via, gli spigoli candidi delle pareti hanno cominciato a smussarsi, confondendosi con una cucina che alternava piatti molto spinti ad altri decisamente più piacioni.

Oggi, è nuovamente tutto cambiato.
Solo cinque tavoli rotondi, vestiti di tovaglie color avorio, si accompagnano a sedute di design accarezzate da plaid in pile monocromatici. Qualche candela sul tavolo e una sala che, pur avendo perso la sua deriva minimal, si mostra più luminosa che mai, lasciando presagire un fermento culinario pronto ad esplodere. Tutto sembra più ponderato, quasi a volersi aprire ad un pubblico più eterogeneo, imborghesendosi ma non per questo perdendo la propria indole indipendente, accomodando la richiesta di una terra certamente più conservatrice che avanguardista.
Si percepisce un incedere deciso della personalità dello chef che pare abbia preso piena coscienza di sé, si sia guardato allo specchio da buon narciso, ma con grande intelligenza, non si sia lasciato irretire dalla sua bellezza, decidendo così di presentare le proprie idee sotto una forma comprensibile ai più.

Il risultato è una cucina senza sbavatura alcuna, che trova la sua completezza in una complessità mai fine a se stessa, volta ad esaltare ogni singolo elemento presente. Piatti sempre molto tesi, verticali, ma tutti accomunati da una delicatezza di base e da un’armonia davvero non scontate.
Preparazioni che trovano la propria identità durante la degustazione; piatti che diventano, boccone dopo boccone, sempre più godibili, facendo fare al palato ogni volta un giro di giostra, presentandosi spesso di primo acchito estremi, armonizzandosi in seguito, per poi chiudersi lasciandosi scappare un soffio dolciastro quasi impercettibile eppure presente.
Ma questo saliscendi gustativo è un sottoinsieme della degustazione, vista nella sua interezza di straordinaria coerenza. Una cucina figlia ormai di un istinto razionalizzato, che crea emozioni non solo grazie a ciò che esprime gustativamente ma anche grazie al ritmo con cui viene proposta.
Si parte in quarta con gli stuzzichini e i primi antipasti. Uno dopo l’altro vengono serviti in tavola piatti da KO. Si corre e si è felici di farlo. Adrenalina pura. Poi si rallenta l’andatura seguendo una scia dettata da gusti più morbidi, forse un po’ più “facili”. Sul finale si torna su di giri con la degustazione dei dolci, chiamati così eufemisticamente eppure così golosi che si avrebbe voglia di ricominciare.
Amaro, acido, dolce e sapido sono le quattro caratteristiche che compongono tutti, o quasi, i piatti di Cogo. Se a questo si aggiunge una tecnica ineccepibile (vedi cottura del risotto e della faraona) e un senso del gusto spiccato il gioco è fatto.
Lorenzo Cogo da enfant prodige qual era sembra proprio essere diventato un uomo… nei prossimi anni ci sarà da divertirsi.

Toast di pan brioches, olive e parmigiano.
toast, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
Tacos di mais Marano, baccalà, germogli e semi di papavero. Contatto tra Marano e il resto del mondo. Piatto che racconta passato e presente dello chef. Non a caso è diventato rapidamente un classico della cucina di Cogo. Sempre molto gradito.
Tacos di Mais, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
Le noci del Coq. Accompagnate da un martello…
Noci, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
…con il quale rompere il loro guscio.
Noci, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
Pane e grissini. Ottimi.
Pane, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
Anguilla affumicata, papaya verde e caffè. Primo colpo: piatto delicatissimo che si regge su un equilibrio precario ma centrato perfettamente. Tutto ruota attorno alla consistenza quasi gommosa dell’anguilla che amalgama e armonizza le note affumicate, tostate e acide date dagli altri ingredienti. Una maionese alle alghe dona la grassezza necessaria per rendere il piatto completo.
Anguilla, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
Rapa verde, alice sotto sale, dragoncello, kiwi fermentato e foglia di carciofo. Passaggio molto spinto. Giochi di sapidità che si rincorrono tra loro condotti dalla natura verde degli elementi nel piatto. Boccone dopo boccone si crea armonia anche grazie ad una nota dolciastra regalata dal kiwi fermentato. Gran piatto.
Rapa verde, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
Bottarga di tonno alla brace, barbabietola, frutti rossi, cardo e olio al pepe. Goloso, sapido e amaro. Non manca proprio nulla.
Bottarga di tonno, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
Gnocco di riso, radice di soncino, ostrica affumicata, scalogno all’aceto e pimpinella. Ancora una volta la consistenza dello gnocco gioca un ruolo primario in grado di far coesistere le note amare della radice di soncino e quelle iodate dell’ostrica con le sue sfumature fumé. Piatto totale.
Gnocco di riso, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
Cuore di insalata Iceberg e infuso di Alpestre. Da mangiare con le mani. Cogo sta toccando livelli davvero alti.
Cuore di insalata, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
Tartare di Rubia gallega, semi di canapa, caviale di olio, cetrioli agrodolci e rapanelli.
Tartare di Rubia, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
Risotto alla radice di genziana, peperone rosso e ristretto di amoli (prugne selvatiche). Dimostrazione di tecnica incredibile. Difficile poter cuocere un risotto in maniera migliore. Chapeau.
risotto, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
Faraona, broccolo, finferlo e olio al pepe. Preparazione che strizza l’occhio ad una cucina di concezione più classica, comunque ineccepibile.
faraona, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
Marshmallow allo yuzu, sorbetto al limone e cardamomo verde. Ottimo predessert.
Marshmallow, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
Aglio, aglio, aglio. Testa d’aglio cotta al forno con latte di nocciole, caramello e miele, accompagnata da un gelato all’aglio, levistico e anice. Il dessert 2.0.
Aglio, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
I vini proposti in abbinamento alla degustazione.
vino, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
vino, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
bourgogne, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino
Una saletta in stile anni ’50 dove potersi rilassare bevendo una delle tante grappe presenti in carta.
saletta, El Coq, Chef Lorenzo Cogo, Marano Vicentino

Che cosa significhi metis, l’astuzia dei Greci, non è scritto in nessun testo filosofico. Per coglierne l’essenza occorre rifarsi a una casistica che vede l’eroe destreggiarsi attraverso una varietà di mezzi, ricondotti dai mitologi a 3 situazioni topiche: il travestimento, l’invisibilità e l’occasione. Ampiamente utilizzate le prime due, per mettere in scacco l’ovvietà, attraverso la presentazione di trompe-l’eoil o di ingredienti in absentia, questo di Lorenzo Cogo è il piatto del kairos, o tempo di dio. Dove la tempestività decreta il successo creativo.

Il gusto è sincronizzato sul momento come un orologio ad alta precisione: nessun margine di errore. Metà primavera 2014 a Marano Vicentino, l’esposizione è quella dell’orto coltivato secondo metodi biologici dal contadino che lavora per il ristorante; per terra le impronte fresche del cuoco, che si è appena aggirato nell’habitat. Perché il piatto è nato proprio così: assemblando le sensazioni verdi disposte a varie altezze dal suolo. I piselli con il loro baccello, centrifugato a crudo in un’esplosione di clorofilla e di dolcezza, che rende omaggio al territorio (risi e bisi); poco sopra le foglie novelle della vite, con un ricordo fragrante di Mediterraneo; alzando lo sguardo fino alle pesche e alle susine acerbe, in lamelle che regalano una testura croccante, una leggera astringenza e acidità, più l’amaro elegante della mandorla. La sostanza, nel senso etimologico di quanto soggiace (e così sorregge il gioco aromatico), è rappresentata dai brandelli di cagliata fresca di latte affumicato sulla brace, da cui si ottiene anche il burro. Elemento altrettanto aurorale nell’evocazione dell’inizio, quasi una carezza di sole sulle foglie.

Dal gioco delle sensazioni, fragili ed energetiche, si stacca la nota amara di un altro centrifugato, a base di alloro, in gocce sparse sul verde dei baccelli. Fondamentale per strutturare il piatto con un finale di pulizia quasi silvestre, che parla ancora di mito e di Dafne, del “fatto che l’alloro, come il rosmarino, reagisca al tocco degli animali, sprigioni il suo profumo solo se lo tocchiamo”, come osservava l’artista Giuseppe Penone. “La fanciulla che abbandona la sua forma umana per essere trasformata in vegetale, incarna una concezione, un’osservazione della natura molto più sottile di quella che ci dà la scienza”: ossia quella del contatto fisico.

Attorno al piatto neorurale, dentro al suo contenitore rustico, il restyling del ristorante, con i pannelli stilizzati degli alberi che sfumano nel panneggio verticale delle tende, recanti le stesse decorazioni, a evocare l’abbraccio ombreggiato di un giardino. Quella morsa fra arte e natura, oggetto di un interminabile dibattito estetico, da cui la cucina di El Coq sta estraendo il suo gheriglio, all’unisono con i ristoranti più importanti del mondo.

Foto di Bob Noto